
Perché filosofare? Che motivo c’è di tornare sempre a infilarsi negli iati del senso, e ogni volta con un rinnovato candore che sarà giudicato infantile? Insomma, perché la filosofia è necessaria? Perché c’è il desiderio, perché c’è dell’assenza nella presenza, e anche perché esiste l’alienazione, la perdita di ciò che si credeva acquisito e la scissione tra il fatto e il fare, tra il detto e il dire; infine, perché non possiamo sfuggire a questo: testimoniare la presenza di una mancanza attraverso la nostra parola. In realtà, come non filosofare? Lineare e brillante, il corso introduttivo alla filosofia che Lyotard tenne alla Sorbona nel 1964, rimasto finora inedito, costituisce un raro esempio di limpidezza pedagogica e, al tempo stesso, di profondità filosofica.
L'autore
Jean-François Lyotard (1924-1998) è stato una delle grandi figure del pensiero del Novecento. Ha scritto oltre quaranta testi, tra cui il più celebre resta La condizione postmoderna, divenuto punto di riferimento culturale della contemporaneità.
«Proprio perché le grandi risposte non sono alla portata della nostra mente, l’uomo rimane un essere religioso, nonostante tutti i processi di demitizzazione, di secolarizzazione, tutte le affermazioni della morte di Dio che caratterizzano l’età moderna e ancor più quella contemporanea».
Norberto Bobbio
Intrecciando il pensiero di filosofi moderni e contemporanei – oltre a Bobbio, Pascal, Kierkegaard, Weber, Scheler, Florenskij, Wittgenstein, Pareyson… –, il testo si struttura attorno alla “grande domanda”, sul senso ultimo della vita di ogni essere umano
e dell’intero universo, che la filosofia pone senza essere in grado di dare risposte. È lo spazio del credere.
DARIO ANTISERI, già docente all’Università di Padova e alla LUISS di Roma, è tra i filosofi italiani più conosciuti e più tradotti all’estero. Nel catalogo Scholé ricordiamo: Come si ragiona in filosofia (2011); Dalla parte degli insegnanti (2013); Epistemologia ed ermeneutica. Il metodo della scienza dopo Popper e Gadamer (2017); L’anima greca e cristiana dell’Europa (2018). Con G. Reale: Il pensiero occidentale, in tre volumi (2013, tradotto in più lingue), e Cento anni di filosofia, in due tomi (2015).
In questo saggio l'autore propone quei criteri razionali di discernimento che consentono a quanti si accostano alla filosofia di utilizzare al meglio le risorse intellettuali che essa sempre fornisce.
No, non è giusto, questo non e buono, non è una causa santa questa in cui viene offuscato e distrutto lo splendore della gioventù. Siamo noi, i vecchi, ad aver peccato; abbiamo mandato questi giovani sui campi di battaglia per le nostre maledette passioni, per la nostra morte spirituale, per la nostra incapacità di vivere generosamente del calore del cuore e della viva visione dello spirito. Usciamo da questa morte, poiché siamo noi i morti, non i giovani caduti per la nostra paura di vivere. Anche i loro fantasmi sono più vivi di noi; ci espongono all'eterno ludibrio di tutti i tempi futuri. Dai loro fantasmi deve scaturire la vita e noi ne saremo vivificati.
Vivere insieme nella città non è una scelta ma un destino, che da qualche tempo coinvolge la maggior parte degli abitanti del pianeta. Legato agli sviluppi della globalizzazione economica e tecnologica, questo fatto pone problemi nuovi agli urbanisti e a tutti noi. Come vivere insieme nella attuale città plurale, nelle grandi città-mondo che mescolano il sublime e il kitsch, la bellezza e l'orrore? Come fronteggiare la crescita inarrestabile delle disuguaglianze tra la città dei ricchi e la città dei poveri? Come favorire aggregazioni compossibili e risolvere questioni ambientali ed ecologiche di proporzioni mai conosciute? Domande ineludibili e problemi urgenti: la questione urbanistica è oggi la questione stessa del sapere.
"Perché dovremmo dirci cristiani? Oggi siamo liberali, e perciò non c'è bisogno di rivolgersi al cristianesimo per giustificare i nostri diritti e libertà fondamentali. Siamo laici, e perciò possiamo considerare le fedi religiose come credenze private. Siamo moderni, e perciò crediamo che l'uomo debba farsi da sé, senza bisogno di guide che non derivino dalla sua propria ragione. Siamo figli della scienza, e perciò ci basta il sapere positivo, provato e dimostrato.
