
Al centro dell’azione è la collaborazione mediatica tra un giornale e una trasmissione televisiva: il giornale fornisce il caso umano, la tv lo apparecchia in studio corredandolo di pubblico e pubblicità. «La prima», è fatta su una bambina, «Premio bontà classe Juniores C», presentata come l’angioletto che veglia, nel monolocale, sul fratellino: non dorme per tenere lontani da lui scarafaggi e topi scorrazzanti nell’edificio all’infimo del degrado. Nello stesso palazzo, allo scantinato, abita «la donna», la protagonista centrale del romanzo, con le sue due bambine: è vedova giovanissima di un ragazzo morto per una malattia non curata, è ignorante, abituata alla sottomissione e manca di ogni risorsa, e sul punto di morir di fame. L’illusione dei buoni sentimenti televisivi la tenta a diventare lei il caso umano da rappresentare sullo schermo. Tutto quello che non ha è insufficiente a richiamare attenzione e aiuti, e allora escogita un sistema: si mutila. Ma anche la prima mutilazione non basta a soddisfare i produttori, ancora «non costituisce una vera e propria storia», soprattutto lei pretende di proteggere la dignità delle bambine: ma «la dignità – le dice il direttore – è un lusso». Non le resta che continuare i passi successivi verso il suo «gran finale con lacrime e baldoria». Intorno a questa ferocia si muovono figure grottesche che sembrano comunicare solo per infliggere violenza psicologica; giornalisti resi del tutto insensibili dalla frustrazione del successo e dell’insuccesso; medici ammonitori sulla «santità del corpo umano» con chi si consuma d’inedia; bambini e madri strumentalizzati fino all’istupidimento; vicini abbrutiti nell’egoismo da vite chiuse e miserabili; gente che passa diventata un pubblico famelico di sensazioni: tutti soffrono, ma nessuno ha pietà. È una parabola cupa e sarcastica, tesa di umorismo crudele, questa di Bordon, datata sorprendentemente – e profeticamente: quasi un’antiutopia – 1974: ben prima del trionfo della televisione che fa spettacolo della sofferenza togliendo alla sofferenza concreta e alle sue cause ogni realtà agli occhi di ciascuno. Eppure è questo il suo bersaglio: l’attuale sistema di informazione spettacolo e affari, che risucchia il contenuto umano allo stare assieme e che di questa sottrazione si autoalimenta. Nei suoi romanzi, in questo come nel Canto dell’Orco (del 1985 e ripubblicato da questa casa editrice nel 2008), la solidarietà, la fratellanza sembrano un ultimo residuo relegato tra personaggi estremi, freaks predestinati al pubblico stigma.
Furio Bordon è nato e vive a Trieste. A ventisei anni lascia la professione di avvocato per dedicarsi alla scrittura e alla regia teatrale. Ha diretto il Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia, il Teatro Romano di Trieste, il Mittelfest Prosa di Cividale.
Il suo maggior successo, Le ultime lune, è stato tradotto e allestito all’estero in venti lingue. Con questa casa editrice ha pubblicato Il canto dell’orco (2007).
Il libro raccoglie nove racconti di diversa ispirazione e un breve saggio sulla morte.
Dà il titolo un fantasy ambientato in una Sicilia un po’ medievale e un po’ no (il suo riferimento è l’opera dei pupi), la cui protagonista è una Bradamante stracciona, alle prese con l’invasione musulmana, l’Inquisizione e il martirio delle streghe.
Il secondo racconto attraversa il Mediterraneo, il terzo parla di un’orrenda mutilazione. Il quarto e il quinto sono collegati tra di loro e sono trasposizioni reinventate di due morti vere, quella di Zi’ ’Ngiulillo (Zio Angelo De Mari) – sacerdote morto con i garibaldini sul Volturno – e quella del fratello di mio nonno, Enrico Ventrone – detto il Professore, perché conosceva a memoria il dizionario di latino – fucilato dai tedeschi per aver avvertito e fatto fuggire dei ricercati. Poi ci sono alcune storie contemporanee e un lungo racconto forse di fantascienza.
E, infine, un saggio sulla morte. Perché un saggio sulla morte? Perché tutte le storie raccontate dagli uomini, dalle donne o dai bambini, dall’inizio del mondo, parlano della morte, anche quelle dove la morte non compare, dove tutto va bene. Perché la nostra capacità di raccontare nasce per ingannare l’attesa della morte, la coscienza che siamo mortali.
