
Ugo, insegnante e scrittore, è sottoposto a trapianto di cuore: donatore è il suo migliore amico morto in un incidente mentre Ugo è in lista d'attesa. L'intervento riesce alla perfezione ma Ugo è vinto da una cupa depressione che gli impedisce di vivere bene. Egli si convince che responsabile sia il cuore del suo amico incapace d'amare. Si chiude nel ricordo e nel rimpianto del proprio vecchio cuore, capace di emozioni intense e forti, ma neppure questo lo aiuta a star meglio. Il finale è sorprendente. Ugo in una estate desolata di solitudine in cui anche la moglie, stanca, lo ha abbandonato, parte per la Sicilia, terra che lui chiama "parente". Lì qualcosa di semplicissimo e straordinario, risolverà il suo destino.
«Petrella naviga nelle acque sordide di un sottomondo dove la sopraffazione è legge.»
Giancarlo De Cataldo
«La lotta tra il male e il male in un frenetico affresco che fa di Napoli l'emblema di un'umanità in disfacimento.»
Nanni Balestrini
«Una scrittura che non concede nulla alla retorica. Le piroette convulse di una vita e di una giovinezza ai ferri corti.»
Grazia Verasani
Sanguetta ha sedici anni, è cresciuto nei Quartieri Spagnoli, spaccia e non ha niente da perdere. Nel carcere di Nisida gli offrono di diventare un informatore dei servizi segreti: non può rifiutare, anche se può costargli la vita. Chimicone ha diciott’anni, studia al liceo Genovesi ed è innamorato di Betta; con lei e con gli amici occupa la scuola e fonderà la Barricata Silenziosa, una cellula eversiva che si prepara alla lotta armata. L’Americano è uno sbirro della DIGOS, gli piacciono la musica leggera, la cocaina e le donne; hanno ammazzato Gomez, suo collega e amico, e cerca vendetta.
Tre personaggi, tre destini che La città perfetta insegue per sei anni, dal 1988 al 1994, in una metropoli dominata dal clan del Sarracino e ferita dalla violenza, dal tradimento e dalla corruzione.
Con realismo crudele e un’accurata ricostruzione storica, ma anche con slancio epico e visionario, Angelo Petrella racconta la sanguinosa guerra tra i clan nei quartieri di Napoli, dopo la scomparsa dei grandi capi storici della camorra. Racconta la crisi del Partito Comunista, racconta la ribellione, la disperazione e la rabbia dei giovani del movimento studentesco, i loro sogni e il loro delirio rivoluzionario. Racconta le complicità tra la malavita, i notabili della politica e le forze dell’ordine. Racconta le trame dei servizi segreti, tra terrorismo, criminalità organizzata e disinformazione. Racconta che (quasi) nessuno è innocente. Soprattutto, racconta le radici del male in un mondo dove tutti si vendono e si comprano.
Nero su nero, La città perfetta è un incalzante romanzo di suspense e intrighi, che affonda nel cuore più oscuro dell’Italia e ci fa scoprire una voce giovane e già autorevole della nostra narrativa.
"Non si è mai sazi di queste mitiche figure femminili che montagne di biografie e romanzi hanno di volta in volta esaltato o denigrato, icone avventurose o romantiche, melodrammatiche o futili, raggelate dal tempo. Scorrono adesso tutte insieme, da Caterina de' Medici a Maria Antonietta, dai primi decenni del XVI secolo alla fine del XVIII, gemme della storia e delle storie delle donne, con le loro fortune e sfortune, col potere della loro bellezza e della loro sottomissione, il fervore della loro ambizione o del loro ardore, lo slancio della loro intelligenza o della loro astuzia, nel nuovo libro di Benedetta Craveri; la scrittrice che si muove nelle corti e nei castelli dei Valois e dei Borbone, dei Guisa o dei Lorena con la grazia somma della cultura, della curiosità, del pensiero, della scrittura magnifica" (Natalia Aspesi).
