
Nel corso di questo nuovo caso - la più marina delle indagini di Montalbano l'ha definita Camilleri - che si svolge tutto nel porto di Vigàta, tra yacht e cruiser, il lettore resterà colpito dal cambiamento che si è verificato nel commissario, come se Camilleri avesse voluto scavare più intensamente dentro i sentimenti del suo beniamino. Una mattina viene trovato nel porto di Vigàta un canotto, all'interno il cadavere sfigurato di un uomo. L'ha riportato a riva un'imbarcazione di lusso, 26 metri, abitata da una disinvolta cinquantenne e da un equipaggio con qualche ombra. Proprietaria e marinai devono trattenersi a Vigàta fino alla fine dell'inchiesta sul morto (ammazzato col veleno stabilisce l'autopsia), ma intanto è proprio su di loro che Montalbano vuole indagare.
Valerio Petrarca ha una lunga consuetudine con l'Africa. A partire dal 1994 si è recato più volte nel continente e ha vissuto esperienze sul campo in Costa d'Avorio. Questo libro nasce soprattutto dopo l'ultimo viaggio, del 2005, quando ha attraversato il Paese lacerato dalla guerra. Il viaggio era destinato a documentare l'opera di Grégoire Ahongbonon, un immigrato dal Bénin che ha svelato, tentando di porvi qualche rimedio, la crudeltà del trattamento dei malati mentali, legati agli alberi o gettati nelle discariche, tanto nei villaggi quanto nelle città (Grégoire ha ricevuto nel 1998 il premio "Franco Basaglia"). Una volta sul terreno, l'autore si è reso conto che i "pazzi" di Grégoire, almeno alcuni di essi, non dalla malattia erano stati segnati, ma dalle lacerazioni tra i mondi contigui e concorrenti in cui erano nati e cresciuti: tra autoctoni e immigrati, villaggio e città, religioni tradizionali e religioni missionarie, stregoneria e scienza, tradizione e modernità. "I pazzi di Grégoire" dà voce a bambini e a giovani che hanno conosciuto direttamente e indirettamente gli effetti della guerra, e ricuce, in una trama possibile, i loro discorsi. Si raccontano poche storie di vita, ma diffusamente, per fare emergere, in immagini di sintesi, la "fame di senso", il disagio culturale, prima che materiale, sofferto dai giovani, su cui la guerra è arrivata come un'onda distruttrice di simboli e di cose.
Un grande scrittore torna su un personaggio e poeta, Dino Campana, al quale aveva già dedicato "La notte della cometa". Scrive Vassalli: "È il Natale del 1916: in Italia, un Natale triste. Tutti o quasi tutti gli uomini validi sono lontani da casa, in quelle trincee tra le montagne dove si soffre e si muore per una guerra che, nonostante la retorica ufficiale, non ha in sé proprio niente di epico... Eppure per Dino Campana l'ultimo giorno felice fu il Natale a Marradi. Perché Dino e Sibilla Aleramo siano andati a Marradi, dove lei non era mai stata, proprio in quel giorno di Natale del 1916, non si sa... Forse prima di perdersi in quel crepuscolo della ragione dove stava precipitando da più di un anno, lui ha voluto mostrare i suoi luoghi d'infanzia all'unica persona che aveva avuto un moto d'affetto nei suoi confronti..."
