
Oltre 20 anni di esplorazioni nelle parti meno note del mondo raccontate da Alberto Moravia con le immagini di Andrea Andermann. Un volume di grande formato, illustrato a colori, l'esperienza di due artisti e viaggiatori attraverso le zone più remote di Mongolia, Yemen, Africa. Alberto Moravia e Andrea Andermann per oltre 20 anni sono stati compagni di viaggio, viaggi soprattutto in Africa, in Mongolia e lo Yemen. Da queste loro esplorazioni in parti meno note del mondo, lo scrittore ha riportato le sue variazioni su tanti temi nate dalle profonde esperienze vissute in questi luoghi lontani ed il regista le sue impressioni fotografiche che vanno a ricomporsi in un insolito ed unitario racconto, in cinquecento pagine suddivise fra intense immagini e narrazioni emozionate.
L’ultimo rifugio è lo sguardo che un grande testimone del XX secolo rivolge alla propria vita, legata a doppio filo alle svolte drammatichedella storia. Insieme diario intimo e racconto, questo libro guarda agli anni della fuga dall’Ungheria come a un esilio volontario da un paese che, dopo il crollo del socialismo, manifestava preoccupanti tendenze totalitarie. Trasferitosi a Berlino, Kertész riassapora la ritrovata libertà nella scrittura e nella vita quotidiana, ma il pensiero alla vecchiaia fisica e creativa che si avvicina è inevitabile e doloroso.Tenendo sempre all’orizzonte l’atto della scrittura, giustificazione della sua stessa esistenza, Kertész intreccia una critica tagliente dei tempi moderni e lucide riflessioni sulla storia e sull’arte alla cronaca disarmante del suo declino, che si fa testimonianza della lotta per la dignità di ogni essere umano anche nelle circostanze più estreme.
Luogo deputato a radunare «le deiezioni dell'anima», il diario è il più degradato, il più «gloriosamente abietto» dei generi: ma in Landolfi, ha scritto Manganelli, subisce una radicale metamorfosi. Anziché catalogo di eventi ed emozioni quotidiane, diventa un'invenzione retorica dove passato e futuro si fondono in un «perituro istante» e il tempo risulta annullato; anziché documento privato, diventa, nella sua instabile tessitura di temi, rifiuto di sé. Mutevolmente, in Des mois – terzo pannello dopo LA BIERE DU PECHEUR e Rien va – Landolfi trascorre infatti dalla particolare coloritura delle immagini di sogno, irriproducibili dalla parola, alla segreta fraternità con una gatta (i gatti sono per lui i soli animali che conoscano la noia umana, quella legata al vuoto, al «tempo senza fondo»); dal conflitto tra la «lusinga dei miei vizi» (cioè il richiamo della vita) e la mediocrità borghese (cioè l'abiezione) allo stile, che nei grandi scrittori è distanza, capacità di considerare frasi e parole meri strumenti e non già «sacri arredi»; dal naturale stato di sottomissione agli eventi che ci impedisce di adattarci alla desiderata e aborrita libertà al rapporto con i figli, che, usciti dal «malevolo nulla», lo sfidano con la loro presenza miracolosa e accusatrice, lasciandolo lacerato tra «una tragica sollecitudine e la coscienza della metafisica inanità di qualsiasi affettuoso intervento». Centro di questo simulato e veritiero diario è del resto – sono ancora parole di Manganelli – «il sacrilegio, la violazione, la violenza per diniego, la clandestina e blasfema celebrazione di una irreparabile impurità, una fessura che ferisce il mondo da parte a parte, e ne annuncia la vocazione catastrofica».
L’enigma dell'arrivo è nello stesso tempo un'intensa meditazione autobiografica e una delle più ipnotiche narrazioni della maturità di Naipaul. Tutto ruota intorno al luogo in cui lo scrittore si insedia al suo ennesimo ritorno in Inghilterra: un cottage nella valle del Wiltshire che solo un breve viottolo separa dall’incanto arcano di Stonehenge, i cui antichi tumuli «profilati contro il cielo» si intravedono dal varco di una siepe.
