
Molly Gray non è come tutti gli altri. Fatica a intrattenere rapporti sociali e interpreta a modo suo le intenzioni di chi le è vicino. La nonna, che l'aveva cresciuta, rielaborava il mondo per lei, codificandolo in semplici regole secondo le quali Molly poteva vivere, ma da quando la nonna è morta, la venticinquenne Molly ha dovuto affrontare da sola le complessità della vita. Lanciandosi con ancor più passione nel suo lavoro di cameriera d'albergo. Il carattere riservato, il suo amore ossessivo per la pulizia e l'ordine, la rendono una cameriera eccezionale. Si diverte a indossare la sua uniforme impeccabile ogni mattina, a rifornire il suo carrello di saponi e bottiglie in miniatura e a riportare le camere degli ospiti del lussuoso Regency Grand Hotel a uno stato di perfezione. Ma la vita ordinata di Molly viene sconvolta quando entrando nella suite del milionario Charles Black lo trova morto. Assassinato nel suo letto. Prima che Molly capisca cosa sta succedendo, il suo comportamento insolito insospettisce la polizia, che la considera la principale sospettata. Si ritrova presto intrappolata in una rete di inganni, che non ha idea di come districare. Fortunatamente per Molly gli amici che non ha mai saputo di avere la aiutano nelle indagini alla ricerca del vero assassino. Riusciranno a trovarlo prima che sia troppo tardi? Molly, però, non ha raccontato tutto ciò che ha visto quando ha trovato il cadavere, e l'ha fatto per una ragione ben precisa...
11 settembre 1683: dopo due mesi di assedio, l’armata turca lancia l’assalto finale alle mura di Vienna.
12 settembre 1683: quando ormai tutto sembra perduto e le armate cristiane stanno per soccombere, arrivano in soccorso gli Ussari Alati polacchi, con una carica leggendaria che travolgerà l’esercito turco e garantirà all'Europa almeno tre secoli di libertà.
Questa è la storia del cavaliere ussaro Jacob – orfano, schiavo, guerriero, marito, padre – e di come il coraggio, la generosità e la passione di coloro che amano possano cambiare la Storia più delle decisioni dei "potenti".
Silvana De Mari è nata a Santa Maria Capua Vetere, l'antica Capua di Spartaco, nel 1953.
Le fate madrine le hanno portato in dono interessanti talenti, ma una fata dispettosa - che non era stata invitata al battesimo - ha aggiunto ai talenti un carattere non proprio conciliante, che Silvana, col senno di poi, considera forse il dono migliore.
Nonostante il caratteraccio (o forse grazie a quello) è orgogliosamente sposa di un uomo buono e con un carattere altrettanto poco conciliante, madre di un figlio con tutte le virtù del padre; medico chirurgo, psicoterapeuta e autrice di saggi e di libri fantasy amati da schiere di lettori.
Il famoso caratteraccio (vero grattacapo in questi tempi politicamente corretti e molto impressionabili dalle opinioni divergenti), le ha altresí conquistato tantissimi nemici, che lei, cristianamente, si sforza ogni giorno di affidare al loro angelo custode, che si dia da fare.
Assaf è un sedicenne timido e impacciato a cui viene affidato un compito singolare, se non impossibile: ritrovare il proprietario di un cane abbandonato seguendolo per le strade di Gerusalemme. Correndo dietro all'animale il ragazzo giunge in luoghi impensati, di fronte a strani, inquietanti personaggi. E poco a poco ricompone i tasselli di un drammatico puzzle: la storia di Tamar, una ragazza solitaria e ribelle fuggita di casa per salvare il fratello, tossicodipendente, finito nella rete di una banda di malfattori. È la svolta nella vita di Assaf, che decide di andare fino in fondo, di "correre" con Tamar. "Qualcuno con cui correre" è un romanzo di forza dickensiana, avventuroso e incalzante, ricco di colpi di scena e di pagine di puro terrore. Ma soprattutto è un libro capace di penetrare come nessun altro nel mistero dell'adolescenza, superando chiusure e difficoltà per mostrarci la generosità e la grandezza di cui i giovani sono capaci.
