
La motonave Nibbio, vecchia gloria della Navigazione Lariana, sta effettuando il suo ultimo viaggio. A Bellano sbarca un'anziana donna: sta cercando il vecchio parroco, don Carlo Gheratti. Attraversa a fatica il paese arso dalla canicola estiva, prima di scomparire nel nulla. Quando arriva la notizia che manca una delle ospiti del Pio Ospizio San Generoso di Gravedona, sulle due rive del lago i carabinieri iniziano a indagare. Un secondo enigma segna l'estate del 1933. Dietro pressante richiesta del Partito e della Prefettura, i carabinieri devono raccogliere informazioni su una "celebre" concittadina, Velia Berilli, madre di quattordici figli, tra legittimi e illegittimi. Perché mai Velia Berilli è diventata così importante? Due misteri, insomma, cui si aggiunge un altro problema: in caserma si è rotto il vetro del bagno, e aggiustarlo non sarà semplice. Ancora una volta, le pagine di Vitali si animano di una piccola folla di protagonisti e comprimari: dall'equipaggio della Nibbio alle autorità locali, e poi don Gheratti, il sacrestano Bigé e la perpetua Scudiscia. Non possono mancare i carabinieri della locale stazione, vere star dei suoi romanzi: il maresciallo maggiore Ernesto Maccadò, l'appuntato Misfatti, il brigadiere Mannu e il carabiniere Milagra, che segue giorno dopo giorno, con indomita passione, i gloriosi trasvolatori della Seconda Crociera Atlantica.
«Trovo magistralmente ben narrata la squallida storia, perfettamente collegati i movimenti psicologici. Gli ultimi tre capitoli sono i migliori: vi è una reale progressione drammatica, come dicevano gli antichi; e in tutta l'opera del resto, la sensazione "temporale" è eccellentemente resa. I capitoli finali sono avvolti in una luce di grigia poesia».
Così scrisse di questo libro, letto inedito in un abbozzo giovanile, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Per aggiungere, dopo una serie di osservazioni stilistiche costruttive: «Queste mende sono poche; il riferimento a loro occupa molta carta, ma il loro valore è minimo in confronto della salda bellezza dell'opera».
Il celebre critico e teorico letterario scrisse ventenne un romanzo idealmente suggerito dall'autore del Gattopardo, lo lasciò quarant'anni in un cassetto, l'ha riscritto dai 65 ai 75 anni. I decenni intercorsi trasformano oggi in un romanzo storico quello che non lo era nei primi anni Cinquanta.
Prima liceo, 1947. Perché Mario, conquistatore di donne, è tenuto a distanza da Ferdinando che ama in segreto proprio ragazzi come lui? Lo si capirà solo alla fine. Ferdinando perde la testa per uno sportivo piú bello e piú sano ma totalmente incolto, Mario innamora la nipote di una duchessa in uno strambo salotto nobiliare e comunista. Quando il reciproco bisogno di confidenze li avvicina, l'affetto sincero degenera in una spirale sadica e masochistica di terribile violenza.
Entrambi ne escono annientati.
Una storia trascinante, che non nasconde i suoi debiti (il romanzo breve francese, Stendhal, la Carmen di Bizet), e dove l'ironia filtra le scene piú divertenti come le piú crudeli. Ci cattura per la rilucente bellezza e l'originale velocità dello stile, ci dà da riflettere sul fondo bisessuale di noi tutti quale lo vedeva Freud.
Una Napoli soffocata dalla spazzatura, ma che ancora riluce della sua antica bellezza, accoglie il corpo di Filippo Ghirelli, morto durante una manifestazione di protesta contro la costruzione di una discarica al Fomicoso, in provincia di Avellino.
È questa la vicenda di apertura di Una terra spaccata, che vede protagonista la geologa Gregoriana De Felice, chiamata a riconoscere il cadavere dell’amico, eccentrico proprietario di un elegante albergo napoletano. Come in un viaggio a ritroso nel tempo e nello spazio della propria memoria, la donna rivive le fasi dell’incontro con l’uomo che le ha cambiato la vita, dal riconoscimento di intime affinità alla condivisione di un atteggiamento di netto rifiuto verso la costruzione della discarica.
