
"Il mare Mediterraneo si sta riempiendo di morti. Barche inadeguate e stipate all'inverosimile navigano a vista, provando a raggiungere le nostre coste. Alcune ci riescono, altre vengono riacciuffate e riportate indietro, in Libia. Altre ancora, moltissime, affondano. Ho deciso di andare a vedere. Angosciata dall'irrazionalità e dalla ferocia che spinge ministri e politici a considerare i morti un buon esempio, un deterrente per gli altri migranti pronti a partire, mi sono imbarcata con chi invece vuole salvarli. 'Venne alla spiaggia un assassino' è il racconto del tempo trascorso sulle barche delle famigerate ONG, trasformate in pochi mesi da alleate della guardia costiera italiana in colpevoli di ogni nefandezza. Donne e uomini che dedicano la propria vita al soccorso in mare e meriterebbero il Nobel per la pace e invece vengono insultati. Ma è anche una specie di romanzo d'avventura, la cui protagonista è convinta di fare la cosa sbagliata per lei, ma decisa a farla fino in fondo. Ci sono libri che si raccontano al ritorno, dopo essersi allontanati molto da se stessi, facendo i conti con un po' di nostalgia, i ricordi e molta incredulità: abbiamo ceduto la nostra misericordia, la pietà, in cambio di niente. Stiamo facendo una terribile confusione tra colpevoli e innocenti. A volte è difficile capire da che parte stare, altre è facilissimo." (L'autrice)
Marco ha studiato filosofia e ha smesso. Ha lavorato nelle toilette di un autogrill e ha smesso. Ha convissuto con una ragazza e ha smesso. Ha voluto una famiglia e ha smesso di volerla. Ora lavora in una pizzeria e già non ne può più. Cerca casa e la trova in condivisione con Chiara, una giovane senz'arte né parte ma con molti, troppi amici e soprattutto con una spiccata propensione a consumare in una notte, con l'ingenuità di un cuore facile, un grande amore dopo l'altro. È allora che a Marco viene l'idea: e se questi "grandi amori" glieli procurassi io, dietro adeguato compenso? Detto, fatto. Ma Marco è veramente un pappone? E Chiara è veramente una prostituta?
«Negli scritti di memoria di ebrei perseguitati in Italia, nei sette anni che vanno dalle leggi fasciste del 1938 alla Liberazione, mancava fino ad oggi un diario come quello di Renzo Segre - scrive Nicola Tranfaglia nell'introduzione. - La storia cioè di un uomo che, per sfuggire alla deportazione dei lager e alla probabile morte, si era rifugiato con la moglie in una clinica psichiatrica e vi era rimasto per quasi due anni fingendo di essere un malato mentale e vivendo nell'angoscia costante di essere scoperto e deportato o ucciso. Le tracce di quella vicenda contrassegnarono tutta la vita successiva di Renzo Segre caratterizzata da un "perenne stato di depressione e di ansia per il futuro". Né poteva essere diversamente, se si ripercorrono attraverso queste pagine le tappe di un calvario che ha inizio già negli ultimi anni della dittatura ma registra un inevitabile salto di qualità, un drastico peggioramento quando i nazisti occupano l'Italia del Centro-Nord, spingono Mussolini a fondare la Repubblica Sociale Italiana e questa, con il manifesto di Verona, proclama apertamente che gli ebrei saranno trattati come "sudditi di uno stato nemico". Con la sua drammatica e oscura quotidianità la vicenda raccontata nel diario può forse far capire alle nuove generazioni come la tragedia provocata dalla vittoria dei fascismi, nella prima metà del nostro secolo, è ancora vicina nel ricordo di tante famiglie e merita di essere ricordata e approfondita soprattutto da quelli che dovranno affrontare la sfida di un futuro che si annuncia, malgrado le lezioni di storia, tutt'altro che facile o portatore di sicure promesse».
Stanco di storie tristi, reali o immaginarie, Mauro Corona ha deciso che è arrivato il momento dell'allegria: basta disgrazie o morti ammazzati, esiste un tempo per la gioia. E quale modo migliore per rallegrarsi se non recuperando storie antiche perdute tra i boschi? "Barzellette letterarie" come quella di Rostapita, Clausura e Santamaria, riuniti per ammazzare il maiale ma troppo ubriachi per riuscirci davvero, o racconti che l'autore ha raccolto a Erto e dintorni, nei paesi e nelle osterie, come quello di don Chino, prete anziano, incapace di arrampicarsi fino alla casa più arroccata del borgo e di Polte che, per ripagarlo della mancata benedizione, quasi lo uccide lanciandogli addosso una forma di formaggio. Così, scolpiti dalle sapienti mani di Corona, momenti di vita di montagna, episodi tragicomici ed esilaranti diventano novelle, piccole grandi leggende da tramandare alle generazioni future.
Chi legge percepisce subito quanto l'autore si sia divertito nello scrivere - "come mi sono sempre divertito a fare libri, a raccontarmi storie per rimanere a galla" dice -, eppure lui stesso ammette di essersi accorto, procedendo nella stesura, di non essere stato fedele fino in fondo all'intento iniziale: a ben guardare, infatti, le storie raccolte in questo volume non sono tanto allegre. Traggono tutte origine da fallimenti, solitudini, tristezze, "ricordano gente semplice, vissuta senza luci di ribalta, passata al buio del mondo in silenzio". Ma proprio qui è racchiuso, forse, il senso profondo di queste pagine: con la sua scrittura scabra ma ricca di sfumature, con ironia, disincanto e un realismo unito a una intima partecipazione, Mauro Corona apre la sua coraggiosa "via" per la leggerezza, e ci invita a ritrovare la capacità di sorridere anche quando non sembra essercene motivo.