Questa coscienza l’abbiamo solo noi. Qualche volta ce ne dimentichiamo, ma in realtà essa è sempre con noi, come un avvoltoio sulla spalla. O forse come un angelo custode, perché, se ne fossimo privi, tutto sarebbe insulso, privo di senso. È questa la dannazione, ma anche la meraviglia, di essere uomo. O donna. O bambino.
Silvana De Mari
L'AUTORE
Silvana De Mari è un medico. Un medico che scrive. Ha un figlio, un marito, una sorella, nipoti, alcuni amici e dei vicini di casa. Vive in mezzo ai boschi e alle vigne. Ha un cane e lo porta fuori tutte le mattine, in mezzo alle vigne e ai boschi. Possiede un minuscolo frutteto e sa potare. Tra i suoi libri, ricordiamo i fantasy di straordinario successo: La bestia e la bella, L’ultimo elfo, L’ultimo orco, Gli ultimi incantesimi, il saggio Il drago come realtà (tutti editi da Salani) e il romanzo Il gatto dagli occhi d’oro (Fanucci).
“Solo i morti hanno il diritto di perdonare,
i vivi hanno il dovere di non dimenticare.”
Efrem Parodi, trentacinque anni, è il nuovo professore di Storia contemporanea della Piccola Città, nel nord-ovest dell’Argentina. Quando arriva in Sudamerica vuole solo inseguire il miraggio di un Nuovo Mondo, dimenticare il proprio passato e lo squallido presente dell’Italia.
Alicia, seduta in prima fila, è l’alunna più brillante del corso. Lui ha il carisma, lei una bellezza selvatica che non lascia scampo. I due si osservano, poi si cercano con gli occhi e poi lo sguardo non basta più: quando infine si accende, la loro passione sembra assorbirli totalmente e placare le inquietudini di entrambi. Ma sotto quel carisma e quella bellezza si nascondono tragedie irrisolte, ferite aperte e profonde come quelle che ancora lacerano il continente sudamericano. E se le ferite tornano in superficie, l’amore si trasforma in follia. Mossi da una comune ossessione, Efrem e Alicia si spingeranno fino alla fin del mundo, in una ricerca destinata a riannodare i fili che uniscono l’Italia all’Argentina, i fili dell’emigrazione ma anche quelli che legano la P2 di Licio Gelli e il Vaticano alla feroce dittatura militare degli anni Settanta.
Partito dal poliziesco, Perissinotto approda a una detection diversa, che si snoda tra gli incubi e i fantasmi della Storia. Il suo ottavo romanzo diventa così un lucido viaggio nella coscienza di un uomo e di due Paesi, un percorso che propone senza ipocrisia il tema della vendetta come consolazione dell’innocente di fronte alle mostruosità del potere.
Una lunga passeggiata dentro Roma secondo il percorso immaginato nel romanzo che Lucio Grimaldi aveva pensato tanti anni prima: di questa storia, progettata ma mai portata a compimento, il protagonista ritrova casualmente un suo vecchio taccuino. Ha inizio così una flânerie trasognata nel cuore di Roma, alla riscoperta dei luoghi e dei personaggi della propria giovinezza in un intreccio di memorie del passato e folgoranti agnizioni di un presente forse reale o forse solo immaginario. Un romanzo emotivamente coinvolgente, ricco di sorprese e di surreale ironia, di umori beffardi, di atmosfere e di poesia.
