
Scritti a margine di un'intensa produzione filosofica e storiografica, i sei saggi qui raccolti ruotano intorno al tema di biografia, autobiografia e storia. L'indagine sullo statuto dei tre generi letterari lascia emergere la difficoltà, in ciascuno, di poter conseguire la pienezza del risultato, svelando tra di essi una irresistibile contaminazione. La riflessione di Gennaro Sasso incontra opere e autori attraverso i quali emerge in primo piano il tema della crisi dell'Europa sulla via del tramonto, tra le due guerre che nel corso del Novecento ne hanno segnato il destino: Croce e Gentile, e la presunta "egemonia" delle filosofie idealistiche; il "provincialismo" degli studi; il Thomas Mann del Doctor Faustus; il Diario di Piero Calamandrei; e ancora Carlo Dionisotti e Arnaldo Momigliano. Nello sfilare di questi saggi, nei quali la dimensione critica e storiografica è percorsa da altrettanta profondità psicologica per i personaggi e le situazioni che vi sono affrontati, al lettore accade di percepire l'eco di un mondo assai vasto della cultura.
Questo libro sfida l'ortodossia scientifica, e propone una nuova e accorata difesa del libero arbitrio impugnando gli stessi criteri naturalistici che di solito vengono impiegati per confutarlo. Christian List ammette che il libero arbitrio, insieme ai suoi prerequisiti - intenzionalità, possibilità alternative, controllo causale sulle nostre azioni -, non fa parte della fisica, e sostiene che esso vada invece considerato un fenomeno di «livello superiore», appartenente all'ambito della psicologia. È uno di quei fenomeni che, pur emergendo dai processi fisici, al pari di un ecosistema o dell'economia, resta autonomo da essi. Quando il libero arbitrio viene contestualizzato in modo corretto, ammettere che è reale non solo è scientificamente onesto, ma diventa indispensabile per spiegare il nostro mondo.
Questo libro propone una riflessione su Domenico Jervolino, pensatore e uomo politico, per molti anni docente di Filosofia del Linguaggio e di Filosofia Teoretica nell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Gli interessi principali della sua ricerca filosofica sono stati: la rivisitazione critica di Marx con la ripresa della nozione gramsciana di egemonia, la riproposta dei paradigmi ricœriani del simbolo, del testo e della traduzione, il richiamo alle istanze della filosofia e della teologia della liberazione. Particolare attenzione è stata dedicata da Jervolino al paradigma della traduzione, intesa come riconoscimento e accoglienza dell’altro. Nel passaggio da una lingua all’altra il filosofo napoletano ha visto lo straniero diventare il prossimo, il soggetto riconosciuto e accettato.
Internet ci rende stupidi? Abituati alla velocità con cui accediamo alle informazioni scivolando, come su una tavola da surf, da un sito all'altro, viene meno in noi la pazienza richiesta da un libro o da un articolo lungo e complicato. Dopo una pagina o due ci innervosiamo, perdiamo il filo, avvertiamo l'esigenza di occuparci d'altro, di cambiare attività. La concentrazione nella lettura ci è divenuta estranea. Oggi l'umanità è totalmente connessa. E quindi: che fare con la novità rappresentata dalla rete, e in generale dalla civiltà digitale? Accettarla o rifiutarla? Per rispondere a questa domanda dobbiamo compiere un viaggio di duemila anni. Ermanno Bencivenga ci accompagna lungo questo cammino nella storia del pensiero occidentale: Platone è la nostra guida, Kant la stella polare. È un tragitto di secoli e millenni di idee e scoperte straordinarie e addirittura scandalose, eppure capaci di conquistare la normalità e tradursi in visioni del mondo universali. Così scopriamo che la nostra identità è stata messa in discussione ad ogni rivoluzione tecnologica. Ciascun cambio di paradigma sconvolge e rinnova la radice delle nostre consuetudini e dei nostri desideri. Ogni giudizio di valore è subordinato a una particolare fase del tempo, del mondo e della Storia. Allora, la domanda va riformulata: la rivoluzione digitale non ci rende più stupidi o più intelligenti, ma cambia profondamente la nostra postura nei confronti di noi stessi e del mondo. E ogni cambiamento radicale è un'occasione preziosa e insostituibile per chiederci chi siamo.