Senza contare il resto. In Europa stiamo per unificarci, e dunque dobbiamo evitare di dividerci menzionando il cristianesimo fra le radici dell'identità europea. Nel mondo stanno rinascendo guerre di religione, e dunque dobbiamo evitare di accendere altri focolai. In casa nostra stiamo integrando milioni di islamici, e dunque non possiamo chiedere conversioni di massa al cristianesimo. Dentro le nostre società occidentali stiamo attraversando la fase della massima espansione dei diritti, e dunque non possiamo consentire che la Chiesa interferisca e ne ostacoli il godimento. E così via.
Questo libro intende rifiutare tutti questi perciò e dunque. Non c'è dubbio che siano diffusi: li leggiamo sui libri e sui giornali, li sentiamo alla televisione e nelle aule universitarie, li ascoltiamo dalla voce di tanti intellettuali, li vediamo all'opera nell'azione di tanti politici. Ci bombarda da così tante parti, questa negazione della religione, in particolare questa apostasia del cristianesimo, che c'è solo da meravigliarsi che qualcuno ancora si opponga. Io mi oppongo.
La mia posizione è quella del laico e liberale che si rivolge al cristianesimo per chiedergli le ragioni della speranza. Non si tratta di conversioni o illuminazioni o ravvedimenti, tutte cose importanti, delicate e rispettabili ma che attengono alla sfera della coscienza personale di cui qui non faccio questione e ancor meno esibizione. Si tratta di coltivare una fede (altra espressione appropriata non c'è) in valori e principi che caratterizzano la nostra civiltà, e di riaffermare i capisaldi di una tradizione della quale siamo figli, con la quale siamo cresciuti, e senza la quale saremmo tutti più poveri."
Sentiamo ripetere: «Siamo in una situazione di crisi» e «La crisi non accenna a finire». Sembra che in crisi sia la struttura stessa della società. Ma forse la crisi esiste fin dall'origine. Già Esiodo rimpiangeva l'età dell'oro, deplorando la stirpe del ferro della sua epoca. Tuttavia, la nostra crisi presenta tratti nuovi ed estremi che la fanno somigliare a uno stadio terminale in cui l'umano è minacciato di sterminio sotto almeno tre aspetti: tecnologico, ecologico e teocratico. È solo quando qualcosa è sul punto di sparire che ci si rivela nei suoi contorni singolari e con la sua presenza insostituibile. E allora, vale ancora la pena di dare la vita a un mortale? Su tali questioni decisive si muove la riflessione felicemente paradossale di Fabrice Hadjadj: la sua risposta è per un'alleanza di tradizione e modernità, di escatologia e cultura, di lucidità davanti alla morte ed educazione aperta alla vita.
"La filosofìa si è dissolta nelle scienze ed è ormai diventata una disciplina puramente ornamentale, o può ancora essere feconda, e quale filosofìa può esserlo? Chiederselo non costituisce una novità, perché la riflessione filosofica è sempre stata in una certa misura un discorso sulla filosofìa. Ma, con la nascita della scienza moderna, tale domanda è diventata più difficile, oltre che urgente e imbarazzante. Io sostengo che la filosofia può ancora essere feconda solo se è un'indagine sul mondo. Questa affermazione, apparentemente banale, ha invece un'importante conseguenza. Implica che la filosofìa è un'attività che mira innanzitutto alla conoscenza, una conoscenza che non differisce in alcun modo essenziale dalla conoscenza scientifica."
I fondamenti metafisici della conoscenza estetica.
Il libro analizza il problema del rapporto tra io e mondo, tra essere personale e Essere eterno, mostrando come la questione permetta a Edith Stein di conciliare tradizione e filosofia moderna, teoria gnoseologica e visione metafisica.
L'affermazione di fondo è che la bellezza non valga da elemento accidentale, accessorio, che non resti soltanto fatto dell'arte, ma sia essa vista come un carattere dell'opera o come un carattere della cosa stessa cui l'opera d'arte rinvia. La bellezza dice comunque, a monte di questa distinzione, qualcosa dell'essere. Alla questione del bello inerisce dunque la questione ontologica. Nella convinzione che il bello sia tema di interesse metafisico, che sia anzi tema esso stesso metafisico, il lavoro intrapreso cerca di rintracciare la prospettiva secondo la quale la «contemplazione» - termine con cui si preferisce indicare la riflessione speculativa - possa cogliersi come «opera della bellezza».