
Figlio unico di madre single, J.R. cresce ascoltando alla radio la voce del padre, un dj di New York che ha preso il Volo prima che lui dicesse la sua prima parola. Poi anche quella voce scompare. Sarà il bar di quartiere, con l'umanità varia che lo popola, a crescerlo e farne un uomo. Appassionata e malinconicamente divertente, una grande storia di formazione e riscatto, di turbolento amore tra una madre e il suo unico figlio, ma anche l'avvincente racconto della lotta di un ragazzo per diventare uomo e un indimenticabile ritratto di come gli uomini rimangano, nel fondo del loro cuore, dei ragazzi perduti.
Charles Baudelaire e Graham Greene, rispettivamente padri nobili del flâneur metropolitano e dell'occidentale incline a perdersi nel primo Oriente a disposizione, sarebbero stati entrambi fieri di quel loro imprevedibile, inclassificabile, incorreggibile erede che risponde al nome di Lawrence Osborne: e Malcolm Lowry avrebbe di sicuro sottoscritto. Di fatto, però, il programma da cui Osborne parte stavolta ha pochi precedenti: raccontare alcuni periodi nella vita che un uomo «senza una carriera, senza prospettive, senza un soldo» decide di passare in una città scelta quasi a caso – Bangkok. Quanto poi succede a Osborne (mangiare al ristorante No Mani, dove i clienti vengono provvisti di bavaglino e imboccati; passeggiare la notte per il mattatoio della città, fra scannatori strafatti di droghe sintetiche che massacrano animali nel modo meno pulito e indolore; ritrovarsi in una stanza con due ragazze vestite da poliziotto, che avanzano facendo tintinnare le manette) è già di per sé materia per il romanzo che questo libro, in origine, era. Ma, quasi fra le dita del lettore, le storie che si intrecciano fra le pagine, e la voce che le racconta, diventano molto di più: il disperato profilo di alcuni espatriati giunti fin lì per cancellare, all'ultimo momento o quasi, tutta la loro vita precedente; l'autoscatto di uno scrittore sorpreso nel goffo, scatenato e non resistibile tentativo di innalzarsi allo stato di natura; lo schizzo di una città diversa da ogni altra, che è prima di tutto una nuova, fantasmagorica e in larga parte ancora inesplorata forma di vita.
In tutti e tre i racconti che compongono questa raccolta Muriel Spark ci proietta in uno scenario molto diverso da quelli altamente anglici a cui ci ha abituati: l'Africa, dove si trasferì, giovane sposa, nel 1937, rimanendovi suo malgrado, a causa della guerra, fino al 1944. L'Africa nera di un'asfittica colonia inglese popolata di piantatori con velleità letterarie e mogli brille e incarognite che dormono sempre con la pistola sul comodino, "posto feroce" che "tira fuori il lato più crudele" di ciascuno, e dove avvengono quei continui omicidi fra bianchi che tanto incuriosiscono chi, in patria, ne legge placidamente le cronache sul giornale bevendo il tè del mattino. Qui incontriamo la giovane Sybil che, catapultata nell'altro emisfero, vi trova proprio la compagna di scuola che detestava di più; o Daphne, ossessionata dal grido funereo e premonitore dell'Uccello va'-via: giovani donne che guardano con spietato disincanto il malevolo consorzio umano che le circonda.
