
"Questo libro nasce da un sentimento semplice. Dal vuoto che lascia il troppo pieno. Di politica parliamo tutti, in parlamento come nei bar, e viceversa. Ma lo spazio che riempiono le parole, immenso, è direttamente proporzionale al vuoto di senso che lasciano dietro di sé. Tanto che oggi è frequente vivere la politica come un territorio da cui tenersi lontani. Eppure non è sempre stato e non è sempre così. La politica, oltre che il principio della guerra con altri mezzi, è, soprattutto, il fare che ha per interesse la vita in comune. Senza retorica e senza la retorica del cinismo. Con questa idea, abbiamo provato allora ad affidare la politica a chi non ne fa in un modo o nell'altro una professione. Il linguaggio della letteratura, il suo sguardo che disloca, forse, avrebbe potuto mostrarci o farci recuperare un senso nascosto o perduto anche della politica. Forse, avrebbe potuto farci ricominciare a capire. Ne è venuto fuori il libro spietato e fantasioso che ora il lettore, cui spetta il giudizio ultimo, ha fra le mani. Ci sembra di poter dire, però, che di certo non troverà in questi racconti le formule che la politica sembrava dover necessariamente portare con sé. Infine va detto che il titolo del libro proviene da una frase contenuta in un ormai antico discorso di Enrico Berlinguer". (dalla nota dell'editore)
Un viaggio di settemila chilometri che cavalca la gobba montuosa della balena-Italia lungo Alpi e Appennini, dal Golfo del Quarnaro (Fiume) a Capo Sud (punto più meridionale della Penisola). Parte dal mare, arriva sul mare, naviga come un transatlantico con due murate affacciate sulle onde ed evoca metafore marine, come di chi veleggia in un immenso arcipelago emerso. Trovi valli dove non esiste l'elettricità, incontri grandi vecchi come Bonatti o Rigoni Stern, scivoli accanto a ferrovie abitate da mufloni e case cantoniere che emergono da un tempo lontanissimo, conosci bivacchi in fondo a caverne e santuari dove divinità pre-romane sbucano dietro ai santi del calendario. E poi ancora ti imbatti in parroci bracconieri, custodi di rifugi leggendari, musicanti in cerca di radici come Francesco Guccini o Vinicio Capossela. Un'Italia di quota, poco visibile e poco raccontata. Le due parti - o forse i due "libri", alla maniera latina - del racconto, Alpi e Appennini, hanno andatura e metrica diverse. Le Alpi sono pilastri visibili, famosi; sono fatte di monoliti ben illuminati e percorse da grandi strade. Gli Appennini no: sono arcani, spopolati, dimenticati, nonostante in essi si annidi l'identità profonda della nazione. Questo racconto di "monti naviganti" è cominciato sul quotidiano "la Repubblica" ed è diventato un poema di uomini e luoghi, impreziosito da una storia "per immagini" della fotografa Monika Bulaj, che ha seguito Paolo Rumiz in alcune tappe di questa avventura.
Una mattina Gemma lascia a terra la sua vita ordinaria e sale su un aereo, trascinandosi dietro un figlio di oggi, Pietro, un ragazzo di sedici anni. Destinazione Sarajevo, città-confine tra Occidente e Oriente, ferita da un passato ancora vicino. Ad attenderla all'aeroporto, Gojko, poeta bosniaco, amico fratello, amore mancato, che ai tempi festosi delle Olimpiadi invernali del 1984 traghettò Gemma verso l'amore della sua vita, Diego, il fotografo di pozzanghere.
Il romanzo racconta la storia di questo amore, una storia di ragazzi farneticanti che si rincontrano oggi, giovani sprovveduti, invecchiati in un dopoguerra recente. Una storia d'amore appassionata, imperfetta come gli amori veri. Ma anche la storia di una maternità cercata, negata, risarcita. Il cammino misterioso di una nascita che fa piazza pulita della scienza, della biologia, e si addentra nella placenta preistorica di una Guerra che mentre uccide procrea.
In questo grande affresco di tenebra e luce, in questo romanzo intimo e sociale, le voci di quei ragazzi si accordano e si frantumano nel continuo rimando tra il ventre di Gemma e il ventre della città dilaniata. Ma l'avventura di Gemma e Diego è anche la storia di tutti noi, perché Margaret Mazzantini ha scritto un coraggioso romanzo contemporaneo. Di pace e di guerra.
La pace è l'aridità fumosa di un Occidente flaccido di egoismi, perso nella salamoia del benessere. La guerra è quella di una donna che ingaggia contro la natura una battaglia estrema e oltraggiosa. L'assedio di Sarajevo diventa l'assedio di ogni personaggio di questa vicenda di non eroi scaraventati dal calcio della Storia in un destino che sembra in attesa di loro come un tiratore scelto. Il cammino intimo di un uomo e di una donna verso un figlio, il loro viaggio di iniziazione alla paternità e alla maternità diventa un travaglio epico, una favola dura come l'ingiustizia, luminosa come un miracolo.