Un bambino, sua madre. Due vite fragili tra altre vite fragili: donne e uomini che passano sulla terra troppo leggeri per lasciare traccia. Intorno, a contenerle, un luogo che non dovrebbe esistere, eppure per qualcuno è perfino meglio di casa. Lorenzo Marone scrive uno struggente romanzo corale, un cantico degli ultimi che si interroga, e ci interroga, su cosa significhi davvero essere liberi o prigionieri. Diego ha nove anni ed è un animale senza artigli, troppo buono per il quartiere di Napoli in cui è cresciuto. I suoi coetanei lo hanno sempre preso in giro perché ha i piedi piatti, gli occhiali, la pancia. Ma adesso la cosa non ha più importanza. Sua madre, Miriam, è stata arrestata e mandata assieme a lui in un Icam, un istituto a custodia attenuata per detenute madri. Lì, in modo imprevedibile, il ragazzino acquista sicurezza in sé stesso. Si fa degli amici; trova una sorella nella dolce Melina, che trascorre il tempo riportando su un quaderno le «parole belle»; guardie e volontari gli vogliono bene; migliora addirittura il proprio aspetto. Anche l'indomabile Miriam si accorge con commozione dei cambiamenti del figlio e, trascinata dal suo entusiasmo, si apre a lui e all'umanità sconfitta che la circonda. Diego, però, non ha l'età per rimanere a lungo nell'Icam, deve tornare fuori. E nel quartiere essere più forte, più pronto, potrebbe non bastare.
Il prodigio viene dalla terra, e scuote aria e acqua. Dal cielo piovono pietre incandescenti e cenere, il mare è denso e la costa sembra viva, ogni mappa disegnata è stravolta, i punti di riferimento smarriti. Lucio ha solo diciassette anni e ha seguito l'ammiraglia di Plinio il Vecchio nel giorno dell'eruzione del Vesuvio, ma non può sospettare che il monte che conosce da sempre sia un vulcano. Per quel prodigio mancano le parole, non esiste memoria né storia a rassicurare. Nascosta dalla coltre rovente c'è Pompei, la città che ha visto nascere Lucio e i suoi sogni, dove ancora vivono sua madre, la balia, gli amici d'infanzia, dove ha imparato tutto ciò che gli serve, adesso, per far parte della flotta imperiale a dispetto del suo occhio cieco - anzi, proprio grazie a quello, che gli permette di vedere più degli altri, perché "un limite è un limite solo se uno lo sente come un limite, sennò non è niente". E mentre Lucio tiene in mano, per quanto la Fortuna può concedere, il filo del suo destino, ecco che Pompei torna a lui presente e più che mai viva, nel momento in cui sembra persa per sempre, attraverso i giochi con le tessere dei mosaici, i pomeriggi trascorsi nei giardini o nelle palestre, le terme, il mercato, i tuffi in mare e le gite in campagna, le scorribande alla foce del fiume. La sua intera giovinezza gli corre incontro irrimediabilmente perduta, eppure - noi lo sappiamo - in qualche modo destinata a sopravvivere. Insieme a Lucio, una folla di personaggi, mercanti, banchieri, matrone, imperatori, schiavi, prostitute e divinità, si muove tra le pagine di un romanzo sorprendentemente attuale, in cui niente è già visto: piuttosto ciò che conoscevamo del mondo classico ci appare in un aspetto nuovo, moderno e intimo. Perché il desiderio è nascosto, si innalza dalla terra, è il cuore stesso della terra, e noi siamo terreni.
Tutto comincia nella provincia più dimenticata della Bassa Padana, dove una nonna feroce tiene in scacco la famiglia a colpi di umiliazioni e crudeltà. Il denaro per lei è potere, e il potere è controllo. La nipote, protagonista di questa storia, a cinque anni dice a sua madre: «Quando la nonna Viviana muore ballerò sulla sua tomba con delle scarpe rosse». La madre si sente in colpa: «Come ti ho passato tutto questo? Dal sangue?». Due battute che sono l'esempio dello stile che incendia la pagina. Il sound di un esordio infuocato dai colori cangianti della cattiveria, per cui Chiara Tagliaferri ha orecchio assoluto. E il talento letterario di riprodurla attraverso personaggi femminili memorabili: la nonna, la madre, la sorella, se stessa. Strega comanda colore è un romanzo che sabota l'ipocrisia, è la storia di una ragazza che si oppone alla maledizione che la vita le ha scagliato addosso. Tra violenza, risentimento e tenerezza. La protagonista cresce affamata: vuole l'amore, vuole la bellezza ma vuole ancora di più i soldi. Per liberare chi ama, costruisce pazientemente la sua vendetta. E poi scappa: dalla pianura piena di nebbia arriva in una Roma piena di luce. Sprovvista di tutto, ma determinata a spogliare chiunque di ciò che lei desidera. Rubare agli altri per dare a se stessa diventa il suo vero lavoro. Per riuscirci inganna, mistifica, si scopre bravissima ad accalappiare fidanzati ricchi che tentano inutilmente di colmare le sue voragini. Intanto mente moltissimo, a tutti. Fino a che incontrerà l'unica persona capace di renderla vulnerabile. Una saga familiare luminosa e scellerata, la storia di un'emancipazione che passa attraverso il sangue, l'epopea di una ragazza che impara dal niente un alfabeto emotivo e che si salva anche grazie alla possibilità di un grande amore. Una storia di streghe. Finalmente.
