
Nell'ampio e affollato panorama degli studi che intrecciano Bibbia e letteratura italiana mancava un'opera in grado di offrire un quadro sistematico e il più possibile completo del legame che le opere e gli autori della nostra tradizione letteraria hanno intrattenuto con la sacra Scrittura. Il Dizionario biblico della letteratura italiana ha coinvolto con tale intento circa 150 studiosi, di grande prestigio e di molte Università, che hanno realizzato 270 voci, alcune delle quali si configurano come lemmi collettivi. L'opera spazia dalle origini della produzione letteraria in volgare fino al Novecento, con un'incursione del terzo millennio. Oltre all'indubbio valore scientifico, il Dizionario biblico della letteratura italiana costituisce un viaggio nelle pieghe più e meno remote della nostra storia letteraria, nella quale le parole della Bibbia rappresentano spesso un riferimento essenziale.
Attacismo, caransèbico, quèstico, zeissiano... sono solo alcune delle parole che costellano questo dizionario. Ma non affrettatevi a cercarne altrove il significato: non lo troverete, per il semplice fatto che non esistono. Viceversa, esistono eccome gli stati d'animo che queste nuove parole definiscono: un catalogo di umanissime sfumature delle nostre emozioni. Ed è proprio per dar voce a questa variopinta tavolozza che Stefano Massini si è inventato un "Dizionario inesistente", che dalla A alla Z ci accompagna in un viaggio letterario, in un rincorrersi di racconti straordinari. Da una carrellata di personaggi reali Massini crea un ventaglio di nuovissimi sostantivi, verbi, aggettivi. Ed ecco dunque sfilare l'inventore della penna a sfera László Biró (da cui "birismo"), i tenaci guerriglieri cileni Mapuche (che porteranno al verbo "mapuchare"), ma anche mostri sacri come Leonardo e Galileo, Leopardi e Kafka, passando per nobili del Seicento e miniere sudafricane, instancabili bugiardi e scienziati camerieri.
L'esistenza di un uomo qualunque trasformata in un incubo indecifrabile. Una realtà, o un delirio, che il lettore vive assieme al protagonista, mentre davanti ai suoi occhi sfilano personaggi formidabili, comici e drammatici, che Vitali tratteggia con maestria unica. Conservando, anche nei momenti piú oscuri, il suo sguardo accogliente nei confronti dell'estrema vulnerabilità della specie umana.
E se la fine in realtà fosse solo l'inizio?
Lo scrittore Benedetto De Risi, scosso dalla perdita della moglie Lia, si ritira in un borgo di montagna, con la sola compagnia di una governante e di un gatto. Giorno dopo giorno, al ritmo delle stagioni e delle fasi lunari, Benedetto scrive un diario, nel quale inserisce dodici racconti, moderne parabole che fanno da contrappunto al fluire dei pensieri. È la riflessione, inquieta e mai arresa, di un uomo che si prepara all'ultimo passo e che ripercorre la propria esistenza, interrogandosi sull'amore, la salvezza, la libertà, il dolore, la presenza (o l'assenza) di Dio. Profonda indagatrice spirituale e narratrice che sa toccare le corde dell'animo, Adriana Zarri scrive, con "Dodici lune", un'intensa avventura dello spirito, che rifiuta ogni facile consolazione nel nome di un'insopprimibile, intransigente ricerca della verità.
"Vuoi essere l'addetta al ricordo, bambina mia?" Attilio, il nonno che è stato per lei un padre, fa ad Aura questa richiesta sconcertante: non assistere alla malattia che divorerà la mia mente, ricordami nel pieno della vita. Aura è una ragazza speciale, ha il nistagmo - disturbo che fa muovere le pupille incessantemente e che le è valso il soprannome di Signorina Occhipazzi - e davvero il suo sguardo è sempre rivolto a qualcosa di diverso da quello che vedono gli altri, come alla ricerca di un dettaglio che eternamente le sfugge. Ma proprio per questo Aura è coraggiosa, sa stare sola, sa che gli uomini spesso guardano solo la superficie delle cose: così accetta la sfida e parte per un paese lontano. Quando però, al suo ritorno, scopre che Attilio è stato di parola e si è recluso in una casa di riposo, Aura capisce di non voler rispettare il patto e comincia a cercare il nonno ovunque: nei messaggi che lui ha seminato dietro di sé come sassolini bianchi nel bosco, nella memoria di chi gli ha voluto bene, nei propri ricordi e in quelli di sua madre Isabella, inadeguata all'amore eppure caparbiamente ostinata a cercarlo, sempre troppo "leggera" ma forse per questo capace di rialzarsi quando cade. È così che Aura raccoglie frammenti dell'esistenza del nonno ma anche di quelle dei molti personaggi che popolano il romanzo: "cocci" di vite autentiche, spesso dolenti, irrisolte ma capaci di incastrarsi le une con le altre in maniera sorprendente.
Una nuova detective Mina Settembre. L'assistente sociale che indaga nei Quartieri Spagnoli di Napoli affronterà il misterioso Assassino delle Rose.
«Mi chiamo Flor, ho undici anni, e sono qui perché penso che mio padre ammazzerà mia madre».
