
Nove vite di santi, nove vite di persone che hanno condiviso con noi la quotidianità facendola risplendere di amore per il Sole Eucaristico e il prossimo.
Dal diario di Amelia Deluil-Martiny:
O Gesù, ecco la mia anima, fanne ciò che vuoi, immola, falla a pezzi, ma che i sacerdoti Ti rendano la maggior gloria possibile. Il tuo Cuore ha in Cielo una corte di Serafini che non cessano di adorarti e di amarti. Fa’ Tu, sulla terra, una corte di Serafini capaci di soffrire e altresì di amarti”...
“Io sono davanti al Cuore del mio Gesù, come una persona assetata davanti a una sorgente che nell’ardore della sete vorrebbe berla tutta...
O Gesù, ho sete della tua più grande gloria nei tuoi sacerdoti, della perfezione serafica delle loro anime in questi tempi infelici. Ho sete per loro dei tuoi privilegi, dei tuoi favori, delle tue tenerezze, delle più preziose grazie del tuo Cuore”…
Oltre a notizie dettagliate sulla vita del giovane seminarista Rolando Rivi, il volume contiene una lunga serie di testimonianze sul carattere, sul comportamento, sugli ideali, sulla spiritualità del giovane e sui vari episodi che ne hanno caratterizzato la breve esistenza; e soprattutto sulle assurde dolorose circostanze che hanno provocato la sua tragica fine. L'autore ha inoltre evidenziato l'imprevedibile risonanza che la figura di Rolando ha suscitato dopo la sua morte, l'accorrere di tante persone che si sono affidate alla sua intercessione e ancora i convegni organizzati per approfondirne l'intensa spiritualità.
Il libro estrapola, dalla lunghissima relazione di Matteo Ripa (mille pagine) infarcita di particolari tecnici, quelle che sono descrizioni impagabili delle persone e dei luoghi incontrati durante il suo viaggio verso la Cina, e soprattutto dei tredici anni che trascorse alla corte dell'imperatore Kangxi. Sono descrizioni che portano molta attenzione al lato umano, tolgono l'imperatore Kangxi, uno dei più famosi della storia della Gina, dal trono e lo avvicinano come essere umano alla vita.
Una scrittura commovente, dolce e sofferta; testimonianza di una lotta per far arretrare il male, per aggiungere vita ai giorni, e non semplicemente giorni alla vita. Perché la morte ci trovi vivi...
Il Servo di Dio Don Ottorino Zanon (1915-1972) fondò l'Istituto San Gaetano, scuola di formazione cristiana per giovani poveri da avviare al lavoro. Diede vita anche a una Famiglia Religiosa, la Pia Società San Gaetano, composta di preti e diaconi, per il ministero pastorale in diocesi particolarmente bisognose, oggi presente in diversi paesi soprattutto dell'America Latina. Il libretto illustrato racconta questa vita operosa e intensa, stroncata da un tragico incidente stradale.
1941. A S. Giacomo Roncole, vicino a Mirandola (MO), don Zeno accoglie come figli altri fanciulli abbandonati e fonda l’Opera Piccoli Apostoli. Ha giurato sull’altare che mai avrebbe fatto un collegio. Nel 1941 una giovane studentessa, Irene, scappa da casa e si presenta a don Zeno dichiarandosi disposta a far da mamma ai Piccoli Apostoli.
Don Zeno, con l’approvazione del vescovo, le affida i più piccoli e nasce con lei una maternità nuova, virginea. Altre giovani donne la seguono, sono le “mamme di vocazione”.
Alcuni sacerdoti si uniscono a don Zeno e danno inizio ad un clero comunitario. Dopo la fine della guerra, nel 1947, iPiccoli Apostoli occupano l’ex campo di concentramento di Fossoli, vicino a Carpi, per costruire la loro nuova città. Abbattono muraglie e reticolati, mentre accanto alle famiglie di mamme di vocazione si formano le prime famiglie di sposi, che chiedono a don Zeno di poter accogliere i figli abbandonati, decisi ad amarli alla pari di quelli che nasceranno dal loro matrimonio. Il 14 febbraio 1948 approvano il testo di una Costituzione che verrà firmata sull’altare. L’Opera Piccoli Apostoli diventa così Nomadelfia, che significa dal greco: “Dove la fraternità è legge”. La storia continua: il “”Movimento della Fraternità Umana” nel 1959, le opposizioni, lo scioglimento imposto dal Sant’Uffizio, la laicizzazione di don Zeno, il nuovo terreno di Grosseto, la seconda “prima messa”. Don Zeno muore il 15 gennaio 1981. Questo libro racconta la sua storia.
Remo Rinaldi è nato a Mirandola (Modena) nel 1932. Ha operato nei settori della formazione professionale e dell’amministrazione del personale. Studioso di storia contemporanea, ha indagato su importanti e trascurati avvenimenti socio-religiosi accaduti nel Modenese del dopoguerra. Per le Edizioni San Paolo ha pubblicato La resistenza di un vescovo. Vigilio Federico Dalla Zuanna vescovo di Carpi tra guerra e ricostruzione (1996) e La Venerabile Mamma Nina Saltini. «Gesù mette sempre a tavola le mie bambine» (2005).