Incaricata di effettuare i saggi del terreno a essa destinata, poi blandita infine minacciata dall’azienda per cui lavora, al fine di redigere una relazione che testimoni la idoneità del terreno alla costruzione della discarica, Gregoriana impara la ribellione amando Filippo e la sua malinconica ricerca di un luogo in cui vivere, di una casa dell’anima.
Destinatari
Un romanzo per un ampio pubblico di lettori.
L’autore
Emilia Bersabea Cirillo, architetto, vive e lavora ad Avellino. Nelle sue storie racconta la bellezza dell’Irpinia. È stata finalista al Premio Chiara 2002 con il romanzo Fuori Misura (Diabasis, 2002) e al Premio Domenico Rea 2005 con L’ordine dell’addio (Diabasis, 2005). Un suo racconto è stato inserito nell’antologia After the War.A Collection of Short Fiction by PostWar Italian Woman (Italica Press, 2004).
Canale Mussolini è l'asse portante su cui si regge la bonifica delle Paludi Pontine. I suoi argini sono scanditi da eucalypti immensi che assorbono l'acqua e prosciugano i campi, alle sue cascatelle i ragazzini fanno il bagno e aironi bianchissimi trovano rifugio. Su questa terra nuova di zecca, bonificata dai progetti ambiziosi del Duce e punteggiata di città appena fondate, vengono fatte insediare migliaia di persone arrivate dal Nord. Un vero e proprio esodo. Contadini emiliani, veneti e friulani lasciano le proprie terre, dove non rimaneva altro che stare a "puzzarsi di fame" e diventano i primi attori del nuovo sogno italico di grandezza. A migrare sono famiglie intere, con nonne che sanno guidare un carretto e governare le bestie, uomini forti come tori, donne spavalde che alle feste della mietitura ballano e ridono con tutti i maschi, truppe di bambini di ogni età. Sono i "cispadani" scesi dal Nord, e i "marocchini" del Lazio li guardano con sospetto, spiano le loro abitudini disinvolte, le loro donne in gonne corte e sgargianti, allegre.
Tra queste migliaia di coloni ci sono i Peruzzi, gli eroi di questa saga straordinaria. A farli scendere dalle pianure padane sono il carisma e il coraggio di zio Pericle, che dentro il Fascio conta qualcosa perché ha meriti di audacia e valore, ma che dal Fascio non si fa dettare ordini. Con lui scendono i vecchi genitori, tutti i fratelli, le nuore. E poi la nonna, dolce ma inflessibile nello stabilire le regole di casa cui i figli obbediscono senza fiatare. Il vanitoso Adelchi, più adatto a comandare che a lavorare, il cocco di mamma. Iseo e Temistocle, Treves e Turati, fratelli legati da un affetto profondo fatto di poche parole e gesti assoluti, promesse dette a voce strozzata sui campi di lavoro o nelle trincee sanguinanti della guerra. E una schiera di sorelle, a volte buone e compassionevoli, a volte perfide e velenose come serpenti.
E poi c'è lei, l'Armida, la moglie di Pericle, la più bella, andata in sposa al più valoroso. La più generosa, capace di amare senza riserve e senza paura anche il più tragico degli amori. La più strana, una strega forse, sempre circondata dalle sue api che le parlano e in volo sibilano ammonimenti e preveggenze che, come i sogni oscuri della nonna, non basteranno a salvarla dalla sorte che l'aspetta. E Paride, il nipote prediletto, buono e giusto, ma destinato, come l'eroe di cui porta il nome, a essere causa della sfortuna che colpirà i Peruzzi e li travolgerà.
Un poema grandioso che, con il respiro delle grandi narrazioni, intreccia le vicende drammatiche e sorprendenti dei suoi protagonisti a quelle, non meno travagliate, di mezzo secolo di storia italiana. Antonio Pennacchi rievoca il passato controverso e insieme epico della nazione, animando ricordi e fantasmi con uno sguardo sempre lucido, ironico e spiazzante, ma soprattutto carico di pietas e profonda commozione per i propri personaggi, per quelle tre generazioni di Peruzzi che combattono con glorioso accanimento contro le sferzate del destino che sembra non concedergli tregua. Un'autentica epopea, un grande romanzo italiano.