Gelsomina Settembre detta Mina, assistente sociale di un consultorio sottofinanziato nei Quartieri Spagnoli di Napoli, è costretta a occuparsi di casi senza giustizia.
La affiancano alcuni tipi caratteristici con cui forma un improvvisato, e un po’ buffo, gruppo di intervento in ambienti dominati da regole diverse dall’ordine ufficiale. Domenico Gammardella «chiamami Mimmo», bello come Robert Redford, con un fascino del tutto involontario e una buona volontà spesso frustrata; «Rudy» Trapanese, il portiere dello stabile che si sente irresistibile e quando parla sembra rivolgersi con lo sguardo solo alle belle forme di Mina; e, più di lato, il magistrato De Carolis, antipatico presuntuoso ma quello che alla fine prova a conciliare le leggi con la giustizia.
Vengono trascinati in due corse contro il tempo più o meno parallele. Ma di una sola di esse sono consapevoli. Mentre Mina, a cui non mancano i problemi personali, si dedica a una rischiosa avventura per salvare due vite, un vendicatore, che segue uno schema incomprensibile, stringe intorno a lei una spirale di sangue. La causa è qualcosa di sepolto nel passato remoto.
Il magistrato De Carolis deve capire tutto prima che arrivi l’ultima delle dodici rose rosse che, un giorno dopo l’altro, uno sconosciuto invia.
Mina Settembre e gli altri sono figure che Maurizio de Giovanni ha già messo alla prova in un paio di racconti. In Dodici rose a Settembre compaiono per la prima volta in un romanzo. Sono maschere farsesche sullo sfondo chiassoso di una città amara e stanca di tragedie. Un mondo di fatica del vivere che de Giovanni riesce a far immaginare, oltre all’intreccio delle storie, già solo con il linguaggio parlato dai vari personaggi di ogni strato sociale: ironico, idiomatico, paradossale, immaginoso.
Fino all'adolescenza il protagonista ha avuto dal padre, oltre a un affetto smisurato, tutto ciò che può rendere felice un bambino: l'amicizia complice, favole fantasiose, sogni condivisi. Un giorno d'aprile del 1945, poco prima della fine della guerra, l'uomo scompare. Il figlio, disperato, lo piange per morto finché scopre una realtà meno tragica ma più devastante sul piano personale: il padre è fuggito in America con l'amante. Da quel momento il ragazzo cerca di sopprimere dentro di sé ogni traccia dell'idolo caduto, ma i ricordi lo ossessionano. Niente può aiutarlo, nemmeno l'amore e un matrimonio felice coronato dall'arrivo di un figlio: anzi, proprio il suo bambino, che porta indelebili, nell'aspetto fisico e nei comportamenti, le impronte genetiche del nonno scomparso, lo induce a mettersi sulle tracce del padre. La ricerca si protrae per lunghi anni, fino all'inattesa e dolorosa conclusione, legata all'indagine su un inquietante episodio di guerra partigiana e all'incontro con una donna indomabile, proprietaria di un vecchio albergo in riva al Po: La Dogana del Duca. Giuseppe Bianchetti, nato nel 1928, vive e lavora a Milano. Ha insegnato per decenni all'università e da alcuni anni ha lasciato la professione per dedicarsi a varie attività, soprattutto alla letteratura.
Al centro di questo romanzo c'è una storia d'amore che anela alla normalità. Due uomini, un giovane e un vecchio, si incontrano e credono di poter passare insieme il resto della loro vita. Imparano l'uno dall'altro, con allegria; compiono il comune percorso dall'euforia dell'innamoramento ai compromessi della serenità matrimoniale. Ma la letteratura ci si mette di mezzo. E la letteratura può urlare una verità nemica dell'amore. Perché con un libro ci si può far male. Un libro può anche essere lui, l'assassino.
Due storie di famiglie parallele, ma destinate a incontrarsi. Quella del Maestro, giovane anarchico che arriva da Sapri, alla fine dell'Ottocento, per insegnare in un paesino della Toscana, dove si stabilirà avendo dalla vedova Bartoli numerosi figli dai nomi emblematici: Ideale, Libertà e Cafiero. E quella di Rosa e Ulisse Bertorelli, commerciante di maiali, da cui nasceranno Annina e Achille. L'amore tra Annina e Cafiero è solo un momento dell'intreccio di vicende pubbliche e private, realistiche e fantastiche, che l'autore costruisce in questo romanzo, epopea di drammi e di ideali, di personaggi all'altezza dei grandi sommovimenti della storia.
Dal suo rifugio sotto le coperte, Tina racconta a Vittoria, amica amatissima, persa e ritrovata, i fatti, il disordine e i ricordi degli anni in cui una brusca rottura le ha tenute lontane. Nel tentativo di ricondurre a un unico, ricorrente malamore i tanti modi in cui ha amato, Tina recupera dai suoi cassetti brani di romanzi incompiuti e li annoda alla testimonianza di un presente insopportabile. L'assistenza a due genitori anziani, incattiviti da una relazione infelice, riporta in superficie le sofferenze infantili e permette di ricomporre gli indizi di un antico rifiuto. Si delinea così l'"autobiografia di una borderline" dalla caotica vita sentimentale, nella quale gli affetti vivono di strappi e tormentosi ritorni. Eppure il cielo resta alto sulle rovine e una ricomposizione è possibile.