Da qui – da questo osservatorio opaco e metafisico, dove cupi parchi secolari convivono con autostrade solcate da camion colorati come giocattoli – lo scrittore scruta e ricorda, in un unico flusso. Scruta la comunità circostante (mungitori, contadini, piccoli imprenditori e giardinieri in tweed) come un microcosmo ibernato in una «rete di risentimenti reciproci», di gente infelice che per sopravvivere deve restare «cieca alla propria condizione». E ricorda le tante sequenze del suo passato di nomade e apolide, dalla Trinidad romantica e perduta della sua infanzia (un universo «di campi di canna da zucchero e di capanne e di bambini scalzi») a una Londra «estranea e sconosciuta», che gli porterà – tra i doni taumaturgici – una passione febbrile per Charles Dickens. L’esito è un percorso umano e intellettuale di disillusione radicale, in cui Naipaul – immettendo nella propria cadenza un inconsueto timbro malinconico – trova il solo appiglio e la sola vera patria in una tortuosa vocazione di scrittore.
Maigret e il produttore di vino
«L’hai uccisa per derubarla, vero?».
«Non volevo ucciderla. Altrimenti perché mi sarei portato solo una pistola giocattolo?».
«Sapevi che aveva molto denaro?».
La pazza di Maigret
Al Quai des Orfèvres l’agente Picot montava la guardia a sinistra del portone, mentre il suo compagno Latuile piantonava il lato destro. Erano circa le dieci di una mattina di maggio, il sole sfolgorava e Parigi aveva assunto tinte pastello.
Maigret e l’uomo solitario
Alle nove di mattina faceva già caldo. Maigret, in maniche di camicia, scorreva svogliatamente la posta, lanciando ogni tanto un’occhiata fuori dalla finestra. Non un fremito agitava le fronde degli alberi sul quai des Orfèvres e la Senna era piatta e liscia come seta.
Maigret e l’informatore
Quando suonò il telefono, Maigret, infastidito, emise un mugugno. Non aveva la minima idea di che ora fosse, né gli venne in mente di guardare la sveglia. Usciva da un sonno profondo, e sentiva ancora un peso sul petto.
A piedi nudi, camminando come un sonnambulo, si diresse verso l’apparecchio.
Maigret e il signor Charles
In un raggio di sole marzolino ancora un po' timido Maigret stava giocando. Non con i cubi, come da bambino, ma con le sue pipe.
Ne aveva sempre cinque o sei sulla scrivania, e ogni volta che voleva riempirne una la sceglieva accuratamente in base al suo umore.
Heather ha trentatré anni, un marito speciale e una bambina meravigliosa, una bella casa e un lavoro che le piace un sacco. Una vita perfetta. Poi un giorno, all’improvviso, scoppia la bomba e in un istante quella vita perfetta va in pezzi. È il giorno in cui le viene diagnosticato un tumore al seno, stadio IV: due anni da vivere, al massimo. Da quel momento i suoi giorni sono come una corsa sulle montagne russe. Non c’è niente che Heather possa fare, solo tenersi forte, resistere il più a lungo possibile. Assorbito lo choc iniziale, il suo primo pensiero è per la figlia Brianna, quattro anni, a tutto quello che deve ancora dirle. È così che le viene l’idea: per tutti i momenti fondamentali come il primo giorno di scuola, la prima cotta, la patente, la laurea, il matrimonio, un successo ma anche solo una giornataccia, Brianna troverà una lettera colorata di sua madre ad aspettarla. Lettere intense, vere, emozionanti, che sono raccolte qui, insieme ai pensieri sull’amore, sulla speranza, sulla vita. Sul senso ultimo delle cose. Parole che sgorgano dal profondo del cuore di Heather, che non un solo istante ha perso se stessa e la sua capacità di trovare la felicità anche negli angoli più impensati. Un regalo prezioso per la piccola Brianna, per il marito Jeff, per gli amici, per la famiglia. E per tutti noi. Per insegnarci a vivere ogni minuto, ogni ora, ogni giorno con pienezza, gratitudine e allegria.
