
Descrizione dell'opera
Sotto la forma sorprendente di “memorie”, Claverie offre il racconto ricchissimo di una esperienza umana e spirituale. Il religioso immaginario, che lungo le pagine rilegge la propria vita raccontandola a un interlocutore, è detto anonimo. Alla fine del percorso ne viene svelato il motivo: quella figura «sei tu, sono io, è chiunque – uomo o donna – sia entrato nella vita religiosa».
Nato come predicazione per gli esercizi spirituali, il manoscritto è stato redatto attorno al 1980, quando l’autore aveva quarantadue anni ed era domenicano da venti. Esso ben sintetizza l’idea centrale della predicazione di Claverie sulla vita e il suo orientamento: la volontà di prendere sul serio la condizione umana e le aspirazioni più elementari di ognuno. Egli sottolinea come la particolarità della vita religiosa si limiti ai mezzi impiegati per diventare più umani, vocazione comune a tutti i cristiani e a tutti gli uomini.
Sommario
Presentazione (suor Anne-Catherine Meyer op). Introduzione. 1. Non sapevo il mio nome… 2. Nel nome del Signore… 3. Battezzato nel nome del Signore. 4. Una vita nuova nello Spirito. 5. Qui comincia la mia vita. 6. Il coraggio di credere. 7. Sperare contro ogni speranza. 8. La forza di amare. Un desiderio per Dio. 9. Dov’è dunque la sorgente? 10. Una sorgente di rinnovamento: l’eucaristia. 11. Vita comune? Conclusione.
Note sull'autore
Pierre Claverie è uno dei martiri del XX secolo. Domenicano e vescovo, fu ucciso il 1° agosto 1996 a Orano (Algeria). Era nato ad Algeri nel 1938, da famiglia francese stabilita in Algeria da quattro generazioni. Nel mezzo della guerra d’Algeria decise di farsi religioso per donarsi «fino in fondo a qualcosa» che sentiva essere «la cosa più bella del mondo». Per le EDB ha pubblicato Dare la propria vita. Meditazioni sull’Eucaristia (2005).
Un libro-testimonianza, dal linguaggio vero, ricco di provocazioni su quel fenomeno, ormai globalizzato, che è la tratta di donne e minori migranti, nuova forma di schiavitù a scopo di sfruttamento sessuale. Questa grave realtà di violenza mette il lettore di fronte alle scottanti questioni del rispetto della vita umana e della dignità della donna, nel più ampio contesto della migrazione dei popoli, delle ottusità burocratiche, della inadeguatezza delle scelte politiche, della distribuzione iniqua delle risorse e della ricerca faticosa di un'etica responsabile. L'impegno creativo e appassionato di una comunità religiosa, in un territorio particolare come quello casertano, traccia qui un percorso possibile rispetto a quelle angoscianti problematiche. Il contenuto del libro nasce da un concerto di voci: suore, giovani donne vittime di sfruttatori, presenze amiche, giornalisti, scrittrici, rappresentanti di istituzioni ecclesiali e laiche, che si armonizzano e convergono per generare ed esprimere, da una realtà di dolore e schiavitù, cammini di vita e di liberazione. Un libro che racconta gesti di tenerezza che leniscono ferite e infondono fiducia, parole che dicono impegno di vita e pubblica presa di posizione a favore della donna oppressa, sogni condivisi che hanno in sé l'ardire di liberare la speranza. Il volume è introdotto da una testimonianza sulla comunità di Dacia Maraini.
Gennaio 1960. Un ragazzo cammina per strada. È uscito da scuola. A casa, ad aspettarlo, la madre operaia, il padre invalido. La povertà e la dignità nella luce di una fede semplice e pura. Il ragazzo non torna a casa, va all'oratorio. Virginio ha scoperto la vocazione. Autunno 1962. In seminario, lo studio, i giochi. La vitalità dell'adolescenza stride col rigore delle regole. La forza della fede vince su tutto. Giugno 1969. Prete, il primo incarico, in Bovisa, quartiere operaio nella periferia di Milano, disagio sociale e voglia di riscatto. Voglia di protestare e di abbattere le porte dell'indifferenza. Don Virginio è in prima fila. Aprile 1981. Tre giorni in un monastero a fianco del cardinale Martini, immerso nel suo sguardo colmo di attesa e di fiducia. La nuova spinta, a partire ancora una volta dagli ultimi. Poi la direzione della Caritas ambrosiana. Infine la realizzazione di Casa della carità. "Non per me solo" offre al lettore l'esperienza di vita di un sacerdote che ha fatto una scelta, che rinnova ogni giorno. Mettersi a servizio degli altri. Disabili, donne maltrattate, senza tetto, rom, migranti. Questo libro dà voce a tutti gli esclusi dalla società a cui la vita di don Virginio si è intimamente legata, fino all'ultimo approdo in Casa della carità, la casa di accoglienza voluta da Carlo Maria Martini e presto diventata faro di umanità solidale nella nebbia della metropoli milanese.