"Ovunque vadano, in India, in Francia, in Etiopia, in Scozia, in Olanda, i cavalieri trovano per riposarsi lo stesso boschetto di soavi allori, le erbette molli, le aure fresche e un rivo ristoratore che scorre. L'immaginazione di pace botanica e floreale ignora le differenze di continenti e latitudini, come se la geografia del romanzo fosse la geografia di un giardino, che gode di un unico clima, e al di fuori del quale c'è l'indeterminato e le nebbie". Con questo approccio, Ermannno Cavazzoni rilegge l'"Orlando furioso" (1516-1532), qui presentato nella cura di Giuliano Innamorati, uno dei maggiori specialisti della letteratura italiana del Cinquecento.
Da "La prima indagine di Montalbano", dove Salvo Montalbano è un semplice vicecommissario che sogna di essere trasferito in un paese di mare, fino a "La finestra sul cortile", ultimo in ordine di tempo e sinora inedito in volume, un vero regalo di Camilleri ai suoi lettori: lungo diciannove racconti, scelti e ordinati personalmente dall'autore per questa antologia, si dipana la carriera di uno fra i più amati commissari d'Italia e la straordinaria amicizia fra lo scrittore e il suo personaggio.
"A volte viene il desiderio di fermarsi e mettere un po' d'ordine tra le cose che ci siamo lasciati alle spalle. Ma il desiderio non basta, c'è bisogno di un'occasione. Ho approfittato del compleanno di Ex cattedra, il mio primo libro, un diario che raccontava in diretta la scuola del 1985-86, per decidermi a rimettere sguardo e mano su quello che di scolastico, negli anni, ho abbandonato qua e là. Moltissima roba l'ho lasciata dov'era, su giornali e riviste, a sbiadire definitivamente. Altre cose, poche, le ho recuperate per metterle di seguito a Ex cattedra come testimonianza di un percorso e di una passione. Il risultato è questo volume, che considero come una teca, la custodia di vecchie pagine nate dal gusto di raccontare e dall'amore per la scuola pubblica, un luogo di esposizione per un'esperienza definitivamente conclusa." (Domenico Starnone)
In questo volume sono raccolti i primi tre polizieschi con il commissario Montalbano protagonista. "La forma dell'acqua", il primo celeberrimo caso di Montalbano. Un commissario che indovina la pista giusta per affinità ambientale. Ne "Il cane di terracotta", un delitto di mafia a Vigàta, sembra celarne un altro conturbante e rituale: i cadaveri di due amanti nel doppio fondo di una grotta. Sorvegliati, come un sepolcro arcaico, da un grande cane di terracotta. Ne "Il ladro di merendine", c'è un legame tra due cadaveri: quello di un tunisino annegato e quello di un commerciante di vino di Vigàta accoltellato dentro l'ascensore. Il legame è rappresentato dal piccolo François, per Montalbano, e l'orrore che scopre gli afferra l'anima più di un fatto personale.
Sanguinario killer di camorra, Ferdinando si è conquistato sul campo il rispetto dei boss grazie alla geometrica freddezza con cui esegue le condanne a morte. Catturato e incarcerato, viene accusato tra l'altro dell'omicidio del giornalista Giancarlo Siani. Ed ecco che con inaspettata determinazione, il camorrista si dichiara innocente. Non bastano le dita di due mani per contare i suoi omicidi, ma quello no, lui non l'ha commesso. Comincia così il tormentato dialogo con il giovane magistrato che indaga su quel caso, guidato dall'istinto che lo porta a intravedere, dietro la scorza del gelido camorrista, un inquieto bisogno di sfuggire all'opprimente spirale del crimine. A pungolare il giudice, un vecchio segugio, un commissario che conosce Ferdinando da sempre e del ventricolo malavitoso di Torre Annunziata intende ogni palpito. Di interrogatorio in interrogatorio Ferdinando si ritrova esposto al peggiore dei marchi che un camorrista possa conoscere: infame. Il narratore, che è stato a lungo l'avvocato di Ferdinando, ripercorre il doloroso lavorio interiore che lo spinge quasi suo malgrado a liberarsi dalla stretta dell'appartenenza al clan. A sostenerlo il candore e il coraggio di Anita, che dei crimini del marito non sa quasi nulla, e tiene insieme i pezzi di una vita esplosale tra le mani all'improvviso.
