
Due pastori attraversano la Sicilia insieme ai loro figli. Il viaggio è in realtà una fuga, la spinta inquieta verso un orizzonte temuto e inseguito, diverso per ciascuno. Durante il cammino - che sfiora e a tratti si immerge nelle città brulicanti di tentazioni - le loro storie si intrecciano a quelle di altri personaggi, tutti alla ricerca di qualcosa. Scritto tra il '52 e il '55 e mai completato, "Le città del mondo" fu pubblicato postumo nel '69 e ricevette subito una calda accoglienza dai critici. Prefazione e nota al testo di Giuseppe Lupo.
Città reali scomposte e trasformate in chiave onirica, e città simboliche e surreali che diventano archetipi moderni in un testo narrativo che raggiunge i vertici della poeticità. Postfazione di Pier Paolo Pasolini.
Guido Marchisio, torinese, 46 anni, è un uomo arrivato. Dirigente di una multinazionale, appoggiato dai vertici, compagno di una donna molto più giovane e bellissima: la sua è una vita in continua ascesa. Fino al 26 ottobre 2011, una data che crea una frattura tra ciò che Guido è stato e quello che non potrà mai più essere. Quella mattina, infatti, un incontro non previsto insinua in lui il dubbio: possibile che esista da qualche parte un suo sosia, un gemello dimenticato, un suo doppio misterioso e sfuggente? Giorno dopo giorno, il dubbio diventa ossessione e l'esistenza dell'ingegner Marchisio inizia, prima piano poi sempre più velocemente, a percorrere la stessa rovinosa china della sua azienda e della sua città. Di tutte le sicurezze costruite col tempo, non rimane più nulla: il suo ruolo di freddo tagliatore di teste, di manager di successo, la sua figura di uomo affascinante, tutto, per colpa di quel sospetto, sembra scivolare via da lui, come se accompagnasse l'emorragia che lentamente svuota l'industria italiana. Andare a fondo significherà per Guido affacciarsi all'orlo di un baratro e accettare l'inaccettabile.
Guido Marchisio, torinese, 46 anni, è un uomo arrivato. Dirigente di una multinazionale, appoggiato dai vertici, compagno di una donna molto più giovane e bellissima: la sua è una vita in continua ascesa. Fino al 26 ottobre 2011, una data che crea una frattura tra ciò che Guido è stato e quello che non potrà mai più essere. Quella mattina, infatti, un incontro non previsto insinua in lui il dubbio: possibile che esista da qualche parte un suo sosia, un gemello dimenticato, un suo doppio misterioso e sfuggente? Giorno dopo giorno, il dubbio diventa ossessione e l'esistenza dell'ingegner Marchisio inizia, prima piano poi sempre più velocemente, a percorrere la stessa rovinosa china della sua azienda e della sua città. Di tutte le sicurezze costruite col tempo, non rimane più nulla: il suo ruolo di freddo tagliatore di teste, di manager di successo, la sua figura di uomo affascinante, tutto, per colpa di quel sospetto, sembra scivolare via da lui, come se accompagnasse l'emorragia che lentamente svuota l'industria italiana. Andare a fondo significherà per Guido affacciarsi all'orlo di un baratro e accettare l'inaccettabile.
Furibondo per la bocciatura di un suo brillante progetto di legge, Attilio abbandona la carriera politica e si ritira in montagna, tra boschi e trattori. Condivide le sue giornate con la piccola comunità agreste che lo circonda: la vita all'aperto è la sua guarigione. Ma i ricordi incombono. Hanno la forma immateriale dei rapporti personali irrisolti, delle parole sprecate in televisione, delle occasioni perdute quando viveva in società. E hanno l'ingombro fisico degli oggetti che il passato ha accumulato attorno a lui. Casse e casse di libri, lettere, fotografie, documenti, mobili tarlati, cianfrusaglie. Il canapè di zia Vanda, liso e minaccioso, è il condottiero indiscusso di quello che Attilio considera un esercito invasore. Vorrebbe liberarsi di quelle cataste e comincia a progettare roghi, per ridurre in cenere il lascito delle vite altrui. Sogna leggerezza, un cammino più spedito, più libero, sollevato dal ricatto della memoria. Fatalmente, brucerà quello che non avrebbe dovuto bruciare, in un finale di partita segnato dal classico colpo di scena e dominato dalla presenza delle donne: una moglie sempre in viaggio, la sorella femme fatale, la vicina di casa bulgara. Attraverso l'eroe attaccabrighe e insofferente del romanzo, Michele Serra guarda allo spirito dei tempi facendone emergere la rabbia, l'inconcludenza, la comica mediocrità. Ma anche le piccole illuminazioni che salvano la vita.