Questo «libro scritto dalle cose e da tutti», al suo apparire, nel 1955, fu un caso capace di infiammare il momento civile e politico. Perfino celebri personalità dell’intelligenza europea restarono subito colpite dall’azione di stimolo e denuncia di Danilo Dolci: Sartre, per esempio, o Bertrand Russel e l’Abbée Pierre. Dell’attività del «maestro della non violenza», Banditi a Partinico è insieme testimonianza e risultato. Il testo – qui ripubblicato nella veste ideata in origine, con le foto di Enzo Sellerio, poi espunte nella prima edizione per difficoltà tecnico-editoriali – si articola fondamentalmente in due parti. Le prima trenta pagine (la Relazione su Partinico) presentano i dati sociologici di una città della Sicilia anni Cinquanta del Novecento, Partinico – ma potrebbe essere un qualunque grosso centro agricolo isolano o meridionale. La seconda parte contiene le storie umane che popolavano la città raccolte dalla voce dei protagonisti, in prima persona, con le loro precise parole. E tra le due parti gioca una dinamica tale che i numeri paurosi della statistica vivono, si muovono in una loro danza macabra, nelle storie di fame, di follia e di ignoranza in una specie di coro drammatico alla storia d’Italia. Un mescolarsi di denuncia, di proposta e di azione concreta che offre l’immagine perfetta di cosa il maestro della nonviolenza intendesse con l’espressione «rivoluzione dal di dentro». Dolci avrebbe voluto che il titolo del volume fosse «Banditi» a Partinico per enfatizzare che con la parola intendeva non tanto i fuorilegge, che allora imperversavano nella zona, quanto un popolo intero messo al bando dallo stato e dalla legge: che insomma, in certe condizioni come quelle della cittadina siciliana, il passo tra essere poveri ed essere criminali era talmente breve e obbligato che solo uno stato colpevole poteva trattare la questione sociale come fosse una questione criminale. Bobbio scriveva nella prefazione: «Dopo aver letto queste pagine, ascoltate la risonanza sinistra o ironica che acquistano nel vostro animo parole come democrazia, giustizia, diritto, legge... Vorrei che si leggessero queste pagine come un commento, amaro e talora crudele, sempre spietatamente smascheratore delle belle frasi di cui la classe dirigente, politica e sacerdotale, riempie e decora i propri discorsi».
Danilo Dolci (Sesana, 1924-Trappeto, 1997), dopo l’esperienza di Nomadelfia, «la città dove la fraternità è legge», venne a Trappeto vicino a Trapani, iniziando un’instancabile attività di animazione sociale. Tra le sue opere: Inchiesta a Palermo (1957), Spreco (1960), La struttura maieutica e l’evolverci (1996). Con questa casa editrice, Racconti siciliani (2008).
L'economia galoppa. Si riduce la povertà. Crescono i consumi. Il futuro ha il volto fresco di donne e ragazzi che prendono in mano il loro destino. Ecco il Brasile ancora sconosciuto dei mille primati di una solida democrazia.
Era sempre stato considerato 'il paese del futuro', dai tempi dei coronéis esportatori di zucchero e caffè agli impetuosi ultimi anni Cinquanta del presidente Juscelino Kubitschek, della fondazione di Brasilia, della prima vittoria del Mondiale di calcio con Pelé e della nascita della bossa nova. Ma quel futuro non arrivava mai. Adesso, invece, il Brasile vive una nuova stagione, di stabilità politica democratica e di solido sviluppo economico, tra i maggiori del mondo. La nuova presidente della Repubblica, Dilma Rousseff, ha raccolto l'eredità del popolarissimo Lula e rilanciato la crescita e la 'lotta alla povertà'.
Questo libro è il racconto di un viaggio, denso di personaggi, fatti, dati e storie, attraverso un paese in cui, pur tra mille contraddizioni, si affermano nuovi, giovani attori della politica, dell'economia e della cultura. Più di cinquanta milioni di persone, negli ultimi anni, sono uscite dalla miseria e hanno migliorato radicalmente il loro tenore di vita. Cresce una nuova 'classe media', con un boom dei consumi di massa. San Paolo e Rio de Janeiro affrontano le sfide delle megalopoli. Aumentano gli investimenti internazionali, americani, cinesi, tedeschi, italiani. E le migliori imprese brasiliane, dall'agricoltura all'industria manifatturiera, dalla finanza all'energia, si muovono alla conquista dei mercati mondiali: sono i nuovi, e migliori, bandeirantes, sulle orme degli avventurosi esploratori che fondarono il più grande paese dell'America Latina. Sullo sfondo, si delinea anche il ruolo internazionale da protagonista di un Brasile che, in un mondo ormai multipolare, si è affrancato dagli Usa, dialoga con la Cina, l'Europa, l'India e l'Iran, fonda nuove relazioni con l'Africa. Dinamismo e intraprendenza. Attualità e ambiziosi programmi di cambiamento.
