
Il 6 marzo 1664 Elsje Christiaens, giovane e bella diciottenne, dolce di carattere e del tutto ignara del corso del mondo, lascia le fredde terre danesi dello Jutland e si imbarca sulla Dorothe, un veliero diretto ad Amsterdam. Il 3 maggio 1664 la ragazza viene giustiziata in piazza Dam mediante strangolamento, e il suo corpo messo in mostra sulla forca di Volewijck per essere divorato dal vento e dagli uccelli nel corso delle stagioni. Come sovente accade, la sua triste sorte avviene per un mero capriccio del destino. Una volta ad Amsterdam, la ragazza trova rifugio in un'ambigua locanda dove alle ragazze ospiti è chiesto spesso di pagare in natura intrattenendosi con i clienti. Dopo il suo ostinato rifiuto a cedere alle avances di un cliente, la locandiera le intima un giorno di saldare il conto - un misero tallero, non di più - senza proroghe, e la colpisce con una scopa. Elsje Christiaens sente divampare dentro di sé un'improvvisa, inarrestabile violenza e poi la perfetta calma con cui si annuncia sempre qualcosa di terribile. Sventura vuole che scorga un'accetta su una sedia e che con quella colpisca, ripetutamente, la locandiera. Il caso di Elsje Christiaens, assassina per un tallero, sarebbe consegnato irrimediabilmente all'oblio del tempo, se un grande pittore non avesse deciso di recarsi a Volewijck, e non avesse immortalato su una pergamena la sfortunata ragazza danese...
Quasi un compendio delle vicende della cultura italiana del Novecento la tormentata attività artistica e intellettuale di Elio Vittorini (1908-1966). Scrittore innovativo, promotore culturale, organizzatore editoriale, fondatore di riviste (Il Politecnico nel 1945 e Il Menabò con Italo Calvino nel 1959), promotore di dibattiti, Elio Vittorini percorre l'intera parabola ideologica e politica del nostro secolo.
L'allegria di un'ammucchiata sul lettone la domenica mattina. L'emozione di ascoltare il respiro di un bimbo che dorme e di annusare il suo odore. Il cuore che batte all'impazzata in attesa del risultato di un altro test di gravidanza. Le risate per una puzzetta. La baraonda intorno al tavolo della colazione e la corsa per non fare tardi a scuola. La quotidianità di una famiglia numerosa è fatta di questi e tanti altri momenti di straordinaria normalità, che Gigi e Anna Chiara sanno raccontare con spontaneità, disincanto, tenerezza e una buona dose di sano umorismo. Dal loro amore sono nati quattro figli (più uno, venuto al mondo proprio mentre questo libro andava in stampa!), e con ciascuno di loro la meraviglia e la sfida di essere genitori si sono rinnovate. Ma anche la stanchezza che mette a dura prova il rapporto di coppia, la fatica di far quadrare i conti alla fine del mese, i dubbi e le ansie per il futuro, le battutine e le frasi fatte della gente che ti incontra per strada con una piccola tribù al seguito. "Ci vediamo a casa" è il ritratto a due voci della vita di una famiglia, senza filtri rosa e senza la pretesa di fornire ricette, perché ricette non ce ne sono, se non l'amore e la voglia di mettersi in gioco ogni giorno.
Tre continenti, tre storie d'amore indissolubilmente legate, tre personaggi che raccontano e si raccontano in totale abbandono. Zeno, broker veronese quarantenne, divorziato e con un figlio di nove anni, conosce Talila, addetta stampa di una grande casa cinematografica con una piccola cifra da investire. Non è solo una passione travolgente quella che lo attira verso di lei, ma la progressiva e inarrestabile rivelazione di uno slancio in grado di scardinare le sue comode abitudini. Sette anni prima Talila ha avuto una relazione con Rocco, pittore incupito da un successo che non arriva. Il rapporto, burrascoso fin dall'inizio, implode tra gelosia e ossessioni quando un famoso regista con cui lavora Talila vuole Rocco in un suo film. Talila si perde, divorata dal desiderio di compensare col sesso il vuoto dell'abbandono. E infine, un perfetto meccanismo narrativo a ritroso ci porta indietro di altri sette anni. È Rocco che ci conduce in un viaggio che porta il giovane artista in compagnia di Michael e Ana da Londra al Brasile all'India, in fuga non solo dal passato ma anche da una minaccia che incombe sulla sua vita. In questo nuovo romanzo Federica De Paolis racconta la forza del passato: tutto ritorna, nulla si cancella, il mosaico si ricompone sempre. Solo la consapevolezza e la memoria permettono di ricostruire ogni storia, di rimetterla, forse, in piedi.