«Ecco, intanto che scrivevo I malcontenti mi è venuto da pensare che io stavo cercando di raccontare la storia della relazione tra due quasi trentenni che provano a entrare, come si dice, nel mondo, e che questo tentativo, che ha a che fare con un festival strampalato, viene raccontato da uno che abita sotto di loro, uno che di questo tentativo vede in un certo senso solo i riflessi, i raggi che partono da quell'appartamento e arrivano fino a lui in forma di suoni, confessioni, reticenze e richieste d'aiuto.
E m'è tornata in mente la scena centrale di un film di Lubitsch, che è una scena in cui il protagonista maschile, innamorato di una donna misteriosamente scomparsa, invitato a pranzo da un amico, scopre che la moglie del suo amico è la donna di cui lui è innamorato. Questo pranzo viene raccontato da Lubitsch senza riprendere i protagonisti né la sala da pranzo: viene raccontato dalla cucina, in modo perfettamente esaustivo, attraverso i commenti di cuoco, cameriere e maggiordomo sullo stato in cui tornano indietro le varie pietanze, e lo spettatore ha l'impressione di essere davanti a un triplo salto mortale molto ben eseguito.
Ecco, intanto che scrivevo I malcontenti mi è venuto da pensare che la relazione tra Nina e Giovanni, a esser capaci, bisognava raccontarla come quel pranzo di Lubitsch.
Il mondo in cui si muovono Nina, Giovanni e gli altri personaggi che ci son nel romanzo è un mondo stranissimo, un mondo nel quale il compito di chi ha meno di quarantacinque anni non è di contribuire a un perfezionamento del mondo stesso, né (ci mancherebbe) a un ribaltamento o a un qualsivoglia cambiamento di rotta.
In questo mondo, quello che da venticinque anni si chiede a chi a questo mondo si affaccia, è di mettersi lì e di non rompere troppo i maroni.
E loro, bravissimi, si mettono lì e non rompono troppo i maroni».
La storia di un amore che frana raccontata da un vicino di casa.
La storia di una generazione viva e irrisolta.
La storia di un festival meraviglioso e impossibile: il festival dei Malcontenti.
«Si ricordava che era occupato a pensare a una cosa alla quale non aveva mai pensato, che camminare con una finestra sottobraccio ti toglie tutto l'imbarazzo che uno ha di solito nel camminare. È come se tu avessi una guida, - diceva Giovanni, - avendo una finestra sottobraccio, è come se il tuo andare avesse un senso».
"Della mia supponenza, senz’altro criticabilissima,chiedo scusa a chi di dovere, ma, nello scrivere questo libro, mi si è rivelato più congeniale tornare a confondere, in una comune identità, la Maddalena, protagonista della scena che andavo contemplando, e la peccatrice di cui racconta Luca.
Questo, per la ragione, anche piuttosto banale, che una prostituta – donna spudorata e infame quasi per statuto - mi è parsa tanto più capace di parlare d'amore quanto meno lo possiede. E di amare in profondità molto più di quanto non le sia dato di esprimere gratuitamente in superficie. Una prostituta, per farla breve, mi è parso che potesse evangelizzare l’amore quando e quanto più esso è lontano e non è trovato. Lei è la donna aperta a tutte le relazioni che mette a guadagno patrimoni di malessere, ingiustizie, violenza, ma anche compassione. È la donna che si presta a tutti gli incontri e si gioca in tutti i compromessi: è la mondana, la donna del mondo per antonomasia."
Dall’introduzione dell’autrice
GLI AUTORI
Rosetta Stella si è dedicata allo studio del pensiero della differenza sessuale incrociato alle forme della spiritualità cristiana. Già collaboratrice del quotidiano "L'Unità" per la pagina delle religioni, collabora attualmente a "Il Manifesto" e a diverse riviste tra cui "Noidonne", "Bailamme", "Liberal", "Religiosi in Italia", "Prospettiva Persona". E' stata dirigente nazionale dell'UDI (Unione Donne Italiane) e docente presso il centro culturale Virginia Woolf di Roma. Ha contribuito alla fondazione della rivista “Via Dogana” della Libreria delle donne di Milano.
Per Marietti ha ideato e curato nel 2000 il volume Sul Magnificat, che raccoglie il commento di autori diversi ad ogni singola riga del Magnificat.