Agli "ideali ascetici" Friedrich Nietzsche ha notoriamente dedicato una durissima requisitoria nella terza dissertazione della sua Genealogia della morale. Eppure, ad un'analisi più dettagliata, non è possibile ritrovare, in questo testo, neanche una singola occorrenza della parola "ascesi". È davvero possibile che il filosofo (e filologo classico) di Röcken abbia omesso casualmente una parola come askesis, tanto centrale per il pensiero filosofico greco, dal suo scritto polemico? Oppure il concetto di ascesi va interpretato in maniera differente rispetto a quello di "ideale ascetico", andando così a creare una costellazione teorica più complessa rispetto a quella che sembra configurarsi in un primo momento? Il presente lavoro si ripropone di effettuare una ricostruzione e discussione critica delle molte declinazioni dell'ascetismo presenti nel pensiero di Friedrich Nietzsche, tanto nelle opere a stampa quanto nei frammenti postumi: dall'ascesi greca di Pitagora e Orfeo, passando per quella (talvolta valorizzata, talvolta criticata) di Schopenhauer, fino ad arrivare alla decostruzione dell'ideale ascetico nella Genealogia della morale verranno prese in considerazione quelle che andranno a configurarsi come le molte ascesi di Nietzsche.
«L'epidemia che ci ha colpito si è manifestata con la violenza dell'imprevedibile» eppure prevedere e decidere il proprio benessere è oggi tra le condizioni principali della nostra società. Uno dei filosofi attuali più lucidi riflette sul dramma del coronavirus a partire dalle parole che usiamo per spiegare questo evento e le sue conseguenze: perché il "futuro" è diverso dall'"avvenire", il "mondo" dal "reale", la "scienza" dagli "scienziati", l'"ottimismo" dalla "speranza", ma anche perché la modalità del "morire" ci ha atterrito più della "morte" in sé, fino a comprendere che l'autentica "libertà" non consiste nel fare ciò che si vuole. Come ci ha cambiato l'epidemia? Che cosa possiamo fare per non farci sopraffare? «dovremmo essere più seri nel vivere il tempo, che non è mai solo il "nostro tempo", il tempo delle nostre "urgenze private"», afferma l'autore indicando un atteggiamento per il "dopo" e citando La peste di Camus: «bisogna restare, accettare lo scandalo, cominciare a camminare nelle tenebre e tentare di fare il bene».
«Questo foglio, questa penna, questa stanza, questi colori, suoni e sfumature e ombre delle cose e dell'animo sono eterni». Questa affermazione del filosofo Emanuele Severino si fonda sulla pura ragione, libera dall'ottundimento nichilistico in cui versa l'Occidente. Il tentativo di questo libro è di illustrare quanto possa essere affascinante pensare ciò che nessuno mai oserebbe pensare, e cioè che ciascuna cosa è connessa a tutte le altre, e che proprio grazie a tale intreccio è possibile trovare un nuovo significato del tempo e dell'eternità. È appunto in questa tesi dell'eternità di tutte le cose, dell'impossibilità di ogni cosa di venire dal nulla e finire nel nulla - perché semplicemente il nulla non è - il fascino inconfondibile dell'opera di Severino. Questo libro cerca di restituirlo, pur tenendo vivo il vaglio critico che temi di così alta levatura filosofica, e di grande bellezza, necessariamente richiedono.
Processo a Socrate è un saggio capace di portare il lettore nel clima culturale della democrazia ateniese e di guardare a quella clamorosa tenzone cercando di comprendere le ragioni di entrambe le parti in conflitto.
Marco Bracconi, “la Repubblica”
Un’indagine ben condotta tra le fonti antiche, con uno stile limpido che consente una lettura agevole sia al lettore non specialista sia al lettore erudito.
Dino Piovan, “Alias - il manifesto”
399 a.C.: la città di Atene condanna a morte uno dei suoi figli più autorevoli, Socrate. Si ripete spesso che si trattò di un processo politico mascherato, per colpire le simpatie oligarchiche dell’anziano filosofo. Ma forse il vero oggetto del contendere in questa vicenda fu proprio il pensiero di Socrate. Fino a che punto una comunità – ieri come oggi – può tollerare che i principi e i valori su cui si fonda siano messi radicalmente in discussione? E davvero le ragioni della filosofia e quelle della città non sono compatibili?
