
Glory Boughton ha trentotto anni qandò una delusione amorosa la riporta nella natia Gilead per occuparsi del vecchio padre e della consunta casa avita. Il fratello Jack ne ha qualcuno di più allorché, pochi mesi più tardi, bussa alla stessa porta in cerca di un approdo per il suo spirito tormentato. Le braccia del patriarca si aprono ad accogliere il più amato dei suoi otto figli, il più corrotto, il più smarrito. Ma il suo cuore e la sua mente faticano a fare altrettanto. Nella versione robinsoniana di quella che l'autrice definisce la più radicale delle parabole evangeliche - capovolgendo, come fa, le nozioni di merito e ricompensa -, l'accento cade sul momento successivo a quello della festosa accoglienza: il momento del perdono, della piena reintegrazione nella casa del padre, laddove il limite umano si fa più invalicabile. Il terzo romanzo di Marilynne Robinson ci ripropone un mondo familiare: l'immobile cittadina agraria di Gilead, "fulgida stella del radicalismo" nella sarcastica rivisitazione di Jack; la metà degli anni Cinquanta, con i loro scontri razziali e la loro sedata quiescenza; il venerabile pastore presbiteriano Robert Boughton, ormai troppo stanco, e i suoi due figli più interessanti, la dolente Glory e l'oscuro Jack. Stesso luogo, tempo, personaggi del precedente "Gilead", dunque (compagno contiguo anziché sequenziale di questo "Casa"), ma diversa prospettiva a illuminare da un'altra angolazione più trascendente e insieme il più terreno dei temi: 'nostos', il ritorno a casa.
Dall'autore di "Le correzioni", una raccolta di saggi che hanno come filo conduttore l'erosione dei valori civili, il persistere della solitudine nell'America postmoderna e la fiducia nella letteratura come mezzo per sfuggire alla tragicità del destino individuale. I testi spaziano tra diversi generi: si va dal saggio letterario al racconto autobiografico, dal pezzo di costume al giornalismo d'indagine. I testi sono stati pubblicati in diverse riviste americane fra il 1994 e il 2001.
Dopo il recente "Pirati e altri avventurieri", Fernando Savater dedica un nuovo volume ai romanzi d'avventura e all'arte di raccontare storie. Naturalmente non mancano neppure qui gli 'avventurieri', e tuttavia cambiano i mondi che li vedono agire, che vanno dagli affascinanti paesaggi dell'Africa e dalle sterminate pianure del Far West, ai luoghi immaginati dai maestri della fantascienza di ieri e di oggi. Al centro gli scrittori più amati, come Jules Verne e come H.G. Wells; ma senza trascurare un corollario di scrittori oggi meno rinomati ma le cui opere restano intramontabili, a cominciare da quell'Arthur C. Clarke cui si deve il racconto da cui Stanley Kubrick trasse il suo indimenticabile "2001 Odissea nello spazio". Come sempre, Savater riflette a tutto campo e in profondità su ciascuno dei temi, degli autori e delle opere trattate, spaziando tra letteratura e cinema, tra grandi personaggi e grandi interpreti; ma lo fa soprattutto come un lettore appassionato e instancabile che lotta contro ogni pregiudizio che vada ad inficiare il piacere della lettura, che si tratti di Tolkien o che si tratti di Harry Potter, perché in definitiva l'arte di raccontare è anche l'arte di saper leggere.
È un caldo giorno di primavera del VII secolo quando nel Borgo a oriente del Delta egiziano, dove vive una piccola comunità cristiana, arrivano i mercanti arabi. Costantinopoli è lontana e, in questa parte dell'Impero, non vi è traccia della strenua lotta di Eraclio I di Bisanzio contro Persiani e Arabi. Dai loro brulli deserti, i mercanti arrivano con le loro larghe mantelle rigate di fili luccicanti, i turbanti bianchi, gli occhi truccati con il kohl, alla ricerca di donne in un villaggio abituato a svuotarsi delle risate delle vergini. Salama, il mercante di una famiglia chiamata "nabatea", poiché discendente dai Nabatei, il popolo dell'antica Petra, è venuto a prendersi Marya, una bella ragazza bianca come il cuore del grano, con occhi limpidi e grandi, ciglia spesse del colore delle notti d'inverno. È venuto accompagnato dal fratello minore, noto ai mercanti come "lo Scriba", perché è colui che scrive i contratti commerciali, e come il "Nabateo", sebbene tutti loro siano nabatei. Coi suoi tratti fini e gentili, la veste bianca e pulita e il turbante che emana un tenue profumo, il Nabateo, così diverso da Salama che ha la testa piccola e il collo lungo, un leggero strabismo e un naso troppo grande, colpisce al cuore la giovane Marya. AI pensiero di vivere tutta la sua vita con Salama nel deserto e di lasciare sua madre e il Borgo, Marya si rattrista, tuttavia non si ribella al proprio destino...