"Forse perché la vera allegria è prendere l'esistenza al contrario. Ridere a crepapelle là dove si dovrebbe piangere."
Stanco di storie tristi, reali o immaginarie, Mauro Corona ha deciso che è arrivato il momento dell'allegria: basta disgrazie o morti ammazzati, esiste un tempo per la gioia. E quale modo migliore per rallegrarsi se non recuperando storie antiche perdute tra i boschi? "Barzellette letterarie" come quella di Rostapita, Clausura e Santamaria, riuniti per ammazzare il maiale ma troppo ubriachi per riuscirci davvero, o racconti che l'autore ha raccolto a Erto e dintorni, nei paesi e nelle osterie, come quello di don Chino, prete anziano, incapace di arrampicarsi fino alla casa più arroccata del borgo e di Polte che, per ripagarlo della mancata benedizione, quasi lo uccide lanciandogli addosso una forma di formaggio. Così, scolpiti dalle sapienti mani di Corona, momenti di vita di montagna, episodi tragicomici ed esilaranti diventano novelle, piccole grandi leggende da tramandare alle generazioni future. Chi legge percepisce subito quanto l'autore si sia divertito nello scrivere - "come mi sono sempre divertito a fare libri, a raccontarmi storie per rimanere a galla" dice -, eppure lui stesso ammette di essersi accorto, procedendo nella stesura, di non essere stato fedele fino in fondo all'intento iniziale: a ben guardare, infatti, le storie raccolte in questo volume non sono tanto allegre. Traggono tutte origine da fallimenti, solitudini, tristezze, "ricordano gente semplice, vissuta senza luci di ribalta, passata al buio del mondo in silenzio".
Alla fregata americana Abramo Lincoln è affidato un compito impegnativo, quello di intercettare e catturare l'essere mostruoso che va compiendo singolari quanto misteriose imprese nei mari di mezzo mondo. I tre protagonisti della spedizione - uno scienziato, il suo servo e un fiociniere avranno presto modo di constatare come il gigantesco pesce di cui si sono posti alla caccia altro non sia che un avveniristico sommergibile, il Nautilus, guidato da un singolare capitano, Nemo. Questa scoperta sarà l'inizio di una serie di mirabolanti avventure: i tre ospiti del misterioso capitano incontreranno e combatteranno piovre gigantesche, cacceranno in foreste sottomarine, vedranno la perduta Atlantide, assisteranno al crudele affondamento di una nave e del suo equipaggio. Fino a scoprire che... In questa edizione del romanzo, al testo tradotto da Luciano Tamburini si affianca un saggio di Daniele Del Giudice.
"'I ventitre giorni della città di Alba', rievocanti episodi partigiani o l'inquietudine dei giovani nel dopoguerra, sono racconti pieni di fatti, con una evidenza cinematografica, con una penetrazione psicologica tutta oggettiva e rivelano un temperamento di narratore crudo ma senza ostentazione, senza compiacenze di stile, asciutto ed esatto." (Italo Calvino)
Tutto ha inizio durante l'Età dei Metalli. Una tribù di sacerdoti devoti a una divinità preistorica adora una Pietra sacra che, secondo la leggenda, Dio ha scagliato sulla Terra all'origine dei tempi. La Pietra è dotata di un terribile potere: quello di uccidere chiunque le si trovi nelle immediate vicinanze. Attorno al possesso di quella pietra si accenderanno le brame di tanti personaggi in luoghi ed epoche differenti: un giovane nobile occitano in Linguadoca, un sottufficiale tedesco delle SS nella valle dell'Ariege, un giornalista di un settimanale d'inchiesta in Brasile. Sarà una bella ricercatrice italiana, Sara Terracini, a portare avanti l'indagine, ingaggiata per effettuare alcune rilevazioni nella zona della Linguadoca da un facoltoso appassionato di archeologia. Le sue scoperte la porteranno a un passo della soluzione che tutti, nei millenni, hanno sempre rincorso. Ma, dice l'antica leggenda, chiunque si avvicini a quel segreto verrà investito da un soffio di morte che spira da sempre attorno alla Pietra sacra.
Benedetta è una pediatra che ha deciso di aiutare gli altri. Asia è una cantante che vive nel mondo dello spettacolo. Il racconto di due diverse esistenze raccontate in una strana, affascinante notte da una anziana donna ad una ragazza. Un vento misterioso che soffia in due direzioni diverse e, che fa si che la vita della donna si divida prendendo strade diverse. Dagli altopiani del sud-america nell'impresa di ridare il sorriso a bambini malati, alle luci degli studi televisivi. La storia di una donna che ha vissuto due diverse esistenze adesso raccontate ad una ragazza nel tempo delle scelte. Un guardarsi allo specchio per domandarsi come sarebbe stata la nostra vita se avessimo deciso in maniera diversa. Un bilancio al termine di ogni meravigliosa, unica, irripetibile esistenza.
La trama dei rapporti familiari, e in particolare il vincolo che lega una madre al figlio, sono il fulcro di Il vento e la moto. Con la sensibilità e la capacità d’immedesimazione della scrittrice autentica, Grazia Livi riesce a esprimere quello che non riusciamo a dire né a noi stessi né alle persone che ci sono più care. I vortici in cui si possono avvitare i sentimenti vengono via via svelati, con la precisione di un sismografo, irradiando una suggestione profonda.
Una prosa limpida accompagna i sottili movimenti del cuore nella vita quotidiana: fughe, pene, rancori, intenerimenti, attese, slanci di gioia e di comprensione. Il vento e la moto ci coinvolge nelle vibrazioni dei personaggi e ci fa scoprire in loro la nostra stessa fragile umanità.