La ricostruzione del processo a Socrate, uno dei più celebri della storia, in cui va in scena il conflitto tra l’integrità morale dell’individuo e le ragioni della politica.
«Pensare è come riflettere in se stessi, attraverso il cammino delle domande e delle risposte, la voce di un altro. La riflessione ha origine nella parola rivolta ad altri e che altri rivolge a noi». Questo libro, incrociando alcuni percorsi filosofici del '900, ci presenta l'esperienza del pensiero come riappropriazione del discorso interiore e domanda sul senso dell'umano. Imparare a pensare costituisce così un esercizio del bene che supera il «primato della conoscenza».
«Caro Epicuro, è di felicità che oggi vorrei parlarti...». Esordisce così Diego Fusaro nella prima di quasi 90 lettere a Epicuro, l'interlocutore immaginario al quale si rivolge per affrontare altrettanti temi che riguardano il nostro stare al mondo: amicizia, amore, felicità, anima, dono, comunità, tempo, lavoro, dialogo, ideologia, volontà... Perché proprio Epicuro?, si chiederà chi legge. Perché rappresenta la filosofia nella piena aderenza alla vita reale e ai suoi problemi. Non c'è un'età ideale per fare filosofia. Tutti possiamo avere a un certo punto la curiosità - o la necessità - di interrogarci sulla nostra esistenza, sui sentimenti che ci animano e il mondo che ci circonda. Ecco dunque la vera sfida che l'autore ha raccolto scrivendo questo libro: avvicinare alla filosofia i lettori di qualsiasi età in modo chiaro, accessibile, non dottrinale, amichevole. Perché, scrive, «tutti noi disponiamo - talvolta, senza neppure saperlo - di una nostra "filosofia primitiva", un quadro complessivo di senso mediante il quale interpretiamo l'accadere e la nostra esistenza, il rapporto con gli altri e con il reale».
La degenerazione del dominio politico è correlata all'abuso sofistico della parola. Nelle parole la realtà diventa chiara. Si parla al fine di rendere riconoscibile qualcosa di reale nella comunicazione. Ma questa natura comunicativa della lingua è sempre più corrotta. Il fenomeno oggi delle fake-news è solo la punta dell'iceberg della divaricazione tra apparenza e verità, a tal punto che non importa più se un discorso è vero o meno. Quello che importa è che emozioni. In questo senso l'abuso della parola è il mezzo privilegiato dell'abuso del potere. Lo avevano teorizzato fin dall'antica Grecia i sofisti, filosofi che utilizzavano la retorica per ottenere il consenso politico persuadendo, anche al prezzo della verità. Tirannia, propaganda, mass media hanno come obbiettivo privilegiato la corruzione della parola e la sua degenerazione. Ci offrono realtà il cui carattere fittizio minaccia di diventare impenetrabile. E così pure, nel privato, l'abuso di potere sulle persone si esercita anzitutto tramite la corruzione della parola, che diventa arma subdola e insidiosa di dominio. In questo breve saggio il filosofo Josef Pieper mostra con determinazione e passione, e insieme con rigore intellettuale, la via d'uscita da questa situazione opprimente. Ci viene chiesto di vedere di nuovo le cose per come esse sono, di vivere e operare in forza della verità riscattata. Prefazione di Roberto Mancini.
I saggi qui raccolti indagano, da diversi punti di vista, la poliedrica e attualissima opera di Günther Stern-Anders (1902-1992), nei suoi aspetti e nella sua potenzialità, esplorando soprattutto il tema apocalittico della fine della umanità. Questo volume, - frutto del dialogo nato in occasione di un convegno organizzato per i vent'anni dalla morte di Anders -, s'incentra e si organizza secondo due convergenti linee di analisi. Nella prima parte si ricostruisce il tracciato filosofico, antropologico e politico dell'autore tedesco, mentre la seconda sezione è dedicata alla costellazione tematica "arti, letterature e società". Quel che si profila da queste "visioni" apocalittiche è un ritratto sfaccettato e vitale di Günther Stern-Anders.