
“Il pubblico si identifica con Arlecchino, che risolve sempre tutto con una fantasia straordinaria”
Lelio, Mirandolina, Arlecchino (Truffaldino): tre protagonisti esemplari, tre personaggi tra i migliori del primo teatro di Carlo Goldoni (1707-1793), eppure figli “difficili” della riforma teatrale che egli propugnava. Un bugiardo, una seduttrice e una candida canaglia stanno a smentire quella parvenza di sanità che, nella sua opera, è rappresentata dalle leziose putte onorate o dai fin troppo saggi Pantaloni. Su tutti spicca l’unico servo maschile protagonista nel suo teatro, che è anche il fantasma festoso e multiforme di una tradizione recitativa secolare, quale la Commedia dell’Arte, che Goldoni non rinnegò mai, come testimonia nella Postfazione Ferruccio Soleri, il grande attore interprete di Arlecchino.
“Oggi Arlecchino morirebbe prima ancora di nascere. Con le mediazioni, con tutti i compromessi che si devono accettare in questa società, Arlecchino non potrebbe vivere. E credo che una parte del fascino e del grande successo di questo personaggio sia proprio la sua incapacità di ammettere compromessi.” (dalla Postfazione di Ferruccio Soleri)
Il 6 febbraio 1927 la "Domenica del Corriere" pubblica la foto di un uomo ricoverato nel manicomio di Torino e senz'altra identità che il numero di matricola. Inaspettatamente, di identità ne affiorano due. Chi è lo sconosciuto? Guido Canella, provvisto di una moglie piacente, un rispettabile "milieu" e una cospicua agiatezza? O il miserabile Mario Bruneri ricercato per truffa e provvisto solo di un'interminabile sequela di guai? Il "caso dello smemorato di Collegno" non poteva non attirare l'attenzione di Sciascia che lo ripercorre con l'accanimento del detective e l'urgenza di verità del filosofo. L'enigma della memoria e dell'identità animano anche il secondo racconto, ispirato all'affaire Martin Guerre sullo sfondo della Francia del XVI secolo.
Stefano Benni e il teatro: una felice consuetudine che dura da quasi quarant'anni, una miscela di fantasia, comicità corrosiva e invenzioni, tutte pensate per la scena e molto spesso dedicate agli amici attori, attrici e registi che ne sono interpreti e realizzatori. Benni è uno scrittore poliedrico ed è sempre più innamorato del teatro. La sua è una continua ricerca sul tema dell'Immaginazione e la sperimentazione di nuovi linguaggi, nell'ibridarli, in una ricerca continua di nuove sensibilità e tonalità espressive. Questo terzo volume del teatro di Benni raccoglie dieci sceneggiature in forma di racconti. Tra queste «La Gilda furiosa», la prima volta di Stefano Benni nel ruolo di librettista, mentre inventa una galleria di personaggi surreali; «Il poeta e Mary», un atto unico comico-musicale dove i protagonisti recitano, cantano e suonano in un continuo scambio di ruoli e invenzioni; «Effimera», il monologo di una farfallina ribelle che vuole vivere con gioia il poco tempo che le è riservato; «Nerone», in cui la voce narrante racconta la vita breve dell'imperatore, più poetastro cialtrone che tenebroso dittatore. Quindi «Profius»: in un ambiente claustrofobico, una corte di aiutanti/faccendieri si muove intorno al vecchio poeta e letterato Profius alla ricerca di un manoscritto, forse un misterioso capolavoro. E per finire, nientemeno che un testo in latino ispirato al «Niels Klim» scandinavo.
A Venezia, in un'antica palazzina, Schultz, editore e tipografo di discreta fama locale, è intento alla ricerca di un manoscritto scomparso, finito chissà come in cima a un armadio. Ma tra polvere e vecchie lettere, ecco emergere un libro misterioso, privo di titolo e nome dell'autore. Gli basta dare un'occhiata alle pagine scure e ammuffite per essere trascinato in un mondo antico, fatto di intrighi, duelli, amori e tradimenti. La storia che si snoda davanti ai suoi occhi è ambientata a Londra quasi due secoli addietro e ha per protagonista Jacob Flint, un giovane gentiluomo inglese con la passione per le mogli altrui. Tuttavia Schultz vi avverte inquietanti analogie con la propria vita, come se il testo scritto tanto tempo prima parlasse di lui.
