
Il libro
Offese razziste, insulti a sfondo sessuale, ingiurie che feriscono minoranze: si tratta di parole che provocano e che sfuggono facilmente al controllo. Che reazioni richiedono parole come queste? Basta fare appello alla censura per poterle contenere?
Secondo Judith Butler, la più nota filosofa statunitense contemporanea, non serve cadere nella trappola di una limitazione della libertà di espressione. Conta invece rivendicare una diversa possibilità di intervento politico. Si può sempre far sì che, ripetendo quelle parole, esse circolino in contesti diversi e acquisiscano nuovi significati, arrivando ad agire contro la stessa violenza che le ha prodotte.
L'autrice
Judith Butler insegna al dipartimento di Retorica e letteratura comparata dell’Università di Berkeley. I suoi studi spaziano dalla teoria femminista alla filosofia politica all’etica. Tra i testi più recenti Critica della violenza etica (Feltrinelli 2006) e Soggetti di desiderio (Laterza 2009).
Le opere fondamentali del pensiero filosofico di tutti i tempi. In edizione economica con testo a fronte e nuovi apparati didattici. Testo originale nell'edizione di John Burnet, traduzione di Giuseppe Cambiano e introduzione di Francesco Fronterotta.
Quando due grandi spiriti si incontrano, accade qualcosa di particolare; è come se si creasse una campo energetico percepibile fisicamente, persino nelle vibrazioni dell'aria. Anche a distanza di anni, coloro che erano presenti nell'Aula Magna dell'Istituto universitario di Architettura a Venezia il 9 marzo del 2004 ricordano con emozione l'atmosfera tutta particolare creatasi in occasione dell'incontro fra Raimon Panikkar ed Emanuele Severino. I due giganti del pensiero contemporaneo mettono a confronto Oriente e Occidente per capire se possono collaborare alla ricerca di una possibile realtà ultima. Dall'incontro emergono due elementi di convergenza: l'insoddisfazione radicale nei confronti della visione dominante del mondo e la convinzione che tutto sia eterno. Ma anche l'irriducibile differenza dei rispettivi punti di vista: per Severino la follia consiste nella fede del divenire altro del mondo, che trova la sua estrema realizzazione nella tecnica, mentre Panikkar pensa che il nostro compito non sia risolvere l'enigma del mondo bensì imparare a vivere in esso. Così Oriente e Occidente, pur faticando a comprendersi, non cessano di interrogarsi l'un l'altro.
I greci ci hanno tramandato una cosa che non può essere completamente detta se non nella loro lingua: logos. Significa allo stesso tempo parola, argomentazione, giudizio, ordine e, in ultima analisi, logica. Attorno a questa articolazione si è cristallizzata quella che da allora chiamiamo la Ragione (occidentale). E con altrettanta evidenza si è fissato in noi il principio che fa coincidere l'atto del parlare con il dire e il dire con il dire qualcosa. Tutto il destino della parola si gioca a partire da questo elemento: la parola deve sempre mantenere una corrispondenza uno a uno con un concetto. «Chiediamoci: quali risorse della parola si sono perse, disdegnate o lasciate incolte? Quali riserve, quali giacimenti rinvenibili in altre culture abbiamo negligentemente lasciati inesplorati?»
«Non siamo mai stati così liberi come sotto l'occupazione tedesca. Avevamo perduto ogni diritto e prima di tutto quello di parlare; ci insultavano apertamente, ogni giorno, e dovevamo tacere; ci deportavano in massa, come lavoratori, come ebrei, come prigionieri politici; ovunque - sui muri, sui giornali, sugli schermi - ritrovavamo l'immagine immonda e insulsa che i nostri oppressori volevano darci di noi stessi: ma proprio per questo eravamo liberi. Il veleno nazista si insinuava nel profondo dei nostri pensieri e quindi ogni pensiero giusto era una conquista; una polizia onnipotente cercava di costringerci al silenzio e quindi ogni parola diventava preziosa come una dichiarazione di principio; eravamo braccati e quindi in ogni nostro gesto gravava il peso dell'impegno. Le circostanze spesso atroci della nostra lotta ci rendevano finalmente in grado di vivere, senza trucchi e senza veli, questa situazione straziante, insostenibile che chiamiamo la condizione umana».
Il libro parallelo al "Mondo come volontà e rappresentazione", dove Schopenhauer parla delle questioni più alte e delle più piccole con una stupefacente capacità di convincere.
Ogni definizione che possiamo dare dell’uomo è, in fondo, anche una definizione che diamo di noi stessi. Ma possiamo immedesimarci nell’immagine di un uomo che non nasce, non cresce, non si ammala, non soffre, non perde mai l’esercizio delle sue facoltà e non si trova mai ad accudire altre persone che, come lui, attraversano queste esperienze? La cultura moderna ci ha consegnato il mito antropologico della soggettività autonoma, libera e responsabile e ha relegato nelle pieghe residuali del pensiero i problemi che vengono sollevati dall’esperienza umana che si svolge nel tempo, creando un vocabolario adatto per rendere marginale ogni altro modo d’essere dell’umano: è il linguaggio che ha coniato espressioni come quelle di handicappato, invalido, disabile, per poi culminare nella formula ipocrita, ma politicamente corretta, del diversamente abile. Questo libro intende, invece, fare i conti con la condizione umana assumendo un’altra prospettiva. Malattia, dolore, sofferenza, poste in relazione con l’ambiente (fisico, culturale, politico, sociale) condizionano la possibilità di realizzazione di ognuno di noi e finiscono con l’impattare sul senso stesso della partecipazione, della cittadinanza e della nostra auto-rappresentazione: questa relazione è ciò che oggi l’OMS e la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute intendono con il termine disabilità. Sulla scorta di tale definizione, il volume ripercorre alcuni temi classici dell’antropologia filosofica proponendosi di fornire una più adeguata comprensione dell’esperienza umana.
Gli autori
Adriano Pessina (Monza 1953), è ordinario di filosofia morale, direttore del Centro di Ateneo di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove insegna Bioetica e Filosofia della persona nella Facoltà di Scienze della formazione, ed è membro ordinario della Pontificia Accademia per la Vita. Studioso di Bergson (Il tempo della coscienza. Bergson e il problema della libertà, Vita e Pensiero, Milano 1988; Introduzione a H. Bergson, Roma-Bari 1994), da molti anni svolge ricerche nell’ambito della bioetica. È autore di Bioetica. L’uomo sperimentale, Milano 2006 e di Eutanasia. Della morte e di altre cose, Siena 2007, oltre che di numerosi saggi, tra i quali: Libertà e tecnologia: annotazioni teoretiche (2003), Il bello dell’etica. Per una rilettura del rapporto tra essere e dover essere (2005), Dignità e indegnità dell’uomo: il tempo della malattia (2009), Biopolitica e persona (2009).