Dopo Non ti muovere, con una scrittura che è cifra inconfondibile di identità letteraria, Margaret Mazzantini ci regala un romanzo-mondo, opera trascinante e di forte impegno etico, spiazzante come un thriller, emblematica come una parabola. Una catarsi che dimostra come attraverso tutto il male della Storia possa erompere lo stupore smagato, sereno, di un nuovo principio. Una specie di avvento che ha il volto mobile, le membra lunghe e ancora sgraziate, l'ombrosità e gli slanci di un figlio di oggi chiamato Pietro.
In un gruppo di persone, un uomo vede una donna sconosciuta che con un gesto quasi impercettibile sembra volersi isolare dagli altri. Commosso, Yair le scrive, proponendole un rapporto profondo/aperto, libero da qualsiasi vincolo, ma esclusivamente epistolare. Più che una proposta è un'implorazione e Myriam ne resta colpita, forse sedotta. Un mondo privato si crea così fra loro, ognuno dei due offre all'altro ciò che mai avrebbe osato dare ad alcuno, e in questo processo di svelamento Yair e Myriam scoprono l'importanza dell'immaginazione nei rapporti umani e la sensualità che si nasconde nelle parole. Finché Yair si rende conto che le lettere di quella donna stanno aprendo un varco dentro di lui, gli chiedono con imperiosa delicatezza una svolta nella sua vita interiore. Il risultato è un romanzo avvolgente e "impudico" che ci mostra quanta strada bisogna percorrere per vincere la paura e arrivare a toccare liberamente, con pienezza, l'anima (e il corpo) di un altro essere umano.
Un mistero nascosto tra le sponde del lago
e solo sette giorni per scoprire la verità
«Uno dopo l’altro, in virtù di una scrittura strepitosa, e grazie alle magie del passaparola (che non sbaglia mai), i romanzi di Vitali hanno conquistato un pubblico sempre più numeroso: ridendo e scherzando siamo giunti a 1 milione di copie.»
Massimo Boffa, «Panorama»
«Che devo dirvi? Ho finito le parole per raccontare quanto è bravo Andrea Vitali. Ogni volta che si finisce un suo romanzo viene voglia di fischiettare La vie en rose. Fì, fìfìfì fìfìfì…»
Antonio D’Orrico, «Corriere della Sera – Magazine»
«So per certo che questo scrittore è tra i massimi in quell’esigua pattuglia della narrativa italiana che vuol mettere sotto gli occhi del lettore storie ben congegnate, con personaggi ricalcati evidentemente dal vero, salvo l’aggiunta di quel tanto in più che li renda appunto “romanzeschi”.»
Corrado Augias, «Il Venerdì di Repubblica»
«Il Boccaccio premia Andrea Vitali, uno dei più grandi scrittori del nostro tempo, un autore di grande qualità, con una cifra di indipendenza non comune, non inquadrabile in alcuna lobby politica e culturale.»
Dalla motivazione della Giuria del Premio Boccaccio 2008
Sono le tre di notte del 4 novembre. Il dottor Carlo Lonati viene chiamato per un’urgenza, il pazientre lo conosce bene. Attraversa sotto una pioggia micronizzata i cinquecento metri che lo separato dalla casa del notaio Luciano Galimberti, suo antico compagno di bagordi. Può solo constatarne la morte per infarto. Ma c’è qualcosa che non lo convince, e nelle ore successive arrivano altri indizi e i sospetti crescono.
Il dottore non può fare a meno di indagare: vuole sapere se il suo vecchio amico è davvero morto per cause naturali. Per farlo, dovra conquistare la fiducia della moglie e della figlia di Lonati. E scoprire che la verità di trova forse sull’altra sponda del Lago di Como…
Dopo lunga e penosa malattia è l’unico giallo scritto da Andrea Vitali. E forse non è un caso che abbia come protagonista un medico sensibile e acuto. L’indagine è concentrata in una settimana, tra le esitazioni dell’improvvisato detective e il moltiplicarsi di tracce e confidenze, fino al colpo di scena finale.
Ancora una volta, Andrea Vitali cattura con la precisione dei dettagli, quelle pennellate precise che restituiscono la realtà e le sue mille sfumature. Conquista con l’incalzante ritmo narrativo e il sapiente montaggio di luoghi, tempi e personaggi. Diverte con situazioni e dialoghi che ci regalano l’immediatezza e l’assurdità della vita. E alla fine ci fa innamorare di quel suo mondo così ricco, vivo e inconfondibile.