«Se proprio dovessi, sceglierei la Tasmania. Ha buone riserve di acqua dolce, si trova in uno stato democratico e non ospita predatori per l'uomo. Non è troppo piccola ma è comunque un'isola, quindi facile da difendere. Perché ci sarà da difendersi, mi creda». "Tasmania" è un romanzo sul futuro. Il futuro che temiamo e desideriamo, quello che non avremo, che possiamo cambiare, che stiamo costruendo. La paura e la sorpresa di perdere il controllo sono il sentimento del nostro tempo, e la voce calda di Paolo Giordano sa raccontarlo come nessun'altra. Ci ritroviamo tutti in questo romanzo sensibilissimo, vivo, contemporaneo. Perché ognuno cerca la sua Tasmania: un luogo in cui, semplicemente, sia possibile salvarsi. Ci sono momenti in cui tutto cambia. Succede una cosa, scatta un clic, e il fiume in cui siamo immersi da sempre prende a scorrere in un'altra direzione. La chiamiamo crisi. Il protagonista di questo romanzo è un giovane uomo attento e vibratile, pensava che la scienza gli avrebbe fornito tutte le risposte ma si ritrova davanti un muro di domande. Con lui ci sono Lorenza che sa aspettare, Novelli che studia la forma delle nuvole, Karol che ha trovato Dio dove non lo stava cercando, Curzia che smania, Giulio che non sa come parlare a suo figlio. La crisi di cui racconta questo romanzo non è solo quella di una coppia, forse è quella di una generazione, sicuramente la crisi del mondo che conosciamo - e del nostro pianeta. La magia di "Tasmania", la forza con cui ci chiama a ogni pagina, è la rifrazione naturale fra ciò che accade fuori e dentro di noi. Così persino il fantasma della bomba atomica, che il protagonista studia e ricostruisce, diventa un esorcismo: l'apocalisse è in questo nostro dibattersi, e nei movimenti incontrollabili del cuore. Raccogliendo il testimone dei grandi scrittori scienziati del Novecento italiano, Paolo Giordano si spinge nei territori più interessanti del romanzo europeo di questi anni, per approdare con felicità e leggerezza in un luogo tutto suo, dove poter giocare con i nascondimenti e la rivelazione di sé, scendere a patti con i propri demoni e attraversare la paura.
Andreas ed Eva Kain vivono in una grande villa alle porte di Vienna. L'arrivo delle truppe naziste che hanno appena occupato la città li costringe a lasciare la loro casa di sempre e a trovare rifugio presso il fratello di Andreas, Werner, un appassionato geologo che, tradito, finirà i suoi giorni a Buchenwald. A Eva e Andreas, che tentano in ogni modo di reagire con dignità alle umiliazioni e alla brutalità, non rimane che cercare di ottenere un visto e lasciare l'Austria prima che la situazione precipiti irrimediabilmente. Una testimonianza unica su dignità e debolezza degli uomini in tempi dominati dalla viltà.
L'Oriente del mistero e della suggestione, l'India di un piccolo paria che vede la sua città solo tra le gambe di chi lo scavalca, il Nepal dei maestri asceti, l'Indonesia e Singapore, la meravigliosa Tahiti di Gauguin, l'inedita Bali di un artista che costruisce aquiloni con i sacchetti di plastica... Sfondi esotici, su cui Andrea Bocconi tratteggia le sue storie: non più cronache di viaggio, ma veri e propri racconti. Un mondo osservato con occhi occidentali ma curiosi, sempre pronti a riconoscere la verità nella lontananza. E poi il ritorno a casa, l'Italia, e una realtà quotidiana che si rivela assai meno distante dall'Oriente di quanto si potesse sospettare.