"Questo è un libro di sentimenti e di pensieri, che accompagna la vita che passa e il tempo che velocemente accorcia la mia distanza dal prevedibile tinaie. Urgono le domande cui non si può dare risposta, si sta voltati dall'altra parte, in una "distrazione vigilante", anche quando si leggono i giornali. No, non è più un'età di pacifica saggezza la nostra vecchiaia, ma per come va il mondo, gli affetti, il rendiconto generale, è un'età dell'ansia, della paura e dell'allarme. Tuttavia questo è anche il libro di una convalescenza, della "bella giornata sottratta al maltempo", di un ritorno alla vita dopo un bypass: con una scrittura anch'essa "a cuore aperto", ho cercato di raccontarlo." Raffaele La Capria
Quella che si narra in questo libro non è la storia di un cane. È la "biografia morale" di un animale non immaginario ma esemplare, che racconta come intelligenze diverse, umana e canina, cominciano a sfiorarsi. Infatti, grazie allo stile "lunatico" di Berselli, al suo divagare un po' picaresco, decollano subito, con vari scodinzolii, storie molto italiane e politiche, disincantate e ironiche, in cui avventure e disavventure di razze differenti si "specchiano in una visione di pura tolleranza, all'insegna di un relativismo assoluto, di un italianissimo 'sì, vabbè...'. Allora non stupitevi se la biografia "reazionaria" di Liù si intreccia con quelle di Montanelli e De Felice, di Cacciari e Agnelli, di Pasolini e Nanni Moretti, fra aneddoti memorabili e detti molto celebri o strazianti. Intorno all'idea di un cane", ecco allora una società italiana che guarda attonita se stessa, la sua cultura e il suo modo di essere, e alla fine si convince che un metodo, o un rimedio, per la convivenza ci dev'essere: basta accontentarsi di raccontare storie, accoccolati su un divano, immaginando magari una portentosa festa con tutti gli amici che abbiamo, mentre fra i piedi scalzi si diffonde il tepore dolce, filosofico e irrimediabilmente, deliziosamente, poco progressista dell'ultimo riferimento politico rimasto, la pancia calda di Liù".
Oppressa da una frenetica gestione del tempo, la nostra epoca ha un grande bisogno di pazienza, virtù protagonista in questo libro di Paolo Pejrone, senza alcun dubbio nostro "giardiniere" per eccellenza, principale responsabile della nuova attenzione culturale che circonda piante e giardini. Il lavoro del giardiniere richiede un senso diverso del tempo e del vivere: "in giardino non c'è fretta", come recita uno dei capitoli del libro. Il tempo della natura non può essere forzato e costretto. E, in questo modo, l'astuzia della ragione ci conduce a una sorta di "piccola ecologia del bello": il bello diventa un mezzo per raggiungere il buono. Il curare i fiori, il crescere con delicatezza e attenzione piante e alberi si rivela, nella sua necessaria lentezza, un modo per cambiare il nostro atteggiamento verso il tempo. "La pazienza del giardiniere" vuole chiarire e ribadire la concezione, imperniata sulla semplicità, che Pejrone ha del giardino, aborrendo e esecrando ogni sofisticazione, sia concreta che metaforica. Il libro evidenzia poi il rapporto che la società civile deve avere con il verde pubblico, denunciando il dilettantismo e l'arroganza con i quali spesso si agisce nel costruire e curare giardini e altri spazi comuni.
Nel cuore della notte, sul fronte di Caporetto si abbatte terribile l'offensiva austro-ungarica. Il nemico che gli italiani avevano creduto sfiancato, si è ripreso e ora, complice pioggia e nebbia, cala su truppe infreddolite, demotivate e stanche. Impreparate a tanta potenza di fuoco. C'è una babele di dialetti nelle trincee, uomini che maledicono, danno ordini, pregano, e spesso neanche si capiscono tra loro. Per prendere Trento e Trieste hanno mandato a morire molta più gente di quanta ne viva là, osserva il soldato Santini, il socialista della brigata. E poi, avranno voglia quelli di essere liberati? Ma non importa, i generali hanno deciso così, e ormai è lì, immerso nel fango, con le bombe che gli esplodono tutt'intorno, la vita in bilico, legata alla traiettoria di una pallottola. In poche ore lui e i suoi compagni si trovano in fuga, non si parla più di sconfitta ma di disfatta. I "tugnit" avanzano. I soldati allo sbando invadono città e paesi ormai quasi deserti, razziano, devastano, dei civili chi può si da alla borsa nera, gli altri se ne vanno, lasciando tutto. Per sfuggire ai carabinieri, che nel caos tiranneggiano e si lasciano anche andare alla ferocia, Santini e il sergente Tarcisio, intervenuto a difenderlo, si arruolano negli arditi, quelli che si rifiutano di dare le spalle al nemico e gli vanno invece incontro a testa alta.
In breve
Arrigo Cipriani è uno dei ristoratori più conosciuti al mondo. E l’Harry’s Bar è il locale più conosciuto al mondo. Prigioniero di una stanza a Venezia è lo spaccato di cinquant’anni di storia e la confessione di un uomo che ha fatto incontri straordinari: da Woody Allen a Giorgio De Chirico, da Ernest Hemingway a Frank Sinatra.