Entrata nel 1998 al Carmelo di Magyarszék (Ungheria), suor Kinga della Trasfigurazione scopre nel 2006 di avere un cancro. Di fronte all’evoluzione inesorabile del male, offre tutta la sua vita senza riserve. Nell’abbandono più fiducioso, nove mesi prima di morire, la priora le chiede di scrivere un diario. Al cuore stesso della prova, dà conto della speranza che la fa vivere giorno dopo giorno, dice con semplicità il suo cammino interiore, il suo sì indefettibile al Signore per offrire con Lui la sua sofferenza, per trovare il senso della sua vita, della sua malattia e morte ormai prossima.
Questo Diario permette di conoscere la vita, ma soprattutto la storia di grazia nella vita di suor Kinga della Trasfigurazione. Il libro è un ottimo aiuto per vivere la malattia con speranza, nella consapevolezza cristiana che la luce della risurrezione si accende nel buio del sepolcro e il cammino verso l’alto passa attraverso l’abbassamento e la discesa agli inferi.
Prefazione di Saverio Cannistrà,
Preposito Generale dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi.
Postfazione di fra Iacopo Iadarola, ocd.
Judit Büki, in religione suor Kinga della Trasfigurazione, nasce a Budapest il 15 agosto 1973. Trascorre dieci anni al Carmelo, occupandosi con amore e dedizione di diverse attività, tra cui la scrittura delle icone. Per tre lunghi anni lotta contro il cancro. Muore il 24 agosto 2009, festa dell’apostolo san Bartolomeo e anniversario dell’inizio della Riforma del Carmelo, con il conforto della madre priora e delle consorelle.
In Pakistan giovani cristiane, in parte minorenni, vengono rapite e costrette, con minacce di morte e attraverso veri e propri complotti, a convertirsi all'islam. Segue poi il matrimonio forzato con un musulmano. Invano le famiglie, duramente provate, tentano di trascinare in tribunale i rapitori e di riavere le figlie. Le sofferenze di queste giovani donne e dei loro familiari sono quasi inimmaginabili. Il giornalista Daniel Gerber è stato in Pakistan a conoscere le donne liberate e coloro che le hanno aiutate. Questo è il suo libro testimonianza.
Queste pagine raccontano la riscoperta di un Amore, di un rapporto filiale tra una giovane donna e Dio Padre. Il luogo in cui si svolgono gli eventi non è uno qualsiasi, ma un posto molto speciale: Assisi. Come san Francesco, anche Fortuna conosceva il Signore per sentito dire, ma non ne aveva mai fatto un'esperienza autentica. Arrivata nella piccola città umbra viene a contatto con una realtà fatta di incontri, di parole ascoltate e meditate, di preghiera, di lacrime, di gioia. Con grande semplicità e un tocco di umorismo tipicamente napoletano, l'Autrice prende per mano il lettore e racconta come la Provvidenza abbia guidato ogni suo passo per condurla dalla "schiavitù dell'Egitto" a una terra dove "scorre latte e miele". L'intento di Fortuna è proprio quello di testimoniare come la potenza della Resurrezione è un dono che Dio vuole fare a ogni persona, in qualsiasi condizione si trovi: basta solo aprire il cuore e mettersi in ascolto.
Il drammatico racconto in prima persona di come un medico del bergamasco si sia trovato a fronteggiare la pandemia di Covid-19.
Il Covid-19 nella sua prima ondata ha colpito più che in ogni altra parte del mondo il territorio bergamasco e simbolo di questa tragedia sono state le colonne di mezzi militari che portavano fuori provincia le salme dei defunti. Proprio a Bergamo opera l’Autore di questo libro, medico di famiglia attivo tra la gente di paese. Non si tratta di una denuncia degli errori commessi, della sottovalutazione e della cattiva gestione della pandemia, ma del racconto di una dura prova affrontata operando in condizioni critiche, senza direttive precise, senza protezione e senza la formazione necessaria di fronte a un virus nuovo e sconosciuto. Ma sono proprio gli avvenimenti più duri e dolorosi a rivelare chi siamo, di cosa siamo capaci e, soprattutto, chi amiamo.
Il confessore argentino di papa Francesco si racconta e racconta il suo rapporto con Bergoglio, nato molto prima dell’elezione al soglio pontificio. Illumina così il senso di un’idea di peccato e di misericordia, quella del Papa, nata nella povertà dell’America Latina e nella consuetudine quotidiana con gli ultimi della Terra, con i loro problemi e con i compromessi quotidiani della loro vita. Un libro autobiografico che racconta con un taglio inedito gli anni formativi di Bergoglio, ma anche un libro dai contenuti filosofici e politici perché va alle radici del messaggio rivoluzionario di inclusione di papa Francesco, quello perfettamente riassunto nella celebre domanda che ha conquistato i cuori: “Chi sono io per giudicare?”.