Matilde ha dodici anni. Non sopporta i guanti spaiati e compie piccoli, bizzarri rituali per addomesticare la realtà, per darle un ordine.
È un dicembre torinese, pieno di neve e di ombre. Pochi giorni prima di Natale, il padre di Matilde, il magistrato Giovanni Corrias, è chiamato a indagare sul caso di un bambino morto in circostanze misteriose. Mentre avvia i primi accertamenti e formula le prime ipotesi sua moglie viene investita da un’auto, ed è come se la sorte disegnasse una sua geometrica contemporaneità. Al colpo durissimo il magistrato risponde facendo leva sul senso del dovere e della professione, aggrappandosi alle indagini in corso. Violaine, una giovane poliziotta laureata in psicologia, lo aiuta a ricostruire la sequenza dei fatti.
Matilde, intanto, osserva gli adulti e il loro dibattersi alle prese con la fragilità dell’esistenza. Con ostinata tenerezza si domanda in che maniera curare il dolore del padre e delle sorelle, nella convinzione che spetti a lei tentare di aggiustare quello che si è improvvisamente rotto, e alla geometria oscura della morte se ne sovrappone un’altra, luminosa e impalpabile.
Marco ha fatto carriera in una multinazionale, organizza le sue giornate secondo le esigenze del lavoro, gira l’Europa e non ha nessuna intimità con se stesso. Suo fratello Domenico è fermo a Porto San Giorgio, dove gestisce un negozio di infissi, e cerca tenerezza in una relazione con una giovane donna. I loro incontri non sono facili, ciascuno coglie nell’altro l’immagine distorta di sé, un’ipotesi mancata della propria esistenza.
Ma all’improvviso la morte spariglia le carte. Nell’atmosfera provinciale di Porto San Giorgio, Marco conquista attraverso il dolore un nuovo sguardo, è preda di una malia che lo attira verso il piccolo mondo del fratello, fino a scoprire che le loro anime sono più vicine di quanto pensasse. Da quella cittadina di mare, distante dal suo universo di soldi e potere, anche le leggi del capitalismo, anche l’incombere della crisi finanziaria, gli appaiono in una luce più chiara.
È solo un’illusione prospettica? C’è davvero la possibilità di cambiare, di vivere una vita più libera?
In breve
“Di fronte a montagne pericolanti, a precipizi ignoti, sopra lo spazio abbagliante del ghiacciaio, Annetta era un nulla, figurina labile disegnata a margine di un foglio. Insignificante vita nascosta nella distanza da quel mondo che solo poche ore prima l’aveva applaudita. Eppure, lo sapeva, ce l’avrebbe fatta. Bastava partire, senza pensarci.” La vera storia dell’aeronauta Giuseppe Charbonnet e della sua giovane sposa che il giorno del loro matrimonio spiccarono il volo a bordo di un aerostato. Un viaggio che fu un’odissea, tra tempeste e manovre azzardate, e un rovinoso atterraggio su una montagna sconosciuta.
Il libro
Torino, domenica 8 ottobre 1893. È il giorno della vita per Anna Demichelis, diciott’anni, bellissima, di umili origini. Si sposa con l’“ammiraglio dell’aria” Giuseppe Charbonnet, grande appassionato di aerostatica che ha promesso a tutta la cittadinanza uno spettacolo sensazionale: dopo la cerimonia spiccherà il volo con la moglie a bordo dell’aerostato Stella. Al grido di “Viva gli sposi aeronauti!”, il pallone si alza, diventa sempre più piccolo fino a sparire nel cielo. Sarà un’odissea, tra tempeste, manovre azzardate, un rovinoso atterraggio su una montagna che nessuno conosce. E poi la discesa lungo ghiacciai inondati di sole e minati da invisibili crepacci. Finché – qualcuno sostiene – interverrà una mano celeste a indicare la via. Il filo di questa storia vera, che occupò le cronache dei giornali per settimane, oggi si unisce con quello lasciato dall’autore durante le ricerche nei luoghi più remoti delle Alpi Graie, dove si svolsero i fatti e si condensò il mistero finale.