Joseph Marti viene dalle «profondità della società umana, dagli angoli bui, silenziosi, meschini della grande città» e si accinge a varcare la soglia di un'imponente villa sul lago per prendere servizio come assistente dell'eccentrico ingegner Tobler. Si immergerà in un microcosmo borghese dove «famiglia e lavoro sono tanto vicini da toccarsi», abitato dalla sussiegosa moglie di Tobler, dalla ruvida serva Pauline e dai quattro figli che lo guardano «di traverso come un oggetto strano e sconosciuto». Un mondo, in realtà, destinato presto a sgretolarsi: nel volgere di una stagione Joseph - indimenticabile antieroe walseriano dall'esistenza simile a «una giacca provvisoria, un vestito che non calza bene» - assisterà al declino di «padron Toble», le cui dissennate invenzioni lo votano al fallimento. Come Joseph Marti, Walser sembra rivolgere il suo sguardo solo agli avvenimenti minuscoli, alla vita sparpagliata, a tutto ciò che è trascurabile. Il suo tono è leggero, puerile o divagante, il tono delle parole che passano e si cancellano da sole. Tutta la sua esistenza ci riconduce al Bartleby di Melville, l'impeccabile scrivano che non rivelava nulla e non accettava nulla, se non biscotti allo zenzero. «Nulla mi fa più piacere del dare una falsa immagine di me a coloro che ho rinchiuso nel mio cuore» scrisse una volta. E difficilmente potrà evitare l'equivoco su di lui chi non riconosca che ogni sua frase sottintende una precedente catastrofe. È quello che accade in questo romanzodiario, «compendio di vita quotidiana svizzera», come egli stesso l'ha definito, dove Walser riesce miracolosamente a evocare l'abisso che all'improvviso può spalancarsi sulla liscia superficie di un placido lago, a raffigurarne l'orrore e insieme l'attrazione - raggiungendo uno dei vertici della sua arte.
Giuseppe Culicchia, dopo il longseller "Torino è casa mia", torna a esplorare e a raccontare un'altra città del suo cuore, Berlino. Cortili e grattacieli. Biergärten e torri della contraerea. Viali a sei corsie e sentieri nel bosco. Jugendstil e Bauhaus. Liberty e Gotico. Razionalismo Sovietico e Neoclassicismo. A Berlino tutto convive con tutto e con il contrario di tutto. Entrare a Berlino significa proiettarsi automaticamente nel passato, nel presente e nel futuro. A nessun'altra città europea riesce di far convivere questi tre piani temporali in modo allo stesso tempo armonico e contrastante. Passato, presente e futuro a Berlino si compenetrano in ogni dove e basta mettere piede in città per provare la sensazione di ritrovarsi in una sorta di capsula del tempo, capace di attraversare tutto il Novecento e insieme di scagliarci nel mondo che verrà.
Due imperi criminali si spartiscono il controllo del New England. Finché una bellissima Elena di Troia dei giorni nostri non si mette in mezzo tra irlandesi e italiani, scatenando una guerra che li spingerà a uccidersi a vicenda, distruggerà un'alleanza e metterà a ferro e fuoco l'intera città. Se potesse scegliere, Danny Ryan vorrebbe una vita senza crimine e un posto al sole tutto per sé. Ma quando quel sanguinoso conflitto si inasprisce, mettendo i fratelli l'uno contro l'altro, la conta dei morti sale vertiginosamente e lui si ritrova costretto a mettere da parte i suoi desideri e a prendere una decisione che cambierà per sempre la sua esistenza: per salvare gli amici a cui è legato da sempre e la famiglia che ha giurato di proteggere assume il comando, diventa uno stratega spietato, l'eroe di un gioco insidioso in cui chi vince vive e chi perde muore. E forgerà una dinastia che dalle strade polverose di Providence arriverà fino agli studios di Hollywood e agli scintillanti casinò di Las Vegas.