"Dalla mistica alla storia, sempre alla ricerca di lasciarsi trasformare dall'A/altro. Questo è l'itinerario intellettuale, necessariamente incompiuto (pervasiva è la figura del viandante), del gesuita francese Michel de Certeau. L'esperienza dell'estraneità vissuta sulla propria pelle e dell'essere "alterati", cambiati in profondità, dall'incontro con l'A/altro permette al mistico come allo storico di prendere la parola e di narrare. Lasciare spazio all'A/altro provoca una rottura: fa passare da un atteggiamento che tende a ricondurre tutto a sé e al proprio ordine, al modo di Robinson Crusoe - il personaggio del romanzo di Daniel Defoe che riesce a ridurre in schiavitù Venerdì, quindi a sottometterlo alla propria logica -, all'accoglienza di uno squarcio che infrange la coerenza e l'omogeneità dell'identico e del discorso che tutto uniforma e razionalizza. Problematizzando la modernità, de Certeau è attuale in ogni ambito del pensiero." (Giacomo Canobbio)
L’‘apocalisse’ come interpretazione della storia e strumento politico, e la necessità del governo mondiale, furono le istanze di Tommaso Campanella.
La vocazione filosofica gli aprì la strada alla riflessione politica, che gli costò la carcerazione più che ventennale, per un preteso disegno di congiura anti-spagnola, fino alla riconquistata libertà, prima nel seguito infido di papa Urbano VIII, e poi nella Francia di Richelieu. Mentre la storiografia ha nei suoi confronti enormi meriti: pazienti edizioni di opere, decisive scoperte di inediti, illustrazione puntuale di documenti, precisazione di fonti. Nel dibattito interpretativo predomina l’accusa di ‘ambiguità’ che ritiene inconciliabili il Campanella machiavellico ‘ateo devoto’, e il cattolico medievalizzante; il cospiratore e il cortigiano.
In questo profilo biografico l’autore individua un filo conduttore nell’insofferenza verso il disordine del mondo, inteso come falsità, sperequazione, spreco, carestia, malattia, conflitto, e il programma di porvi rimedio una volta per tutte, attraverso un governo universale, risposta politica a quella prima globalizzazione, che parve essere a fine Cinquecento un mondo più unito da navigazione, economia e diffusione della fede cristiana, ma pieno di ingiustizia.
Campanella individuò nel cristianesimo e nella Chiesa cattolica, l’ideologia e la guida di questa trasformazione; mentre l’allarme per l’imminente apocalisse, suonato da calamità naturali e segni celesti, avrebbe dovuto persuadere dell’urgenza della trasformazione, dettarne i ritmi emergenziali, imporne le misure straordinarie: un linguaggio che in fondo ci è oggi piuttosto familiare.
Per la prima volta tradotta dal cinese in lingua occidentale, Dieci capitoli di un uomo strano (Pechino 1608) fu l’opera ricciana di maggior successo. Essa costituisce, insieme a Vero significato del Signore del Cielo (Pechino 1603), un documento prezioso per l’analisi dei temi e dei problemi affrontati nel primo confronto tra civiltà cristiana europea e mondo cinese.
In vari luoghi Ricci presenta questa opera di «etica naturale» con il titolo di Paradossi; in essa espone agli interlocutori confuciani dottrine di filosofia morale sul tempo, sul mondo, la morte, il silenzio, la divinazione, la ricchezza, che inizialmente reputava per essi ignote e paradossali. E giustamente individua nella filosofia stoica dei classici latini, universalizzante ed eclettica, lo strumento privilegiato della comunicazione con i letterati cinesi. Non poteva tuttavia esporre Seneca e Orazio, Cicerone, Epitteto e Marco Aurelio nell’integrale originalità delle loro dottrine, incompatibili, su questioni fondamentali, con il cristianesimo. Egli dunque li presenta in un grandioso apparato di centinaia di criptocitazioni, costretti nelle tesi della dottrina cristiana che finisce per frapporsi come schermo tra due visioni del mondo singolarmente coincidenti. Tale convergenza riesce tuttavia a rendersi visibile, ed è per questo probabilmente che nel titolo originale cinese la paradossalità, la «stranezza» – che è anche straordinarietà – non è più attribuita alle tesi, ma all’uomo che le espone.
Se la «via stretta» che Ricci percorre non è esente da difficoltà e contraddizioni, essa costituisce un oggetto privilegiato di riflessione per chi, oggi, voglia sinceramente esaminare le possibilità di comunicazione del cristianesimo con culture complesse, quali quella cinese.
Un testo che i letterati cinesi del tempo consideravano persino di troppo avvincente lettura, una traduzione chiara ed efficace, un ampio commentario che porta alla luce centinaia di testi classici delle principali tradizioni a confronto, permettono al lettore di formarsi un’idea fondata della grandezza e delle difficoltà che segnarono il primo incontro tra Europa e Cina.