Ne esce un intreccio narrativo fulgido, sorprendente. Il romanzo di chi la montagna l’ha vissuta, scalata e raccontata.
Il protagonista è immobile, sembra privo di coscienza, è inerte, ma questo è un romanzo pieno di vita, quella che sta per nascere, quella che agita i pensieri di chi sembra non poter pensare... "L'uomo immobile" è una storia d'amore ai confini tra la vita e la morte, ma anche una riflessione su un tema di controversa e scottante attualità. L'autrice si è ispirata a un fatto vero raccontatole da un primario neurologo, direttore scientifico di un istituto che accoglie pazienti in stato vegetativo. Dieci anni fa diventò un breve racconto, sviluppato e approfondito ora in questo romanzo che è anche una inaspettata fonte di conoscenza su un tema così attuale. Un libro che riesce a coniugare le emozioni con le informazioni, alcune forse sorprendenti, ma tutte verificabili: i rimandi scientifici che si possono trovare in queste pagine sono stati vagliati da esperti clinici del settore, che hanno considerato qualche imperfezione nel "protocollo ospedaliero" ininfluente per l'attendibilità del percorso clinico, tanto da approvare e affiancare con convinzione le tesi che l'autrice interseca nella più classica storia d'amore fra lui, lei e l'altra...
Nuoro, fine Ottocento. Filippo Tanchis è il piú giovane di tre fratelli orfani, cresciuti con le zie materne. Finito in carcere con l'accusa di aver ucciso Bobore Solinas, individuo piuttosto ambiguo, Filippo si toglie la vita. Ma si tratta veramente di suicidio?
Dopo l'indagine in Sempre caro ritroviamo l'avvocato e poe-ta Bustianu Satta, al secolo Sebastiano Satta (1867-1914), impegnato in un caso difficile quanto misterioso, che lo porterà a confrontarsi con se stesso, le sue debolezze e le sue certezze. A fare da sfondo al romanzo una pioggia incessante, fin quando, come scrive nella sua prefazione Vásquez Montalbán «l'epilogo schiarisce l'orizzonte e il colore azzurro del cielo chiude il chiaroscuro di un'indagine che ha danneggiato soprattutto la pace dello stesso personaggio».
Non è che un ragazzino Aimone, quando, giovanissimo cameriere all’Hotel Suisse di Como, ottiene di andare in Germania per imparare il tedesco e il mestiere di maître d’hotel. Qualche giorno dopo, a Oberhof, nel castello del principe Watzesky e della sua signora, osserva rapito dal fondo della hall il bel mondo che si appresta a celebrare la notte di san Silvestro del 1938.
Eccola, la duchessa Steinlich, lo sguardo velato di tristezza. Scende le scale, abito di pizzo nero, capelli biondi fermati da un diadema, guanti di seta fin sopra il gomito. A un tratto, scorge il ragazzo al fondo della sala. È un lampo. Inizia ad ansimare, si appoggia alla ringhiera, sviene. Di colpo, l’orchestra smette di suonare. Un uomo si avvicina ad Aimone e sentenzia: è per colpa tua. Eppure non l’aveva mai vista prima. Cosa può averle fatto di male? Quell’episodio nasconde un dramma e una straordinaria coincidenza, che cambierà la sua vita. Il ragazzo si troverà a vivere come un aristocratico nel mondo sfarzoso della capitale nazista, e incontrerà gli uomini più potenti della Germania.
Ma non è che il primo coup de théâtre di questa straordinaria epopea. Perché rientrato in Italia al seguito di una delusione amorosa e arruolato nell’esercito, Aimone dopo l’8 settembre diventa partigiano. Colpire e nascondersi. Sfuggire alla cattura. Non tradire i compagni, per nessun motivo, mai. Nemmeno se vieni arrestato, torturato, impacchettato con destinazione Mauthausen, il campo dell’orrore.
Ma proprio mentre tutto sembra irrimediabilmente perduto, un nuovo colpo di scena cancella la parola fine e rimette in moto la storia di Aimone. E quando, negli ultimi giorni dell’aprile 1945, la colonna della Wehrmacht si arresta alle porte di Dongo, sarà proprio il ragazzo del lago, l’unico che sappia parlare tedesco, a illuminare alcune delle vicende più misteriose della nostra storia.