Al centro di questo libro si trova un sogno, l'unico che Baudelaire abbia raccontato. Entrare in quel sogno è immediato, uscirne difficile, se non attraversando un reticolo di storie, di rapporti e di risonanze che coinvolgono non solo Baudelaire ma ciò che lo circonda. Dove spiccano due pittori di cui Baudelaire scrisse con stupefacente acutezza: Ingres e Delacroix; e due altri che solo attraverso Baudelaire possono svelarsi: Degas e Manet. Secondo Sainte-Beuve, perfido e illuminato, Baudelaire si era costruito un "chiosco bizzarro, assai ornato, assai tormentato, civettuolo e misterioso", che chiamò "la Folie Baudelaire" (folies era il nome settecentesco di certi padiglioni dedicati all'ozio e al piacere), situandolo sulla "punta estrema del Kamcatka romantico". Ma in quel luogo desolato, in una terra ritenuta dai più inabitabile, non sarebbero mancati i visitatori. Anche i più opposti, da Rimbaud a Proust. Anzi, sarebbe diventato il crocevia inevitabile per ciò che apparve da allora sotto il nome di letteratura. Qui si racconta la storia, discontinua e frastagliata, di come "la Folie Baudelaire" venne a formarsi e di come altri si avventurassero a esplorare quelle regioni. Un storia fatta di storie che tendono a intrecciarsi, e per alcuni decenni ebbero come sfondo le stesse strade di Parigi.
E se "la vita bassa", per i prossimi Lévi-Strauss, diventasse un Segno antropologico tribale ed elettorale non solo giovanile, in un Musée de l'Homme con foto di addomi e posteriori aborigeni di fronte e profilo? O non diventerà una Metafora, nella pubblicistica "easy" satura di cose che sono metafore di altre cose, dai nostri tempi alla condizione umana, al Paese, a tutto?
Lui sta cercando se stesso, ma trova lei. La incontra su un tram, per caso come succedono certe cose. Lei scivola via alla fermata, ma lui sente che deve fare di tutto per ritrovarla. Allora si trasforma in un investigatore privatissimo e scopre che la sorgente della sua tempesta emotiva e ormonale è partita per New York. Non gli resta che salire su un aereo diretto alla Grande Mela e fare di tutto per incrociare di nuovo quello sguardo.
È notte, l'orfanotrofio è immerso nel sonno. Tutte le ragazze dormono, tranne una. Si chiama Cecilia, ha sedici anni. Di giorno suona il violino in chiesa, dietro la fitta grata che impedisce ai fedeli di vedere il volto delle giovani musiciste. Di notte si sente perduta nel buio fondale della solitudine più assoluta. Ogni notte Cecilia si alza di nascosto e raggiunge il suo posto segreto: scrive alla persona più intima e più lontana, la madre che l'ha abbandonata. La musica per lei è un'abitudine come tante, un opaco ripetersi di note. Dall'alto del poggiolo sospeso in cui si trova relegata a suonare, pensa "Io non sono affatto sicura che la musica si innalzi, che si elevi. Io credo che la musica cada. Noi la versiamo sulle teste di chi viene ad ascoltarci". Così passa la vita all'Ospedale della Pietà di Venezia, dove le giovani orfane scoprono le sconfinate possibilità dell'arte eppure vivono rinchiuse, strette entro i limiti del decoro e della rigida suddivisione dei ruoli. Ma un giorno le cose cominciano a cambiare, prima impercettibilmente, poi con forza sempre più incontenibile, quando arriva un nuovo compositore e insegnante di violino. È un giovane sacerdote, ha il naso grosso e i capelli colore del rame. Si chiama Antonio Vivaldi. Grazie al rapporto conflittuale con la sua musica, Cecilia troverà una sua strada nella vita, compiendo un gesto inaspettato di autonomia e insubordinazione.
Due galline sorelle, l'"impettita e arcigna" Tuja e la"molle e trasognata" Chica, vivono insieme in una piccola casetta di legno appesa a un fico selvatico, finché in una notte buia e tempestosa la malvagia Tuja caccia di casa la sorella. Cosa accadrà ora alla povera Chica? Riuscirà a sfuggire alle grinfie del lupo? Saprà trovare un rifugio sicuro alle intemperie della notte? Come ha scritto Margherita Fenoglio, "La storia della gallina Chica vi saprà coinvolgere e affascinare come è accaduto a me... Mettetevi nei suoi panni. Al buio, sperduti nel bosco, con il lupo che vi aspetta al varco..." Composta tra la fine del 1960 e l'inizio del 1961, questa tenera fiaba fu il primo regalo di Beppe Fenoglio alla sua bambina, che volle accogliere nel modo a lui più congeniale, con un racconto. In questa edizione "La favola delle due galline" è illustrata dai disegni di Alessandro Sanna e accompagnata da una nota di Margherita Fenoglio. In appendice "Il bambino che rubò uno scudo", la fiaba rimasta incompiuta con la storia di Paolo, un bambino che somiglia molto al suo autore. Età di lettura: da 8 anni.