Claudia è solitaria ma sicura di sé, stravagante, si veste da uomo. Francesco è acceso e frenato da una fede dogmatica e al tempo stesso incerta. Lei lo provoca: lo sai che tua madre e mio padre sono amanti? Ma negli occhi di quel ragazzo remissivo intravede una scintilla in cui si riconosce. Da quel momento non si lasciano più. A Claudia però la provincia sta stretta, fugge appena può, prima Londra, poi Milano e infine Berlino, la capitale europea della trasgressione; Francesco resta fermo e scava dentro di sé. Diventano adulti insieme, in un gioco simbiotico di allontanamento e rincorsa, in cui finiscono sempre per ritrovarsi. Mario Desiati mette in scena le mille complessità di una generazione irregolare, fluida, sradicata: la sua. Quella di chi oggi ha quarant'anni e non ha avuto paura di cercare lontano da casa il proprio posto nel mondo, di chi si è sentito davvero un cittadino d'Europa. Con una scrittura poetica ma urticante, capace di grande tenerezza, dopo "Candore" torna a raccontare le mille forme che può assumere il desiderio quando viene lasciato libero di manifestarsi. Senza timore di toccare le corde del romanticismo, senza pudore nell'indagare i dettagli più ruvidi dell'istinto e dei corpi, interroga il sesso e lo rivela per quello che è: una delle tante posture inventate dagli esseri umani per cercare di essere felici. «A volte si leggono romanzi solo per sapere che qualcuno ci è già passato». Claudia entra nella vita di Francesco in una mattina di sole, nell'atrio della scuola: è una folgorazione, la nascita di un desiderio tutto nuovo, che è soprattutto desiderio di vita. Cresceranno insieme, bisticciando come l'acqua e il fuoco, divergenti e inquieti. Lei spavalda, capelli rossi e cravatta, sempre in fuga, lui schivo ma bruciato dalla curiosità erotica. Sono due spatriati, irregolari, o semplicemente giovani. Un romanzo sull'appartenenza e l'accettazione di sé, sulle amicizie tenaci, su una generazione che ha guardato lontano per trovarsi.
«Il 15 giugno di tre anni fa, in una piazza del Campo affollatissima, da un palco lessi il mio discorso d'augurio ai neolaureati dell'Università di Siena, in qualità di ex studentessa dell'ateneo. Quando nel 1996 ero partita con mio padre per immatricolarmi, e in macchina avevamo cantato insieme Lucio Dalla, mai avrei immaginato che sarei tornata lì, anni dopo, per raccontare la mia storia a migliaia di ragazzi sulla soglia del futuro». In quell'occasione Rosella Postorino ha detto loro quale privilegio fosse stato per lei la possibilità di studiare, e di permettersi di sognare di fare la scrittrice. Li ha pregati di rifuggire dalla semplificazione, di provare a indossare i panni degli altri, di sentirsi sempre in difetto di conoscenza, ma soprattutto di non aver paura di inseguire i propri talenti. Quasi tre anni dopo, quel discorso si amplia, si arricchisce: idealmente si rivolge di nuovo a quei ragazzi, e in modo indiretto agli adulti che vivono accanto a loro. Parla di fragilità e di forza, della ricerca maldestra della felicità, e anche dell'amore. Delle domande cui, forse, non c'è risposta. Ma che non dovremmo mai smettere di farci. Un libro ispirato e d'ispirazione che raccoglie riflessioni profonde sui temi più importanti della vita di chiunque, non solo dei ragazzi chiamati ad affrontare un rito di passaggio. Una lettera a cuore aperto, sincera, personale, eppure universale, scritta con l'intenzione di essere un incoraggiamento, o una carezza.
Barni e Domenica Axado sono cresciute insieme a Mogadiscio. La loro è un'infanzia spensierata, all'interno di un ambiente familiare unito e protetto. Allo scoppio della guerra civile, però, sono costrette a separarsi. Barni trova a Roma un faticoso equilibrio grazie al lavoro di ostetrica e riesce a circondarsi di nuovi affetti. Domenica Axado, invece, sradicata e trapiantata in un contesto diverso, inizia a peregrinare senza meta. Solo un decennio dopo, in attesa di un figlio, si ricongiungerà alla cugina: Barni sarà la habaryar, «madre piccola», del bambino, e grazie alla nascita di Taariikh - che significa «Storia» - le due donne potranno finalmente riannodare quei fili che sembravano sciolti per sempre. Alle loro voci che si alternano nella narrazione, e hanno il sapore di un racconto orale, si unisce quella di Taageere, marito di Domenica Axado. I ricordi frammentati piano piano si ricompongono e le esistenze disperse delle persone che hanno fatto parte delle loro vite tornano finalmente a formare un quadro unico. In un mix linguistico dove l'italiano si mescola e segue il ritmo del somalo, "Madre piccola", pubblicato per la prima volta nel 2007, affronta temi ancora oggi di drammatica attualità come i traumi della guerra e il dolore della diaspora.