Sessant'anni di fotografie che riassumono la vita del più grande alpinista di tutti i tempi, commentate da brani tratti dai diari delle salite. Potrebbe essere un atlante geografico: non c'è angolo del pianeta che non sia rappresentato, dalle Dolomiti all'Everest, dal deserto del Gobi al Taklimakan, dalla Nuova Guinea alle Ande, dal Kenya al Caucaso... Potrebbe essere un libro di storia dei costumi e delle tradizioni: Messner non è solo l'alpinista che cerca di superare il limite in alta quota, è anche il viaggiatore interessato alle persone che incontra, ai villaggi sperduti, all'arte orientale... Potrebbe essere un libro di memorie: dalle prime fotografie in bianco e nero che ci parlano del mondo di un altro millennio e che rappresentano un ragazzo con i calzoni alla zuava appeso alle pareti strapiombanti delle Dolomiti, ai panorami spettacolari dei ghiacciai perenni dell'Himalaya negli anni dei 14 ottomila in stile alpino. È il grande libro di Reinhold Messner: il bilancio di una "vita al limite", la storia di un moderno Ulisse.
Le tappe di un viaggio umano e professionale straordinario, alimentato dalla spinta di una curiosità insaziabile, caratteristica fondamentale dell'uomo prima ancora che dello scienziato. I ritratti di familiari, di maestri come Adriano Buzzati Traverso e di compagni di studio e di lavoro illustrano e accompagnano parole e ricordi, il ritratto vivido e inedito di uno dei più influenti intellettuali del ventesimo secolo. Sullo sfondo le immagini dei luoghi: il laboratorio di Ronald Fisher a Cambridge, la foresta tropicale della Repubblica Centrafricana, un'avventurosa traversata del Sahara, il Botswana dei boscimani e le aule universitarie di Stanford.
"La testa fra le nuvole è un omaggio alla letteratura, alla forza del sogno e della fantasia. Ed è un omaggio alla letteratura che mi ha formata più di tutte le altre, quella della cosiddetta Mitteleuropa. Ruben è il nipote di Karl Rossman di "America", il cugino del protagonista di "Ho servito il re d'Inghilterra". Lo svagato, l'irregolare, lo Schlemihl che si aggira stupito e maldestro nella realtà degli uomini grandi, degli uomini che non scorgono l'insensatezza della vita. Ruben è anche una parte del mio carattere che, con la saggezza degli anni, ho imparato a mascherare abbastanza bene ma che è sempre presente, che mi fa sempre scendere dalla parte sbagliata e imboccare con sicurezza le porte dei gabinetti, convinta che siano l'uscita sulle scale e conversare amabilmente, nelle cene importanti, con la cameriera convinta che sia la padrona di casa." (Susanna Tamaro)
Negli ultimi anni della sua vita Jorge Luis Borges si dedica a indimenticabili dialoghi radiofonici con lo scrittore Osvaldo Ferrari. Queste conversazioni non nascono espressamente come interviste, ma dal piacere condiviso di trattare e discutere su temi vari, nonostante la differenza di età. I dialoghi vengono poi raccolti in tre volumi tra il 1985 e il 1987; una selezione appare nel 1992 in Argentina e in Spagna, e viene poi tradotta in Francia, Italia, Portogallo, Svizzera e Germania. Quest'ultimo volume è pubblicato per la prima volta in Argentina in occasione del centenario della nascita dell'autore e raccoglie dialoghi inediti fino a quel momento. Si tratta del libro definitivo delle "conversazioni", e si concentra (tranne quella iniziale, che è la prima dei tre anni di collaborazione) sui temi tipici di Borges: la letteratura fantastica, la fantascienza, il tempo, il caso, Gesù Cristo e il cinema; o sulla propria opera letteraria o quella di altri autori, come James Joyce, Oscar Wilde, Adolfo Bioy Casares e Robert Louis Stevenson...