Il libro
L’Harry’s Bar è molto più che un bar. L’Harry’s Bar è un’istituzione. Ai suoi tavoli si sono seduti re, principi, i protagonisti della Storia e le stelle dello spettacolo – da Woody Allen a Giorgio De Chirico, da Ernest Hemingway a Frank Sinatra.
Arrigo Cipriani racconta con schiettezza, umorismo e agilità i cinquant’anni passati dietro il bancone dell’Harry’s Bar, che nella sua narrazione quasi epica diventa il centro del mondo il punto d’incontro in cui storia personale e Storia si confondono e si compenetrano. Ecco allora un Arrigo che si barcamena tra il lavoro nel bar e gli studi di Giurisprudenza mentre infuria la Seconda guerra mondiale; e ancora, gli insegnamenti ricevuti in collegio e le lezioni impartitegli da avventori abituali; le battaglie contro l’acqua alta e le visioni di donne bellissime che calcano il “palcoscenico” dell’Harry’s Bar.
Prigioniero di una stanza a Venezia ha una sua vitale ricchezza dispiegata con anarchico funambolismo: dallo spassoso aneddoto intrecciato a riflessioni su temi universali come giustizia e uguaglianza, per poi passare alla grazia del buon vino. Intorno a sé, Arrigo Cipriani calamita con leggerezza e affabilità i grandi e piccoli protagonisti della Storia nel nome di un precetto che lega il mestiere alla filosofia morale: “l’accoglienza è la valorizzazione dell’uomo”.
Non può esserci posto per un commissario alla Montalbano nella Palermo di questo romanzo. Montalbano è, qui e ora, un’icona proverbiale distratta nei paesaggi remoti della giubilazione. Viene evocato, ma solo a sproposito. «Non è che ora ti devi mettiri a fari il commissario Montalbano», si dice; e l’iperbole è riservata alla vocazione investigativa di una segretaria, che è una «vera e propra minera di sparlerie, curtigliarate, maledicenze». Il romanzo si colloca nelle vicinanze della cronaca più recente. E dà una rappresentazione storicamente ravvicinata del generale insordidamento politico: delle occulte geometrie e delle segrete intese fra poteri forti trasversali alle colorazioni stinte dei partiti; degli strusciamenti della corruzione; delle collusioni mafiose; dei vari gradi di perversione del linguaggio velato o atteggiato, elusivo o reticente, ossequioso o intimidatorio. Le apparenze abbagliano. Ed è sconsigliato denudare le parole e interpretare i fatti. L’impermeabilità della politica irradia di sé le carriere, nelle aziende pubbliche, e i passaggi dei pacchetti azionari nella Banca dell’Isola; e persino le alcove: le fedeltà e le infedeltà coniugali; l’amor costante e le passioni tattiche. La giostra, che la politica fa intorno al cadavere di una studentessa assassinata e al fidanzato raggiunto da un avviso di garanzia, viene seguita, e assecondata, dal direttore del telegiornale isolano. Anche gli innocenti, che credono di star fuori o ai margini della trama, e sanno come «cataminarisi», hanno le loro tare e qualche inaspettato tornaconto nel romanzo. L’ingarbugliamento della vicenda, il labirintico concrescere della trama, annoda e invischia tutti; e impedisce che si arrivi a decifrare il calcolo ordinato dietro l’apparente contraddittorietà dei particolari, e a riconoscere quell’istanza di superiore controllo che nulla ha lasciato al caso. Qualcuno, in alto, ha lanciato il rezzàglio, la rete da pesca. E ha tirato su il bottino che gli premeva. «Ittari nna rizzagghiata», dicono i vecchi dizionari fraseologici del dialetto siciliano, significa «non lasciar uscir di mano nulla, né perdere occasione alcuna di qual si voglia poca importanza ch’ella si sia». La verità è confezionabile, come qualsiasi menzogna. La verità autentica trova spazio solo nell’utopia fantascientifica della letteratura. Nell’ipotesi di un soggetto cinematografico, per un possibile film da intitolare Girotondo attorno a un cadavere. L’autore del «soggetto» è però un «fituso» informatore, capace d’inventare romanzi sull’attualità, per poi spacciarli come «verità di vangelo». E pretende, addirittura, di vendere le sue fantasie all’artefice mafioso della «rizzagliata» politica. Il «fituso» scompare nella notte. Tocca a Camilleri riscattare il soggetto romanzesco, gettare a spaglio la propria rete, e fare la Rizzagliata: il romanzo suo più nero, che ora esce in Italia, dopo il successo raccolto in Spagna con il titolo La muerte de Amalia Sacerdote.