Gibilterra, 1815: il porto è un'immensa distesa deserta, nessun segno della vita di un Paese in tempo di guerra. Tutti gli occhi sono puntati all'orizzonte, sulla media distanza, dove una nave ammiraglia inglese ha appena virato, mettendosi con mure a dritta. Un'insegna familiare sventola sull'albero maestro: quella del comandante Jack Aubrey. In città lo attende un nuovo incarico, qualcosa che metterà a dura prova lui e il suo equipaggio. Napoleone è da poco fuggito dall'Elba e sta raccogliendo consensi, vuole tornare al potere. Si parla di trecentosessantamila uomini, cinque corpi d'armata lungo la frontiera settentrionale, trentamila soldati su quella meridionale. E non solo... Anche nelle remote terre arabe qualcosa sembra covare nell'ombra: forse un'alleanza musulmana che pare spalleggiare Bonaparte, e che coinvolge gli Stati della Barberia, Algeri, Tunisi, persino il Marocco e il piccolo regno di Azgar. Non c'è che dire, il quadro è a dir poco disastroso: l'Inghilterra deve correre ai ripari, se non vuole essere travolta. Ma come? A Aubrey non resta che partire per una nuova missione sull'amata Surprìse, con l'aiuto dell'amico di sempre, il chirurgo di bordo Stephen Maturin, e del nuovo arrivato, il dottor Jacob, un giovane che vanta una perfetta conoscenza del turco e dell'arabo, oltre ad amicizie altolocate. Cosa gli riserverà, questa volta, il destino?
Tempi duri per il tenente Lindsay Boxer. Un sabato mattina, pur essendo fuori servizio, riceve una chiamata dal suo capo: a bordo del traghetto Del Norte è avvenuta una sparatoria. Vi sono morti e feriti tra i quali, come scopre quando arriva sulla scena del crimine, la sua migliore amica, Claire Washburn, direttrice dell’Istituto di medicina legale di San Francisco. Un testimone ha ripreso la strage con la videocamera inquadrando il colpevole, probabilmente uno squilibrato, che è riuscito a scappare e gira armato di una calibro 38. Lindsay si mette subito in caccia.
Un’altra sua amica, la giornalista del Chronicle Cindy Thomas, si trova in grave pericolo: nell’enorme palazzo in cui si è appena trasferita cominciano a verificarsi incidenti spaventosi, e intanto Yuki Castellano rischia di perdere in un processo importante, il primo per lei dalla parte dell’accusa. Le donne del Club Omicidi sono in crisi. Ed è solo l’inizio di una difficilissima partita in cui vince tutto chi si aggiudica l’ultima, imprevedibile mano...
Rivisitazione dai toni goliardici della celebre opera di Alessandro Manzoni trasposta nell'attualità degli anni Venti. Lucia è una tipica bellezza di provincia, parla francese e per farsi strada a ogni costo, non si rifiuta a nessuno, tranne che a Renzo. Quest'ultimo viaggia su una Fiat 525, mentre Don Rodrigo su una Chrysler. L'astuto Don Abbondio, invece, va a letto con la perpetua e converte i vecchi Buoni del Tesoro in Prestito del Littorio. Per non parlare della monaca di Monza, lascivissima e con spiccate tendenze lesbiche.
Davanti alle rovine di una città, due uomini si fronteggiano: un vecchio reso saggio dalla vita e il soldato venuto per ucciderlo. Quale filo segreto e invisibile lega questi due destini? Da quanto si inseguono senza raggiungersi? Prima di morire il vecchio ha qualcosa da raccontare: tutto comincia con il ricordo di un cortile rinchiuso da alte e anguste mura. Di un ragazzo povero e insofferente della povertà che agogna di correre l'avventura per le strade del mondo. Di una musica misteriosa e sbagliata. Di una rivolta, o forse una rivoluzione, e di un assassinio insensato. Di una fuga. Il racconto del vecchio scioglie, mescola, unisce, rivela, si tinge di molti colori. Mette i due uomini a nudo. Prepara una nuova fuga. Quella definitiva, forse.
Al centro di questo struggente romanzo corale ambientato nel Sud (in Puglia, Basilicata, e Calabria tra il 1784 e il 1861) c'è il sogno di una repubblica contadina. Una saga di sangue e poesia, di eventi surreali e visioni, di dialoghi con i morti e gli animali, di affetti quotidiani e devastanti passioni.
Il libro racconta la storia di un uomo che, rimasto solo al mondo, si rivolge a una chiromante per mettersi in contatto con il padre e il fratello defunti. L'unico risultato che raggiunge è però la perdita di tutti i suoi beni, sottrattigli dalla chiromante truffatrice. In cinque anni di duro lavoro riesce a rifarsi una vita decorosa, ma l'11 agosto 1999 si ritrova, nuovamente desolato e in solitudine, ad assistere all'ultima eclissi solare del millennio. Il protagonista ricorre questa volta alla psicanalisi, avviando un percorso attraverso tutto ciò che causa il suo tormento. Nella sua coscienza il Novecento prende la forma di un inferno dantesco, popolato da persone imprigionate, uccise, torturate, costrette al suicidio: grandi e piccole figure del XX secolo che gli rivelano il segreto della loro sofferenza e morte. Insieme al dolore affiorano tuttavia anche le loro passioni, gli ideali e gli amori. Lentamente il protagonista si avvierà così verso la guarigione, finalmente intravedendo nell'ultima seduta i suoi cari: il padre, il fratello, il nonno che appaiono nella luce del sole che si sta levando.