La pubblicazione della "Divina foresta" (1969) fu propiziata da Giorgio Caproni, con un suo dettagliato parere di lettura: "Una suggestiva historia naturalis ambientata in una remotissima Sicilia agli albori della creazione, è il tema, svolto in chiave tra lucreziana e, al limite opposto, perfino kipliniana, di queste pagine che il lettore, da un capo all'altro, segue con mai rallentato interesse e, diciamolo pure, con innegabile incanto poetico. Protagonista è la vita stessa, o, per meglio dire, è un'entità vivente e "cogitante" dapprima indeterminata nella propria larvale forma e quindi, dopo una breve stagione vissuta vegetalmente, sotto la definitiva specie d'un avvoltoio e precisamente d'un filosofico avvoltoio, che nulla ha in sé della ferocia che il nome evoca ma che anzi è nutritissimo di classica saggezza (la greca in primo luogo) e che a suo modo disegna nell'arco della propria avventura (la perdita della compagna lo spinge, fino all'estenuazione, alla ricerca d'un messaggio iperuranico oltre i confini dell'isola d'oro, oltre gli oceani e addirittura verso l'irraggiungibile luna, in un alternarsi di roventi esaltazioni e di nere ipocondrie che rasentano le più moderne nevrosi) l'arco della nostra umana inquietudine di fronte al nostro stesso esistere e morire".
Questa è la storia di Simone. Siamo in un parco alla periferia di Torino, uno spiazzo un po' brullo riecheggiante di grida gioiose, di cigolii d'altalena, di mamme che chiamano ad alta voce i loro figli. Ma è anche un terreno di caccia, per qualcuno che se ne sta tranquillo su una panchina a osservare quello che succede intorno a lui, ad aspettare il momento buono. Per alzarsi, avvicinarsi. Magari regalare due parole dolci, fare una carezza. Qualcuno che il protagonista di questa scioccante storia vera chiama il Falco. Se questa storia è stata scritta, è perché il bambino di allora oggi è cresciuto, ma il Falco è rimasto a lungo con lui, come un dolore sotto pelle, un disagio quotidiano durante gli anni della crescita, per manifestarsi in attacchi di panico improvvisi, mentre l'adolescenza sembrava scorrere normale come quella di molti suoi coetanei. E proprio quando Simone sembrava aver rimosso tutto quanto, ecco che il Falco si ripresenta nella sua vita.
È delizioso ascoltare a primavera il canto del cuculo che annuncia il ritorno alla vita. Ma se il cuculo facesse sentire il suo richiamo d'inverno? Allora gli uomini dei boschi si sbircerebbero di sottecchi nelle cucine fumose, dove i cani sonnecchiano inquieti, in attesa del peggio. Perché gli animali conoscono meglio dell'uomo il mistero della vita e della morte. Al centro di questo libro, che per situazioni e atmosfere è da annoverare tra i più caratteristici di Corona, c'è il rapporto tra l'uomo e gli animali: una relazione aspra, scontrosa, fatta di incomprensioni, quando non di vere e proprie crudeltà. Ma anche di amicizie che resistono senza bisogno di parole, di intimi legami che raggiungono un'intensità sublime. Tanto più straziata quanto più silente. Racconti di fatti, di gesti e di silenzi, storie tramandate da generazioni che, come sempre in Corona, ritornano circolarmente e di nuovo e per sempre affascinano, tra verità e leggenda.