È notte e le onde lente del mare luccicano in mille riflessi negli occhi di Stella. La donna è affacciata a una terrazza protesa sull'Egeo, non riesce a prendere sonno da ore. Una miriade di stelle e la magia di una sera d'estate di molti anni prima le tormentano la memoria. Un'estate in cui aveva tutta la vita davanti e un futuro che brillava come il suo nome. E che le ha lasciato un segreto inconfessabile chiuso nel cuore. Adesso si sente spersa di fronte a quel cielo immenso e in un solo momento le si spalanca davanti la certezza di essere sola, nonostante il marito addormentato nella stanza vicina. Il suo matrimonio con Maurizio è finito, e vani sono stati i tentativi di rianimarlo con quest'ultima vacanza nell'isola di Folegandros. Resistere insieme per il bene della famiglia non è più possibile. Improvvisamente una telefonata spezza il silenzio teso di tristezza. La notizia è drammatica: Chicco, il bambino di Stella e Maurizio, nato con un deficit auditivo, è sfuggito al controllo di Lucia, la sorella maggiore, e della babysitter e ha avuto un tragico incidente. Adesso giace in fin di vita all'ospedale. Stella comincia a correre. Corre dal suo piccolo, ma quello che non sa è che sta correndo anche verso una nuova vita. Perché l'amore, quello vero, non muore e torna a cercarti anche quando l'hai dimenticato. E il cielo, che sembrava aver perso la sua magia, può tornare a splendere di nuovo.
Questo libro è il resoconto di una serie di conversazioni nelle quali Gianni Mura ha raccontato a Marco Manzoni cinquant'anni di giornalismo, cinquant'anni di incontri, cinquant'anni di vita. Il leitmotiv (che fa il verso all'epo, la droga più utilizzata nel ciclismo) è "epu", vale a dire etica, passione, umanità. Un acronimo che racchiude l'essenza dello sport. E non solo dello sport. Il bel calcio, il ciclismo epico, l'impresa del più debole nascono da lì. Come la bellezza dello sport: una bellezza che è insieme tecnica, estetica ed etica. Come la sua umanità: la speranza, il sogno, ma anche la fatica, la sofferenza e la sconfitta, che dello sport è la zona d'ombra. Ma Gianni Mura ha tanti altri amori: la convivialità, la Francia, la canzone d'autore, i libri, la poesia, il teatro. Qui ci sono tutti, e ci sono gli uomini e le donne che ha incontrato. Siamo di fronte a un viaggio, ma sarebbe più esatto definirlo un tour. Che parte dal giornalismo sportivo, entra in una ballata di Léo Ferré, si profuma di zafferano, senza mai dimenticare i diritti civili.
Nel corso della sua lunga, sfolgorante carriera di alto funzionario di banca, Febo Germosino ha ricevuto tre lettere anonime. Adesso, nel primo giorno della sua nuova vita da pensionato, le ha allineate davanti a sé. Le prime due sono vecchie di decenni, l'ultima è recente e insinua dubbi sulla fedeltà della sua giovane e bellissima seconda moglie, Adele. È lei la protagonista di questo romanzo, una splendida femme fatale che ama indossare un apparentemente castigato tailleur grigio. Un vestito che per lei ha un profondo significato simbolico. Un significato che sarebbe stato molto meglio non conoscere mai... La letteratura di Camilleri è ricchissima di figure femminili, sempre seguite con una partecipazione amorevole, una sorta d'indulgente, quasi sorniona, profonda adesione alle loro carnali debolezze, una incuriosita attenzione all'attimo del cedimento, quando i freni inibitori si allentano per passione, per vendetta, per un semplice capriccio; per un attimo o per sempre; per malizia, per calcolo o per esplosione dei sensi. In queste pagine del più "francese" dei suoi romanzi, in questa affascinante, temibile Adele accarezzata dalla scrittura come da mani appassionate e al tempo stesso intimorite, si sentono echi di Maupassant, del Pierre Louys di "La donna e il burattino" e di tutti i classici della letteratura e del noir che ci hanno fatto sognare su certe dark ladies tanto incantevoli da amare nella finzione quanto pericolose da incontrare nella realtà.