
Blanca, madre e moglie appagata, conduce un'esistenza ovattata e fuori della realtà nella Santiago del Cile del dopo dittatura. All'improvviso alcuni eventi dirompenti vengono a sconvolgere la linearità della sua vita: l'incontro con persone di un diverso ceto sociale, l'amore per un ex perseguitato politico, la scoperta dell'ipocrisia e della vacuità del mondo cui appartiene. Un terremoto esistenziale, un bivio obbligato: è il momento delle scelte. Blanca vorrebbe gridare, vorrebbe dirlo che non ci sta più, ma un'improvvisa, quasi metaforica malattia la rende incapace di comunicare. Perde la parola proprio quando una nuova coscienza del mondo le chiede di parlare. La prigione del silenzio diventa tuttavia la premessa di una rinascita, di un'altra storia, di un'altra verità. Dopo un primo istante di smarrimento e disperazione, Blanca sceglie la vita e inventa un nuovo linguaggio, quello degli occhi, con i quali racconta la propria storia, i ricordi, i sentimenti e i rimpianti.
Due bambini, figli di due amici inseparabili di vecchia data, si promettono a loro volta eterna amicizia, e giurano che niente potrà mai separarli. Ma arriva il tempo in cui non è possibile parlare a voce alta, si può solo sussurrare: i nazisti conquistano il potere, e uno dei due uomini, ebreo, è costretto a fuggire con la sua famiglia. Nella tragedia della storia si consuma così il dramma di una violenta separazione, incomprensibile per i due bambini. La famiglia ebrea viene deportata, ma riesce a lasciare agli amici la figlia più piccola, strappandola al suo atroce destino.
Quando Antonina si trasferisce a Leningrado per lavorare in fabbrica è ancora piuttosto giovane e ingenua: ben presto, infatti, finisce nei guai, rimanendo incinta di un ragazzo che l'abbandona. Lo Stato sovietico la soccorre assegnandole una stanza in un appartamento comunitario dove vivono già tre anziane donne, affettuose e pronte ad aiutarla dopo la nascita di Susanna. Ariadna, Glikerija e Evdokija si rivelano poi indispensabili quando Antonina si rende conto che la figlia non parla e, per paura di vedersela rinchiudere in un istituto, decide di crescere in casa la piccola. Le "nonne" si fanno allora carico dell'educazione della bimba, che impara a comunicare con loro attraverso il disegno, e le parlano delle loro vite, raccontandole l'Unione Sovietica della loro giovinezza, scene di vita nei Gulag, la storia dell'assedio di Leningrado e dei soprusi bolscevichi. Un romanzo ricco, pieno di valori, di ideali e di coraggio. Il ritratto di un gruppo di donne forti e autentiche, che hanno affrontato e superato prove durissime sostenute solo dalla loro dignità. Ma è anche una riflessione profonda e a tratti perfino commovente sul passato, sulla memoria, sulla Storia, il romanzo che ci fa capire come siano state le donne queste donne, le vere, silenziose, intense protagoniste della storia russa del secolo scorso.
La piccola Lise, affidata ai nonni dopo la morte dei genitori, arriva da Parigi in un paese della Provenza occupata dagli italiani nel 1940. Qui conosce l'alpino torinese Mario e se ne innamora, come può farlo una bambina di dodici anni. Mentre l'eco della guerra arriva soltanto da lontano, la vita scorre placidamente fino al momento in cui, alla vigilia del Natale '42, qualcosa cambia e la vera tragedia incalza: un convoglio si porta via le compagne ebree di Lise e la fidanzata di Mario. Il tempo scorre, ma i misteri e i dolori dell'infanzia rimangono. Quando la sorella di Mario, durante un incontro a Torino, dà a Lise le lettere dell'alpino diventato un comandante partigiano, inizia per Lise l'ultimo pellegrinaggio nella memoria.
Le stagioni si avvicendano sempre uguali a Casedisopra, fra la tabaccheria della Nerina e le due caserme - dei Carabinieri e della Forestale - che invano vigilano sulla trattoria-bar di Benito, dove anche quando la stagione della caccia è chiusa il maiale servito in tavola ha un curioso retrogusto di cinghiale...
Eppure ultimamente qualcosa sta cambiando. In paese compaiono ragazzi e ragazze dagli abiti colorati, calzano sandali di cuoio intrecciati a mano e vendono i prodotti del bosco e della pastorizia: sono gli Elfi, che vivono in piccole comunità isolate sulla montagna, senza elettricità, praticando il baratto e ospitando chiunque bussi alla loro porta senza porre domande. Forse potranno essere loro a prendersi cura del territorio appenninico, sempre più trascurato e spopolato, mentre sul corpo della Forestale incombe il destino di venire assorbito nell'Arma dei Carabinieri? Marco Gherardini, detto Poiana, ispettore della Forestale, non fa in tempo a immalinconirsi con questi pensieri che ecco, nell'aria risuonano due spari proprio quando nemmeno i cacciatori avrebbero licenza di esploderli. E di lì a poco, ai piedi di un dirupo viene trovato un cadavere: proprio un giovane elfo, si direbbe.
Inizia per Poiana l'indagine più difficile della sua carriera. Perché potrebbe essere l'ultima, ma non solo: perché si troverà a sospettare degli amici più cari, perché dovrà ammettere che l'intuito femminile può essere imbattibile, perché per trovare la direzione giusta dovrà essere pronto a perdersi nel bosco...