L'abbé Henri Huvelin ( Laon 1838 - Parigi 1910) è una delle figure più interessanti del mondo ecclesiale e civile, francese ed europeo, tra XIX e XX secolo. È stato un uomo dall'intelligenza fuori dal comune che ha «scelto di essere il Vangelo vivente manifestandone la bontà», mettendosi a servizio degli uomini e delle donne del suo tempo attraverso la predicazione, la cura pastorale e l'accompagnamento personale. Tra i segreti di Huvelin come guida spirituale, ci fu non solo la sua intelligenza e cultura, ma anche la sua straordinaria capacità di ascolto, che esercitava anzitutto nei confronti del proprio tempo. Quel «cercare di vedere» e «di scoprire» diventava per lui un aiuto per conoscere gli altri. La lettura di questo testo ci aiuti a dare sempre più valore all'ascolto, alla cura dei legami, all'accompagnamento umano e spirituale, forme concrete per portare, oggi, «il Vangelo con la vita». «La cosa migliore è cercare di vedere ciò che c'è di bene nel tempo in cui si vive, cercare di scoprire ciò che c'è di bello e di grande».
Irena Sendler (1910-2008) partecipò alla resistenza polacca durante la seconda guerra mondiale. Attivista del movimento clandestino ˚egota, era assistente sociale di professione. Come tale aveva accesso al ghetto di Varsavia,dal quale riuscì a salvare circa 2500 bambini. Numerosi i sotterfugi utilizzati: fughe con il tram, le ambulanze, attraverso cunicoli sotterranei, persino passando per il palazzo di giustizia o le fognature. Posti in salvo i bambini,Irena forniva loro documenti falsi e si occupava di trovare un alloggio presso famiglie cristiane, conventi e orfanotrofi. Nel 1943 fu arrestata dalla Gestapo,che però non si rese conto dell’importanza della persona che aveva in mano: sottoposta a tortura, non rivelò l’esistenza della Zegota e non tradì i suoi compagni. Condannata alla fucilazione,riuscì a fuggire grazie all’aiuto della resistenza polacca. Il 15 dicembre 1965 Irena Sendler fu riconosciuta dallo Yad Vashem Giusta tra le Nazioni. La sua vicenda venne riscoperta nel 1999 da quattro ragazze della cittadina americana di Uniontown, nel Kansas,le quali allestirono uno spettacolo teatrale, La vita in un barattolo, che portò alla ribalta internazionale la sua storia.
AUTRICE
Anna Mieszkowskaè autrice di alcuni volumi dedicati a figure di spicco della storia e della cultura polacca.
Dopo aver scritto 'Perchè vuoi scappare?' sulle avventure delle prime Famiglie in Missione in Olanda, ho pensato: e i figli? Non sarebbe giusto dare la parola anche ai figli? (molti dei quali nel frattempo sono diventati giovani adulti)... Quando ho chiesto ai figli di scrivere la loro esperienza, la proposta è stata accolta da tutti con entusiasmo, ma poi ognuno ha reagito a modo suo. C'è chi ha la penna facile e invece chi dà più rilievo ai fatti che alle parole scritte; c'è anche chi è così preso tra famiglia, lavoro ed evangelizzazione, che non riesce a trovare un momento per fermarsi a scrivere. Ho insistito a tempo e fuori tempo, tempestato di email, allungato il tempo di scadenza... E alla fine ecco il raccolto: abbondante e stupefacente.
Il 5 agosto 2015 la città è caldissima, qualcuno è già in vacanza, altri cercano un po' d'aria nei giardini del quartiere. Anche Andrea Soldi è seduto su una panchina, ma quella è la "sua" panchina sempre, in ogni stagione. Lì si rifugia quando i pensieri lo assalgono, lì trova conforto e si sente a casa. Andrea soffre da anni di schizofrenia, la madre, il padre e la sorella sono il suo sostegno e piazza Umbria il posto del cuore. Ha quarantacinque anni, non è violento, non è mai stato pericoloso, eppure, quel 5 agosto morirà a causa di un Trattamento sanitario obbligatorio eseguito da alcuni vigili urbani e dal personale medico. Il processo è arrivato ora alla fase d'appello, ma questa forse è la cosa meno importante della storia. Dopo la morte, la famiglia Soldi ha trovato alcune pagine che erano il diario di Andrea in cui la trascrizione lucidissima della sofferenza illumina il percorso psicologico e i silenzi che per anni lo avevano avvolto. Matteo Spicuglia è un giornalista che ha seguito il caso e non si è fermato alla cronaca: a partire da quel diario e dai ricordi del padre e della sorella di Andrea, allarga lo sguardo dalla panchina su cui è morto al mondo della malattia psichica e dalla famiglia torinese alle tante altre che devono convivere con pregiudizi e inadeguatezza dei servizi medici e sociali nella gestione di patologie che soffrono ancora lo stigma sociale. Nel diario Andrea aveva scritto di sperare che la sua fatica e il suo dolore non passassero invano; questo libro è il motivo per cui ciò non avverrà.