Salvatore Silvano Nigro
Andrea Camilleri (Porto Empedocle, 1925), regista di teatro, televisione, radio e sceneggiatore. Ha insegnato regia presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica. Ha pubblicato numerosi saggi sullo spettacolo e il volume, I teatri stabili in Italia (1898-1918). Il suo primo romanzo, Il corso delle cose, del 1978, è stato trasmesso in tre puntate dalla TV col titolo La mano sugli occhi. Con questa casa editrice ha pubblicato: La strage dimenticata (1984), La stagione della caccia (1992), La bolla di componenda (1993), Il birraio di Preston (1995), Un filo di fumo (1997), Il gioco della mosca (1997), La concessione del telefono (1998), Il corso delle cose (1998), Il re di Girgenti (2001), La presa di Macallè (2003), Privo di titolo (2005), Le pecore e il pastore (2007), Maruzza Musumeci (2007), Il casellante (2008), Il sonaglio (2009); e inoltre i romanzi con protagonista il commissario Salvo Montalbano: La forma dell'acqua (1994), Il cane di terracotta (1996), Il ladro di merendine (1996), La voce del violino (1997), La gita a Tindari (2000), L'odore della notte (2001), Il giro di boa (2003), La pazienza del ragno (2004), La luna di carta (2005), La vampa d'agosto (2006), Le ali della sfinge (2006), La pista di sabbia (2007), Il campo del vasaio (2008), L'età del dubbio (2008), La danza del gabbiano (2009).
Quattro scarafaggi a Parigi, un best seller da scrivere, 57 giorni per portare a termine l’impresa. Ma le loro zampe sono troppo corte per tenere una penna.
– Dobbiamo scrivere un romanzo sentimentale, alla Via col vento, guerra di secessione e amori tormentati, soldati e corna. – Ambientiamolo nel medioevo, alcuni alieni rapiscono un gruppo di monaci, un romanzo di fantascienza retroattiva. – Io scriverei un western ambientato ai giorni nostri, dove i duelli con le pistole si svolgono a Wall Street, dopo un conflitto nucleare. Io avanzai l’ipotesi di un thriller con protagonista un anatomopatologo. Avevo sentito dire che gli anatomopatologi andavano per la maggiore nei best seller, anche se avrei avuto qualche problema a spiegare quale professione svolgessero di preciso...
Indice
1. Morosità – 2. La giovinezza non è mai servita a nessuno – 3. Un best seller! – 4. Tentativi a vuoto – 5. Cyrano de Bergerac – 6. Infarinatura e qualche grattacapo – 7. I primi 25 giorni – 8. Una settimana di pausa – 9. I secondi 25 giorni – 10. Dopo il best seller scritto in 57 giorni - Ringraziamenti
È un giorno d'ottobre del 1956 quando Giovanni e la sua famiglia lasciano il piccolo paese di Buonalbergo e partono per il Nord. Lungo il viaggio in treno, Giovanni sogna quella città sconosciuta e magica, che può dargli da mangiare come ai ricchi: un paese pieno di luci, palazzi fantastici, giostre sul mare e donne bellissime che accolgono sua madre dicendole "benvenuta". A Genova, però, alla stazione Principe, non c'è nessuno a aspettarli. Una macchina li conduce a destinazione, a vico Vele, una strada stretta in mezzo a altre così anguste che il sole si ferma sui tetti e non scende mai. La casa è una stanza in affitto, un tavolo, un letto grande per tutti, un lavandino e un bidet smaltato, pareti scrostate. La notte, dal corridoio, risate, rumore di tacchi a spillo e voci grosse di marinai. Giovanni dorme con Totò, il fratello minore, con la testa ai piedi del letto, lasciando il posto migliore in alto alla mamma e alla sorellina Olimpia. La sera suo padre li bacia tutti e poi esce per andare a fare il guardiano notturno. Un giorno prende il clarino, l'unico tesoro portato da Buonalbergo. Quando rientra, al posto dello strumento, sotto il braccio c'è un fagotto contenente un chilo di carne. Giovanni non chiude occhio quella notte. Il clarino venduto per un pezzo di carne? In una Genova stupenda e dura, Giovanni cresce e scopre presto di essere una strana cosa lì al Nord: un "terrone", un essere invisibile che si può compiangere e offendere senza tanti scrupoli.