Un libro scanzonato, leggero e dottissimo per chi ama la poesia e per le folle che dal 1991, dalle università ai teatri alla televisione, hanno cominciato o ricominciato ad amare Dante per come Benigni lo ha narrato. Il distillato del racconto orale con cui l'attore comico ha accompagnato tutte le sue letture dantesche. Che in modo allegro e pieno di vita ci parla di figure retoriche e di accenti, di bellezza e di amore, di religione, di Dio e del peccato. Un libro, infine, che col sorriso sulle labbra ci rende felici di parlare la stessa lingua di Dante Alighieri. Con uno scritto di Umberto Eco.
Pompei, 63 d. C. Il celebre gladiatore Pirrus, eroe delle arene, viene assassinato. Ma la notizia non fa in tempo a scuotere gli animi che, un'ora appena dopo l'omicidio, un violentissimo terremoto rade al suolo la città. Troppi sono gli interessi di Roma sul territorio per permettere che Pompei si trasformi in un cumulo di macerie. Per questo, su decisione del Senato, la città viene ricostruita con grandi sforzi. Le vie si riempiono di botteghe, ville maestose sorgono, abbellite da straordinari affreschi, il clima mite favorisce i vigneti e le villeggiature. E in pochi anni Pompei diviene ancor più di prima centro di ricchezze, di lusso sfrenato, e di corruzione. Ma c'è chi si oppone alla deriva dei costumi: una fratria, un gruppo di uomini legati alle antiche tradizioni e fieri oppositori della decadenza portata dai romani. Tra loro, il pittore Glauco, chiamato a dipingere gli affreschi che lo renderanno immortale, l'edile Scauro e Trittio Vetullio, che presiede a una famosa palestra atletica e gladiatoria. Quando alcuni membri della fratria vengono prima condannati all'arena e poi assassinati, come Pirrus sedici anni prima, Glauco e Scauro decidono di lottare per smascherare i colpevoli.
Tredici "pezzi", suonati o cantati con la voce dell'emozione, tredici brani il cui tema conduttore è l'amore. L'amore che si fa, che sfa, che strugge e che distrugge. L'amore coniugale, quello che dura e quello che non dura, l'amore detto, cantato, raccontato. Di episodio in episodio viene modellandosi un mondo interiore compromesso dall'amore, dall'assenza dell'amore, dalla meraviglia dell'amore. E su ogni piccolo evento passano le note di una canzone.
La corte del re Luigi XVI sta per essere travolta dallo scandalo del secolo, passato alla storia come "l'affare della collana". L'intrigo, ordito da una nobildonna decaduta, assetata di denaro e bramosa di scalare i vertici dell'alta società parigina e di avere un ruolo a corte, coinvolge nelle sue trame l'ambizioso cardinale Rohan, il sedicente mago e alchimista Cagliostro, fidatissimo amico dell'alto prelato, e la stessa regina Maria Antonietta, spianando la strada alla Rivoluzione dell'89. L'affare della collana non resta confinato fra le mura dei tribunali, ma diventa subito di pubblico dominio. Le arringhe degli avvocati vanno a ruba come bestseller, molti scrittori si arricchiscono con pamphlet scandalistici venduti in migliaia di copie. La Francia si appassiona alla vicenda e si divide fra innocentisti e colpevolisti. Ma il debole re Luigi non ne coglie appieno la portata e lascia che le cose seguano il loro corso, accelerando così il tramonto e la fine della monarchia francese.