J. M. Coetzee è morto. Un giovane accademico inglese decide di scrivere la biografia del premio Nobel sudafricano: si soffermerà in particolare sulla prima metà degli anni Settanta quando lo scrittore, appena tornato dagli Stati Uniti e ancora ben lontano dalla fama letteraria, viveva al limite dell'indigenza insieme al padre in una modesta villetta. Per farlo, intervista alcune persone che lo conobbero - tra cui due donne che ebbero una relazione con lui - e che gli furono vicine durante quei difficili anni di apprendistato alla vita. Perché, sebbene abbia più di trent'anni, John Coetzee appare un uomo inadatto alla vita adulta, bloccato nella condizione di figlio, incapace di mantenere una relazione con le donne, un solitario chiuso in se stesso, un amante freddo e maldestro («uno stoccafisso»), un insegnante controvoglia, uno scrittore tutt'altro che talentuoso («non aveva una sensibilità speciale, almeno che io potessi individuare, nessuna intuizione originale sulla condizione umana»). Ma la caratteristica che più di tutte emerge dai racconti dei testimoni è la profonda sfiducia che il futuro autore di Aspettando i barbari sembra nutrire verso il linguaggio e la capacità degli uomini di comunicare - e di conoscere se stessi - attraverso le parole.
Per queste sue «memorie d'oltretomba», terzo momento (dopo Infanzia e Gioventù) dell'affresco autobiografico delle Scene di vita di provincia, Coetzee scompagina le carte: non solo perché immagina la propria morte e ne affida il racconto a testimoni forse non così affidabili (veramente Coetzee era scapolo in quegli anni? Veramente la madre era morta?), ma perché spinge fino al punto di non ritorno le categorie stesse di autobiografia e finzione, di identità e realismo.
«E se fossimo tutti fabbricatori di storie, come lei dice di Coetzee? E se tutti continuamente inventassimo la storia della nostra vita?» Solo il romanzo - è la scelta di Coetzee -, con le sue ambiguità e le sue infinite complicazioni, resiste alla tentazione di dare risposte facili a domande complesse.
I cinque protagonisti di questi racconti si ritrovano tutti a fare i conti con un tempo che sembra non avere inizio né fine, corrente di un fiume che conduce alla foce e alla sorgente. Il ricco e ormai vecchio industriale che inscena una beffarda ritirata dalla vita; il maestro di musica che dopo tanti anni rivede il proprio allievo in un incontro di ambigua ed elusiva crudeltà; il viaggiatore che, nella piccola e assopita cittadina di Krems, mosso da una coincidenza apparentemente insignificante, scopre il non tempo della vita e dell'amore in cui tutto è presente e simultaneo; il vecchio scrittore ospite d'onore di un premio che misura la propria estraneità al mondo e ai riti della letteratura; e infine il sopravvissuto della Grande Guerra e della grande stagione culturale della Trieste absburgica e irredentista che osserva le riprese di un film dedicato a una vicenda della sua giovinezza e di quella dei suoi amici stentando a riconoscere sé stesso e i propri compagni nei gesti e nelle battute degli attori che li interpretano. Ironicamente crudeli, malinconicamente sobri, i cinque personaggi sembrano a poco a poco attutire l'intensità delle loro esistenze, sfumando la distinzione tra finzione e realtà, con la consapevolezza che anche «le pagine invecchiano come le cose vive: fanno orecchie d'asino, si sgualciscono, avvizziscono. Come la mia pelle».
Inquietudine, fragilità, leggerezza: nelle speranze di una bambina immigrata, in una coppia bizzarra, nel rapporto stretto e disperato di due fratelli, nelle frasi che calano improvvise nelle fantasie di una bambina sola. Sette racconti in cui spaesamento, nostalgia e separazione sono contemplati con gli occhi limpidi di una bambina sognatrice.
Nell'anno 1150 Sigrid, moglie del nobile Magnus Folkesson, ha una visione: vede un giovane cavaliere con le insegne da crociato mentre la voce dello Spirito Santo le consiglia di donare ai monaci cistercensi la sua tenuta di Varnhem. La donna è in attesa del secondo figlio che nasce forte e bello e si chiamerà Arn. Ed è proprio lui, cadendo da una torre del castello mentre gioca, a cambiare il corso della vita della sua famiglia. I genitori decidono di prometterlo al Signore se questi ne salverà la vita. Il bambino si riprende e i genitori sembrano dimenticarsi della promessa fino a quando Sigrid viene colpita da una misteriosa malattia che lei interpreta come un segno del Cielo.
Per anni dimenticato in un fatiscente manicomio giudiziario, il protagonista ritrova inaspettatamente la libertà e tenta di sopravvivere nella Barcellona "post-olimpica" dove le illusioni della "transizione" si sono smarrite nella corruzione generale. Con l'aiuto fraterno di un folcloristico autista nero, il nostro eroe sbroglia la matassa di situazioni grottesche in cui due ragazze con lo stesso nome (Ivet) inseguono scopi contrari, un politico corrotto e svanito offre amicizia in cambio di voti, un avvocato idiota e disonesto perdona alla moglie i peggiori tradimenti e un paralitico assassino si mette a camminare.
“Il tempio dell'alba” è il terzo romanzo della tetralogia del “Mare della fertilità” (secondo "National Review": “un'eredità letteraria di caratura paragonabile a quella lasciata da Proust”) dopo “Neve di primavera” e “A briglia sciolta”. Ne è protagonista Shigekuni Honda.La storia è quella del suo ossessivo inseguimento di una magnifica donna (una giovane principessa thai conosciuta in un viaggio di lavoro a Bangkok) e, allo stesso tempo, della sua altrettanto appassionata ricerca dell'illuminazione. “Il tempio dell'alba” è una potente rappresentazione della vita in Giappone dai primi fuochi della seconda guerra mondiale all'immediato dopoguerra, mentre va in scena il tragico anelito di un uomo ormai anziano alla ricerca della liberazione spirituale in un amore di esasperata sensualità.