Niko vive a Copenhagen con la sorella maggiore Sos da quando la mamma, popstar famosissima, e il padre postino sono scomparsi in un incidente stradale. Niko vive alla giornata: è imbranato con le ragazze di cui si innamora, scombinato a scuola e nella vita, insofferente verso chi lo ama, rissoso quando si riunisce con l'amico e coetaneo Jeppe e insieme danno la caccia a qualche malcapitato compagno di strada. Niko vive ma la sua vita non sembra avere alcuno spiraglio e l'amore di sua sorella non potrà più essergli sufficiente. Tutto sembra precipitare, quando si intrufola in casa sua un ragazzone hippy, sordo alle proteste e ai colpi di Niko, che dice di chiamarsi Gesù Cristo e di essere venuto a fare di lui un ragazzo migliore. Niko non sa (e non saprà mai) se quello strano tipo è veramente Gesù o un pazzo mitomane ma inizia a dargli retta e a seguire un decalogo per uscire fuori dal suo tunnel. Primo comandamento: lasciare Copenaghen e tornare nel paese dove sua mamma è nata; poi si vedrà. "Il mio amico Gesù" è il racconto feroce e tenero di un viaggio forzato verso la felicità di un giovane che non l'avrebbe mai potuta toccare. E che importa, infine, se il sedicente Gesù sia tale veramente o un ragazzotto pieno di fantasia?
Questo volume contiene l'ultima parte delle interviste radiofoniche concesse dal Socrate argentino al suo connazionale Osvaldo Ferrari. Ritorna l'ormai familiare tono di elegante divagazione, proprio di questo pronipote di anglosassoni che, paradossalmente, si è tentati di prendere per uno scrittore inglese che si esprime in spagnolo. E col tono si ripropongono i temi, le frequentazioni, le curiosità, le passioni intellettuali, estetiche e morali di uno scrittore per più versi singolare, anzi unico nel Novecento. Chi è Borges? Possiamo riferire a lui l'immagine ch'egli traccia di Shakespeare, come di uno che sia insieme tutti e nessuno: l'immagine dello scrittore che si annulla nell'opera. La sua cultura, insieme ironica ed eccitata, paradossale e commossa, che nessuna presunta verità intimidisce, è sempre pronta a far posto al sentimento della dignità dell'uomo e della sua interezza. Perché, se il gioco a cui mira Borges può sembrare a volte gratuito, non si può dimenticare l'esempio di uno stoico scetticismo che, rifiutando la pura negazione, affida al potere della parola quel che d'illusione segreta è da salvare e tramandare.
Una pazza, una mitomane: nessuno al Quai sembra avere dubbi. La compunta, esile vecchietta in abito grigio, cappello e guanti bianchi, che vuole ad ogni costo essere ricevuta da Maigret - perché solo lui può aiutarla: questione di vita o di morte -, deve avere qualche rotella fuori posto. Oltretutto la storia che Léontine racconta a uno sconcertato Lapointe è quanto meno bizzarra, anche per chi ne ha viste di tutti i colori. Pare che da un po' di tempo nel suo appartamento di quai de la Mégisserie, dove vive sola dopo la scomparsa del secondo marito, gli oggetti cambino posto, e che qualcuno la segua. Fantasie, è chiaro: la vecchiaia e la solitudine giocano brutti scherzi. Eppure, quando una sera la "vecchia pazza" - come la chiamano al Quai - lo abborda per strada, Maigret è assalito dai dubbi: quella donna sprigiona una straordinaria energia e i suoi occhi esprimono bontà, e una sorta di meravigliato, seducente candore. Che la sua strampalata storia sia vera? I dubbi di Maigret si tramutano in certezza allorché Léontine viene crudelmente assassinata: qualcuno l'ha soffocata con un tessuto rosso, di cui le sono rimasti in bocca dei fili. Un delitto inspiegabile, incomprensibile. Léontine aveva pochi gioielli, e teneva in casa una modesta somma di denaro. Cosa cercava, allora, l'assassino? Per quanto incredibile possa sembrare, è evidente che l'appartamento affacciato sulla Senna cela un segreto, un segreto tanto tremendo da giustificare il sacrificio di un essere umano.
Nel 1941, subito dopo essersi affermato, il noir rivolse le sue armi contro se stesso - con questo libro, che alla ferocia del genere assomma quella, anche più implacabile, del mèlo. Fino alla sua uscita, le dark lady di innumerevoli romanzi (e di altrettanti film) usavano la seduzione per condurre qualsiasi maschio capitasse loro a tiro a forme di distruzione spesso molto peggiori della morte. Ma qui Cain - che di quelle storie aveva già scritto uno degli archetipi più potenti e imitati, "Il postino suona sempre due volte" - va molto oltre. Con le sue letali sorelle Mildred Pierce ha in comune il carattere, la capacità di andare dritta allo scopo - peraltro rispettabile, e cioè raggiungere un qualche benessere nell'America della Grande Depressione - e un fondato scetticismo nei confronti del genere maschile. Sul quale infatti trionfa, salendo uno alla volta tutti i gradini di un successo insperato, per una casalinga californiana malamente abbandonata dal marito. E in effetti niente sembrerebbe poter fermare l'ascesa di Mildred: niente, se non la sua immagine rovesciata, sua figlia Veda, la creatura forse più demoniaca di tutta la narrativa nera.