Tokyo, anni Venti. L'euforia della modernità sembra concentrarsi tutta in un solo quartiere: Asakusa. Che Kawabata racconta in un romanzo pieno di ritmo e di mistero. Protagonisti: attori, ballerine, funamboli, geishe, bottegai, vagabondi, prostitute e furfanti di ogni sorta. E fra tutti una donna affascinante che cambia vestiti e personalità a ogni sua apparizione: ispira amore, ma insegue vendetta. Un romanzo finora inedito in Italia, che ci mostra un Kawabata diverso da quello che conosciamo: impegnato a esprimere la sua città attraverso le musiche, i colori, i personaggi più marginali e vitali.
"Il banchiere assassinato" (anno 1935) è il primo romanzo della serie il commissario De Vincenzi e di cui si apprende subito il vero interesse, la poesia, e le letture un po' eccentriche per un poliziotto del Ventennio. Tra di esse Freud. E ciò preannuncia il suo sommo strumento investigativo: l'intuizione psicologica e l'osservazione dell'involpntario da cui emerge l'indizio segreto. È notte nel suo ufficio, quando irrompe l'amico Giannette Aurigi, un ricco flaneur, ridotto indebitato. Arriva una telefonata: c'è un morto in via Monforte, è il banchiere Mario Carlini. Proprio nell'appartamento dell'Aurigi e il cadavere è quello del suo principale creditore.
"'Il banchiere anarchico' è il resoconto di un semplice colloquio tra due uomini al tavolo di un ristorante, a fine pranzo. Un dialogo platonico, genere ricorrente nei manoscritti di Pessoa, ma che è ben diverso dalle imitationes rinascimentali, come, per esempio, per rimanere in area portoghese, i "Dialogos em Roma" di Francisco de Holanda o i più tardi quattro "Apologos dialogais" di Francisco Manuel de Melo. In Pessoa il dialogo non ha mai interlocutori reali. E nel nostro caso il banchiere, personaggio descritto come ricchissimo e monopolista, racconta come e perché sia sempre stato e ancora sia anarchico; mentre lo stupefatto e poco meno che muto spettatore è incapace di ergersi a convincente interlocutore." (Ugo Serani)
Centrale di Polizia di Boston, ufficio Archivio criminale: lì, seduto alla sua scrivania, Arthur Jelling, quarant'anni, vita tranquilla, sposato, un figlio, un passato di studente di medicina. Un innato istinto per scoprire la trama oscura dei delitti. "Chissà che cosa c'è nel cuore degli uomini. Di fuori sembrano una cosa e di dentro Dio solo sa cosa sono". Jelling si trova questa volta alle prese con il mondo della sanità: il miliardario Déravans, rimasto cieco in un incidente automobilistico in cui è implicata la ragazza poi diventata sua fidanzata, può essere guarito da un intervento ardito. Solo il professore Linden è in grado di farlo, ma è minacciato di morte se deciderà di compiere l'operazione. La minaccia si realizza alla vigilia di entrare in sala operatoria. Cos'è che Déravans non deve vedere? o chi? o quale impressione sepolta non deve riemergere con la vista? Jelling deve saperlo prima che la mano assassina spenga la prossima preda; e per scoprirlo scruta i volti, le mani, i gesti, nella selva di individui che circonda Déravans, la cerchia eccentrica dei suoi familiari, i medici della clinica, perfino i legami più intimi.
Nelle taverne di un porto del mar Nero, Ismaele Baruch, il bambino prodigio, canta i dolori e le gioie dei miserabili, degli emarginati, degli esclusi. Il suo talento affascina il poeta in crisi Romain Nord e la sua amante, la "Principessa", una ricca vedova in cerca di nuove emozioni. Strappato al suo mondo di miseria, Ismaele diventerà il giocattolo di una società aristocratica, pronta all'entusiasmo quanto al disprezzo, che finirà per umiliarlo inesorabilmente.