"Per mia nonna Carmela il fatto che io mi fossi laureato era una cosa grande, grandissima. Ogni tanto, dopo pranzo, mi diceva che senz'altro sarei andato al Parlamento. Io le dicevo No, nonna, farò dell'altro. Infatti è andata così, ho poi fatto dell'altro".
Questo è il primo romanzo di Paolo Nori, che ha scritto anche
"Bassotuba non c'è" 1999
"Spinoza" 2000
"Diavoli" 2001
"Grandi ustionati" 2001
"si chiama Francesca, questo romanzo" 2002
"Gli scarti" 2003
"Pancetta" 2004
"Storia della Russia e dell'Italia" 2003
Un giovane incontra a Parigi una ragazzina enfant prodige della matematica e i due s'innamorano, si fidanzano, si sposano. Lei, poco più che ventenne, va in America. Ma il mondo s'inceppa e in un batter d'occhio tutto finisce: niente più petrolio, niente più energia elettrica, commercio né moneta, niente più regole sociali. Ovunque solo guerre e carneficine. Il mondo si imbarbarisce e la sua caduta coglie i due innamorati ai due lati dell'oceano, senza possibilità di comunicare. Per vent'anni i due vivranno lontani, lei ha una vita durissima, lui comincia a scrivere per non dimenticarla, finché, dopo tanti anni, i due si ritroveranno, accesi dal fuoco della passione e dal bisogno di verità. "Le cose semplici" è il tentativo di raccontare il cammino dei nostri desideri più comuni ed elementari - e di tutto quello che ci tocca il cuore, fino a straziarci con la sua bellezza o con il ricordo pungente di essa - attraverso la labirintica distruttività del mondo. Il nostro bisogno di vivere una vita che si possa dire umana, di gioia ma anche di un dolore dotato di senso, è destinato a infrangersi contro il muro del potere, della superficialità, del pensiero indotto e dei luoghi comuni? O può trovare soddisfazione?
Franca Valeri compone in questo libro un mosaico di donne di ogni età, soprattutto borghesi, attraverso le parole inaudite che sfuggono loro di bocca o dalla penna. E lo fa con una forza comica trascinante, calibratissima, dove la profondità e la superficie, la leggerezza e la densità si mescolano di continuo. Lettere, telefonate sentite per caso, e-mail, sms: insomma, i molti modi di comunicare e di sproloquiare a cavallo tra due secoli, dagli anni Cinquanta a oggi. C'è una donna, ad esempio, che scrive alla sua migliore amica chiedendole di badare alla sua bambina e di fare un numero esorbitante di commissioni mentre lei se la spassa in città con il marito (non il suo, quello dell'altra). C'è una madre che scrive al figlio una lettera che è un capolavoro di diplomazia: in due paginette riesce a distruggere con metodo la figura della fidanzata (appena presentata in famiglia) fingendo di esaltarne le doti. Questo libro nasce da un desiderio: quello di ripensare oggi, prolungandolo, un testo uscito da Longanesi mezzo secolo fa, e ancora vivissimo: alle lettere possono ora aggiungersi le mail e gli sms, ma la penna, la tastiera del computer o del telefonino sono alla fine strumenti diversi sotto gli stessi femminilissimi polpastrelli.
Sul set di un film che non si farà, un Calvario dove Cristo non muore davvero e quindi non risorge, va in scena la storia dei destini incrociati di due donne, un'attrice giovane non protagonista e una matura giornalista free lance, inconsapevoli interpreti di una sceneggiatura in cerca d'autore e di un lieto fine. In una sola giornata, scopriranno sorte e ragione delle loro sofferenze interiori, dovute come da copione a figure maschili indifferenti e ciniche, secondo le regole inesorabili di una partita a quattro dove più si truccano le carte e meglio ci si avvicina a una vittoria apparente. I nodi e i dolori delle due figure femminili si risolvono nel duello finale, ai piedi di una metaforica croce della Passione, per l'evocazione memorabile di una grottesca e geniale apocalisse, popolata di figure simboliche e di fantasmi, necessario preludio alla riscossa dell'Amore. Perché l'amore vince sempre insieme al coraggio delle donne di attraversare indenni il fuoco dei sentimenti e degli abbandoni per risalire alla vita e alla speranza.