Anna sta recitando una parte, ma non lo sa. O forse non vuole saperlo, perché altrimenti dovrebbe chiedersi chi è, e cosa desidera dalla vita. Del resto, ha due meravigliosi bambini, un padre che la adora e un marito chirurgo estetico che è appena diventato primario di Villa Sant'Orsola, la clinica privata di famiglia. Ha anche un amante, Javier, il papà spagnolo di una compagna di scuola del figlio: si incontrano due volte alla settimana in un appartamento che diventa subito uno splendido altrove, un luogo di abbandono. E allora, cos'è che non funziona? I nodi, si sa, presto o tardi arrivano al pettine. Il suo matrimonio, il suo rapporto con i figli, la reputazione della clinica: uno dopo l'altro, tutti i pilastri della sua esistenza iniziano a vacillare. Anna è costretta a fare ciò che non avrebbe mai immaginato: aprire gli occhi e attraversare il confine sottile che separa l'apparenza dalla realtà. Per scoprire che le ferite, anche se fanno male, a volte sono crepe dalle quali può entrare una nuova luce. Con lucidità e una scrittura che non concede niente alla retorica, "Le imperfette" getta uno sguardo su quel groviglio interiore che ci portiamo dentro, dove le bugie che gli altri ci raccontano si mescolano agli inganni dei nostri stessi sensi. Vincitore del premio DeA Planeta 2020.
Molto è già stato detto su Antonia Pozzi, ragazza "imperdonabile" che, nonostante la sua breve vita, ha lasciato più di trecento poesie, numerose lettere, pagine di diari e circa tremila fotografie, e la cui figura è oggetto di una straordinaria riscoperta di pubblico e di critica. Eppure c'e sempre, quando si parla di lei, l'impressione di qualcosa di incompiuto. Come se la "troppa vita" che le scorreva nel sangue non si sia mai voluta lasciare decifrare fino in fondo. Come se ci fosse sempre troppo da dire e nello stesso tempo un'urgenza di silenzio avesse costantemente percorso lei e le persone che le stavano accanto. Per raccontare questo personaggio complesso, profondo e a tratti enigmatico, che ha attraversato gli anni Trenta con intelligenza e passione, sofferenza e determinazione, Gaia De Pascale ha scelto la via del romanzo. Il libro dà la parola alla stessa Antonia, scavando nell'animo della protagonista e restituendo le persone, i luoghi e le atmosfere di un tempo cruciale sotto ogni punto di vista per la storia del nostro Paese. In bilico tra realtà e finzione, "Come le vene vivono del sangue" usa il verosimile come unico mezzo possibile per accedere al fondo segreto dell'esistenza di Antonia Pozzi, e rende omaggio a una figura femminile che ha saputo attraversare con la stessa profondità tanto la vita quanto la morte.
Le opere di Maria Maddalena de' Pazzi, riunite in un corpus di sette volumi, sono state pubblicate a Firenze tra il 1960 e il 1966.
Da ragazzini hanno fondato il Club degli Incompresi, ma adesso non sono più ragazzini, hanno sedici anni e tanta voglia di crescere. E i rapporti fra di loro non sono più semplici come prima. Valeria è innamorata per la prima volta, ma sa che il suo amore la porterà a tradire la sua migliore amica; Bruno non ha il coraggio di manifestare i suoi sentimenti e si rinchiude sempre più in se stesso; Maria ha il terrore di dover lasciare Madrid e i suoi amici per colpa dei genitori separati; Elisabet, da ragazzina brufolosa si è trasformata in una splendida giovane donna che non è abituata a sentirsi dire di no; Raul è pieno di sogni e di ambizioni ed è determinato a trovare la persona giusta per lui, a costo di far soffrire chi si sente rifiutata; Ester nasconde la sua grande passione per non incorrere nei giudizi dei genitori e dei suoi stessi amici. Non è facile diventare adulti, e a volte si vorrebbe evadere dal proprio mondo, allontanarsi dalla scuola, dalla propria città, dalla famiglia, anche dagli amici di una vita. Però, poi, loro ci sono sempre; Per fortuna...
Il Livre des fais et bonnes meurs du sage roy Charles V è da considerarsi una delle opere fondamentali della produzione politica di Christine de Pizan. Tradurre l'opera dal medio francese, lingua di difficile accesso, fatto salvo per gli specialisti, permette oggi un approccio diretto a uno dei testi-chiave per la comprensione della situazione politica francese all'epoca della follia del re Carlo V, della reggenza non ufficializzata dei principi di sangue reale e alla vigilia delle guerre civili. Si tratta di un libro che ci permette non solo di comprendere il momento di svolta nella produzione letteraria della scrittrice e la sua scelta di impegno civile, ma soprattutto ci introduce nel cuore della corte di Francia e delle questioni più sensibili che la toccano per quanto riguarda il ruolo del sovrano, la partecipazione della nobiltà al governo, ma anche le grandi questioni internazionali quali lo Scisma, l'elezione imperiale, la guerra franco-inglese.
Colpisce l'abilita dell'autrice nel creare una struttura narrativa che permette ai suoi personaggi, ed anche al lettore, di stare all'interno di scene evengeliche, quasi vivendole in prima persona.