"Esiste un metodo per la felicità duratura? Si può imparare il faticoso mestiere di vivere giorno per giorno in modo da farne addirittura un'arte della gioia quotidiana?" Sono domande comuni, ognuno se le sarà poste decine di volte, senza trovare risposte. Eppure la soluzione può raggiungerci, improvvisa, grazie a qualcosa che ci accade, grazie a qualcuno. In queste pagine Alessandro D'Avenia racconta il suo metodo per la felicità e l'incontro decisivo che glielo ha rivelato: quello con Giacomo Leopardi. Leopardi è spesso frettolosamente liquidato come pessimista e sfortunato. Fu invece un giovane uomo affamato di vita e di infinito, capace di restare fedele alla propria vocazione poetica e di lottare per affermarla, nonostante l'indifferenza e perfino la derisione dei contemporanei. Nella sua vita e nei suoi versi, D'Avenia trova folgorazioni e provocazioni, nostalgia ed energia vitale. E ne trae lo spunto per rispondere ai tanti e cruciali interrogativi che da molti anni si sente rivolgere da ragazzi di ogni parte d'Italia, tutti alla ricerca di se stessi e di un senso profondo del vivere. Domande che sono poi le stesse dei personaggi leopardiani: Saffo e il pastore errante, Nerina e Silvia, Cristoforo Colombo e l'Islandese... Domande che non hanno risposte semplici, ma che, come una bussola, se non le tacitiamo possono orientare la nostra esistenza.
Anno 2053. Vittima di un incidente stradale dalla dinamica quantomeno grottesca, Antonio Martignoni si ritrova in Paradiso dove, accudito da una bellissima signora in blu ed esaminato da un burocrate celeste con le sembianze di Jean-Paul Sartre, inizia a poco a poco a familiarizzare con la sua nuova ed eterna condizione. Finché la Direzione decide di affidargli un "compito importante": raccontare per iscritto, in un file Word, la storia della propria vita, che diventerà uno dei "messaggi nella bottiglia" lanciati dal Cielo agli uomini rimasti sulla Terra. Grazie al fortunoso ritrovamento del file, sepolto in un vecchio computer, apprendiamo che Martignoni, all'età di 36 anni, pensava di farla finita. In preda alla disperazione, aveva intrapreso la sua ultima escursione nelle montagne tanto amate, quando un altro tragico e provvidenziale incidente gli apre una breccia verso il futuro, nella quale si lancia d'istinto: travolto dal desiderio di "spiare Dio da vicino", decide di trascorrere la seconda parte della sua vita come finto prete. Prima parroco di una sparuta comunità di montanari devoti e turisti ai piedi del Monte Rosa, poi pastore di 3500 anime in una Milano sospesa, surreale, angosciata per la misteriosa sparizione dei propri cittadini più anziani, "don" Antonio vive la sua missione tormentato dal senso di colpa, ma anche animato dalla ferma volontà di non tradire il suo fiducioso e inconsapevole gregge...