«Non si deve credere, erroneamente, di possedere ancora gli anni trascorsi. Il Ministro del Personale Li mi chiese l’età. Allora stavo per compiere cinquant’anni e dunque gli risposi: – Non ho più cinquant’anni.
Il ministro replicò: – Intende dire che la Sua rispettabile religione considera l’“avere” simile al “non avere”?
Dissi: – No. Siccome gli anni sono già trascorsi e non so dove si trovino adesso, non oserei dire di averli ancora.
Visto che il ministro era perplesso per la mia risposta, continuai: – Ad esempio, se una persona ha cinquanta Hu di riso e cinquanta Yi d’oro e li conserva nel suo deposito, avendo la possibilità di prenderli in qualsiasi momento e di usarli come vuole, può dire di averli. Se il deposito è già vuoto, come si potrebbe credere di possederli ancora? Sommandosi, i mesi compongono l’anno e i giorni compongono il mese. Mentre trascorro un giorno in questo mondo, una volta tramontato il sole, sia l’anno sia il mese sia la mia vita hanno un giorno in meno. La stessa cosa accade quando arrivano l’ultimo giorno del mese e l’inverno dell’anno. Per questo ho detto di non aver più i giorni e gli anni. Col crescere dell’età, giorno per giorno, diminuisce la vita: gli anni sono già trascorsi. Ora, tra il dire di averli e il dire di non averli più, in che cosa consisterebbe l’errore?
Avendo compreso la mia prima risposta, molto soddisfatto il ministro disse: – Ha ragione: se gli anni sono trascorsi, naturalmente non si può dire di averli ancora» (M. R.).
Il testo qui pubblicato, noto anche come i Commentari della Cina, è il resoconto dell’avventurosa penetrazione, fra il 1582 e il 1610, della prima missione cristiana in Cina che abbia lasciato traccia durevole. Esso fu scritto da Matteo Ricci (Macerata 1552-Pechino 1610), il principale artefice dell’impresa, nell’ultimo scorcio della sua vita, e completato da Nicholas Trigault con alcune informazioni tratte da appunti ricciani e con la narrazione della morte dell’autore e delle trattative per la sua sepoltura in terra cinese.
Il primo libro contiene una descrizione sistematica e dettagliata della vita, usi, abitudini e istituzioni della Cina dell’epoca, tanto da rendere l’opera per secoli la fonte principale attraverso cui l’Europa ha attinto notizie su quell’impero. Nei libri successivi si ha quindi la narrazione dell’impresa, con le sue fasi per lungo tempo alterne e il coronamento con l’ingresso e la fondazione di una missione a Pechino. Si vede bene quanti pochi mezzi materiali i missionari abbiano avuto a disposizione, ma anche lo spiegamento di forze intellettuali e culturali, l’acume diplomatico, e spesso l’astuzia, con cui essi supplirono a tale mancanza. Al di là degli espedienti più noti – l’apprendimento tempestivo del cinese, il travestimento da bonzi, poi da letterati confuciani –, i gesuiti mirarono in primo luogo a mostrare l’ampiezza e la profondità dei risultati raggiunti dalla cultura in Occidente. Lasciando inizialmente a margine la dottrina, Matteo Ricci – reduce dalla più avanzata formazione scientifica che un uomo della seconda metà del ’500 potesse avere – si curò principalmente della traduzione in cinese dei libri di Euclide, della stesura di opere a carattere morale-filosofico, della costruzione di strumenti per la misurazione terrestre e astronomica, dell’edizione di mappamondi, dell’introduzione di nuovi criteri calendaristici; soprattutto della costruzione di orologi – perizia grazie alla quale, innanzi tutto, furono accettati alla corte di Pechino. Dall’altro lato, egli approfondì la conoscenza dei maggiori classici cinesi e delle diverse “religioni” diffuse nel territorio, per potersi confrontare ad armi pari su qualsiasi questione gli venisse posta. Il suo atteggiamento aperto e sensibile ai problemi della comunicazione con una cultura totalmente “altra” può essere una delle cause per cui, almeno fino all’inizio del ’900, il nome di Ricci è stato singolarmente dimenticato e la sua opera ascritta senza troppi scrupoli a Nicholas Trigault, che peraltro l’aveva resa disponibile in una propria versione latina.
Il testo, oltre alla sua efficacia narrativa, alla forza dello stile che unisce in modo sorprendente la concreta secchezza del giudizio con la vastità della prospettiva culturale, e lo iscrive a pieno titolo nella tradizione di classici come Erodoto, Tacito o Tito Livio, è soprattutto il resoconto dell’impatto fra due tradizioni millenarie il cui esito è ancora tutto da interpretare e i cui insegnamenti potrebbero costituire una guida preziosa nel crescente disorientamento determinato dalle odierne figure dell’estraneità.