A Rocca di Sasso il tempo sembra non passare mai. I suoi abitanti vivono all'ombra del Macigno Bianco tra piccoli e grandi andirivieni, un mondo che nella penna di Vassalli diventa un frammento di vita universale: dal maestro Prandini, socialista, volontario in guerra, mutilato, legionario a Fiume e poi gerarca fascista, ad Anselmo, autista di corriera e meccanico, dal cuore grande e con l'intelligenza del fare pratico. Intorno a loro vive una comunità che cambia e si trasforma, dalla Prima guerra mondiale fino ai giorni nostri. Una storia corale sullo sfondo di un'Europa novecentesca in cui i tempi antichi non passano mai del tutto, e l'oggi non riesce mai a essere davvero presente. Solo il Macigno Bianco rimane indomito, tra pettegolezzi, amori, lutti e aspre scene di guerra. Vassalli annoda le esistenze umane e gli avvenimenti della Storia con sapienza e ironia.
Le stagioni che danno il titolo a quest'opera di Paolo Barbaro non sono solo quelle del tempo, ma anche - e soprattutto - quelle dell'anima, del corpo, della vita. Nella prima parte del dittico, Dario, assicuratore quarantenne con moglie e figli, insegue il desiderio e l'ardore perduti lasciandosi rapire da Bruna, che due pomeriggi a settimana, dopo il lavoro, lo aspetta nella casa di Sant'Elena, a Venezia. Nel susseguirsi della dolce monotonia amorosa, basterà però un piccolo cambiamento a spezzare l'incantesimo dell'idillio. Nella seconda parte, il protagonista ormai anziano, che la malattia costringe a un'immobilità sempre più definitiva, osserva il mondo dal suo ultimo riparo nella città lagunare: la casa. È una cronaca della fine, un consapevole e sereno accomiatarsi dalla realtà che lo circonda, mentre la sua realtà si riduce sempre più a una stanza, alla voce della moglie, al saluto di un amico, ai vividi ricordi che tornano a fargli visita da un passato lontano. Nel dipanarsi di queste ondate di racconti e memorie, Venezia si manifesta ancora una volta come vera, vitale protagonista. Con ponti, canali, campielli, giardini segreti e terrazze sul mare, ordisce trame e incrocia destini, favorendo incontri, spaesamenti, addii. L'acqua alta si fa allegoria della fine che incombe, anche se pagina dopo pagina è un'altra metafora - di speranza - a imporsi. Nel suo invecchiare, l'uomo somiglia infatti a quella Sant'Elena tra le cui calli Dario rincorre una passione che credeva perduta.
Alle prese con ambizioni frustrate e desideri infranti, tre quarantenni tentano goffamente di resuscitare dalle ceneri di fallimenti piccoli e meno piccoli, rincorrendo una maturità che quasi sempre ha il volto di una donna. È il caso del protagonista di "Segni d'oro", che pensava di insegnare all'università e si ritrova bibliotecario infelice in un paesino di provincia. In crisi con la moglie, dopo una fuga passionale sui Colli Euganei scopre di trovare verità e bellezza solo nell'esaltante lessico degli antichi poeti. In "Eccesso di zelo", un dattilografo si perde nella stessa inconcludenza. Sullo sfondo di una Roma disfatta dal caldo, si lascia coinvolgere in un conflitto di coppia altrui dapprima per pura cortesia, poi con un fervore sempre crescente, lanciandosi in un'impresa cavalleresca alla rovescia che metterà a rischio tutte le sue conquiste dell'età adulta. Altrettanto ansioso e nel pieno di una crisi è infine il protagonista di "Denti", un racconto che si dischiude come una bocca aperta sulla vita di un insegnante divorato dai ricordi e ossessionato dalla gelosia, nonché dai propri incisivi enormi. Con una postfazione dell'autore.