Noi che telefonavamo con i gettoni Noi che giocavamo con l'Allegro chirurgo e il Game Boy Noi che avevamo le immense compagnie e giravamo con il Ciao Noi che cantavamo le sigle di Cristina D'Avena, e con il Karaoke di Fiorello. Noi che non perdevamo una puntata di Beverly Hills Noi che collezionavamo le sorpresine del Mulino Bianco Noi che che vedevamo i film di Bud Spencer e Terence Hill Noi che Jovanotti lo ascoltavamo con il walkman... ""Io sono nato nel 1978, e la mia generazione è l'ultima che ha fatto tutta la scuola senza cellulare. Magari anche voi vi emozionerete pensando a quel periodo, a quei tempi... Quando sparavo palline di carta con il tubicino della Bic; mia mamma che mi voleva mettere i sandali neri con gli occhioni; le feste con le luci stroboscopiche; col gesso facevi i numeri per terra e giocavi a campana; nella calza della befana c'era la sigaretta e la moneta di cioccolato; a Natale su Italia 1 c'era (e c'è ancora!) Una poltrona per due, e su Rete 4 Il piccolo Lord. A volte mi chiedo se la vita di un ragazzo prima dell'avvento del web fosse davvero così diversa. A volte dico no, in fondo continuiamo a innamorarci, ad avere degli amici, a giocare e divertirci come facevamo prima. A volte penso che la tecnologia abbia cambiato la natura di tutti questi rapporti, del nostro modo di passare il tempo. Per provare a capire, in questo libro racconto di come si viveva negli anni Novanta, delle mode, degli oggetti, della tv.
"La vera felicità è una scelta del cuore. Ecco perché ti chiedo di lasciare che sia il tuo cuore a dirti se leggere o meno questo libro. Forse deciderai che non è stato scritto per te. Forse sei uno dei pochi fortunati che sono realmente soddisfatti della propria vita. Ma forse anche tu, come tante persone sensibili e gentili, hai l'impressione che nella tua vita qualcosa non vada come dovrebbe, e non importa quanto guadagni, quanto sia grande la tua casa e tu sia ammirato dai tuoi amici, a volte avverti un senso di vuoto che non può essere colmato dalle cose che hai lavorato sodo per ottenere, pensando che ti avrebbero reso felice. Quando tutto è diventato così complicato? Quando ti sei accorto che il tempo a disposizione non era sufficiente per quello che dovevi fare? Quando è stato, che tu ricordi, l'ultimo giorno in cui hai davvero amato la tua esistenza, prima che tutt'a un tratto diventasse una successione di giorni tutti uguali? Quando hai rinunciato alla tua felicità? Se questi interrogativi ti suonano familiari, forse dovresti leggere questo libro. È stato scritto per bambini dagli otto ai cento anni..." (Sergio Bambarén)
Da quando la sua amatissima moglie, Hazel Bannock, è stata barbaramente uccisa, Hector Cross non ha più pace. Uno solo dei due colpevoli è rimasto in vita: Johnny Congo, psicopatico violento, estorsore e assassino, responsabile dell’inferno in cui è piombato l’ex maggiore dei SAS. Ora che il criminale è stato assicurato alla giustizia, Hector lo vuole morto, e con lui il governo degli Stati Uniti. Congo è rinchiuso in un carcere di massima sicurezza e conta i giorni che lo separano dall’esecuzione. Gli restano poche settimane, e vuole scappare; lo ha già fatto in passato, sa che può farlo di nuovo… Intanto, l’attività della Bannock sembra essere entrata nel mirino di un doppio attacco, dietro il quale si nascondono interessi ramificati e letali. Nel suo ruolo di responsabile della sicurezza della multinazionale, Hector si prepara a intervenire, accompagnato dalla sua squadra. Quello che sembrava un gioco da ragazzi si rivela però una missione che mette a dura prova Hector, costringendolo a fare i conti con i propri limiti fisici ed emotivi, proprio ora che uno spiraglio di luce tornava a illuminare la sua vita sentimentale. Ma Hector non ha intenzione di fermarsi prima di aver preso in trappola la sua preda...
"Un nuovo libro di racconti dalle carceri nel nome di Goliarda Sapienza. Un'altra raccolta di storie stracolme di esperienze e di umori. Con la tutela e l'attenzione viva di un gruppo di scrittori noti e autorevoli. Da che lasciarsi prendere? Forse dalla compassione, nel senso della condivisione, forse dalla drammaticità delle vicende raccontate; certo dalla capacità di cercarsi in una scrittura che significa ed esprime il coraggio di consegnarsi agli altri e al mondo nella propria accostata o ritrovata verità." (Elio Pecora) Prefazione di Dario Edoardo Viganò.