
Un'isola situata oltre le colonne d'Ercole, sommersa da un tremendo cataclisma. Una civiltà florida e potente, devota al culto del dio Poseidone, scomparsa con tutti i suoi tesori più di undicimila anni fa. È il mito di Atlantide... Ma si tratta davvero di una semplice leggenda? Non la pensa così una giovane e brillante archeologa di New York, Nina Wilde, i cui genitori hanno pagato con la vita l'ossessione per quel mito, quando erano a un passo dalla sensazionale scoperta. Dopo dieci anni di tenaci e disperate ricerche, Nina è convinta di aver individuato la posizione della città perduta, e quando Kristian Frost, miliardario norvegese proprietario di avanzatissimi laboratori di ricerca genetica, si offre di finanziare la spedizione, sembra che nulla la possa più fermare. Con l'aiuto della figlia del suo mecenate, la bellissima Kari Frost, e di Eddie Chase, ex SAS inglese, la missione ha inizio. Ma c'è qualcuno che è pronto a tutto pur di fermarli. La spedizione di ricerca diventa così una rocambolesca corsa contro il tempo dalla giungla amazzonica alle montagne del Tibet, dalle strade di Manhattan alle profondità dell'oceano. Una sfida epocale in cui il Bene dovrà assumere i tratti del Male per salvare le sorti dell'umanità. Perché con Atlantide è rimasto sepolto un segreto letale, un segreto che non deve finire nelle mani sbagliate...
Quando viene a sapere che una sua vecchia amica sta morendo in un paesino ai confini con la Scozia, Harold Fry, tranquillo pensionato inglese, esce di casa per spedirle una lettera. E invece, arrivato alla prima buca, spinto da un impulso improvviso, comincia a camminare. Forse perché ha con la sua amica un antico debito di riconoscenza, forse perché ultimamente la vita non è stata gentile con lui e con sua moglie Maureen, Harold cammina e cammina, incurante della stanchezza e delle scarpe troppo leggere. Ha deciso: finché lui camminerà, la sua amica continuerà a vivere. Inizia così per Harold un imprevedibile viaggio dal sud al nord dell'Inghilterra, ma anche dentro se stesso: mille chilometri di cammino e di incontri con tante persone, che Harold illuminerà con la sua saggezza e la forza del suo ottimismo. Harold Fry è - a suo modo - un eroe inconsapevole, proprio come Forrest Gump: un uomo speciale capace di insegnarci a credere che tutto è possibile, se lo vogliamo davvero.
Nel gennaio del 1845 il trentaduenne Dickens fa il suo ingresso a Roma. È la tappa più importante del suo tour raccontato in "Impressioni italiane", da cui sono tratte queste pagine. Subito il suo sguardo attento si appunta su ogni aspetto: le strade, le case, gli abitanti, il clero. Ne risulta alla fine un ritratto in chiaroscuro: a tratti persino spietato contro riti e miserie della città, ma pur sempre carico di fascino per la suggestiva bellezza della sua millenaria storia.
Durante la seconda guerra mondiale, dopo il bombardamento giapponese di Pearl Harbor, l'undicenne Jim, protagonista del romanzo, si ritrova prima separato dalla sua famiglia a girovagare per Shanghai, poi internato in un campo di prigionia di nuovo con i genitori. In quattro anni trascorsi nel campo di Lunghua, diventa un eccezionale testimone di cosa sia davvero la guerra: una cruda e infernale realtà dove quel che conta è la lotta per la sopravvivenza. La catastrofe non è più immaginata o proiettata nel futuro, come negli altri romanzi di Ballard, bensì vissuta in prima persona, e riferita con la fedeltà e l'esattezza di un'autobiografia e con l'allucinatoria forza di un'esperienza assolutamente fuori del comune.
Imperi dell’Indo è il resoconto dell’audace viaggio solitario lungo il «Fiume dei Fiumi», dalla foce alla sorgente, compiuto da Alice Albinia a ventinove anni: più di tremila chilometri attraverso paesi, panorami e popoli osservati con sguardo empatico, in un pellegrinaggio avventuroso fra tribù pashtun e fuoricasta metropolitani, santuari sufi e fondamentalisti islamici, fitto di incontri con memorabili personaggi il cui destino è fatalmente intrecciato a quello del grande fiume. Le sue rive «hanno attratto con­quistatori assetati. Qui nacquero alcune delle prime città al mondo; la più antica letteratura sanscrita dell’India ebbe il fiu­me al suo centro; i santi predicatori del­l’I­slam peregrinarono lungo il suo corso». Un itinerario controcorrente e insieme a ritroso nel tempo – dal presente travagliato del Pakistan ai fasti dell’impero britannico, dalle conquiste dei sultani afghani ad Alessandro Magno, dall’epoca dei Veda a quella della misteriosa civiltà di Mohenjodaro –, raccontato con una scrittura lieve e incisiva in un libro che è insieme romanzo di viag­gio e indagine storica, trattato di geografia umana e lucida riflessione sul subcontinente indiano di oggi.
Il giornale sta al terzo piano di un palazzo storico. Non ci sono scritte sulla porta. Niente nome né testata, solo un manipolo di penne che comunicano fra loro in inglese. Fuori dall’ascensore qualcuno ha appeso un cartello: «Lasciate ogni speranza voi ch’uscite. Outside is Italy». Tre piani sotto c’è Roma, la cui bellezza, con quel misto di fascino e inquietudine, caos e dolce vita, appare eterna soprattutto a chi, all’inseguimento di sogni effi meri, vi arriva da un paese lontano.
Tutti i dipendenti del giornale – americani, inglesi, australiani, canadesi – sono suffi cientemente uomini di mondo per primeggiare nella qualità che governa il loro mondo: l’imperfezione. Lo stagista zelante interviene sempre a sproposito, la titolista non riesce a far entrare le parole nelle colonne, il correttore di bozze lascia errori grossolani, il redattore pedante dà letteralmente in escandescenze se qualcuno si azzarda a utilizzare l’avverbio «letteralmente», l’inviato al Cairo conosce quattro parole di arabo e non ha idea di dove si trovino le notizie. In redazione parlano il giornalese, lingua che fonde sintesi e desiderio di conformismo, ma fuori ognuno torna a indossare – drammaticamente – la propria inadeguata unicità.
Undici ritratti di imperfezionisti – taglienti, ironici e fatalmente intrecciati con le traversie del giornale e con l’ultimo mezzo secolo di storia – formano il racconto perfetto del regno dell’approssimazione mediatica, dove l’arte della verità fl uttua pericolosamente nella corrente delle passioni umane, tra cialtroneria e bassezze, cinismo e solitudine.
I lettori italiani sanno fare i loro conti, e conoscono bene la quantità di risate che Alan Bennett riesce a scatenare quando maneggia uno spunto anche elementare (la sgradita visita di topi d'appartamento, ad esempio), o ritrae personaggi familiari in situazioni incongrue (un'anziana regnante cui capita in mano, per la prima volta o quasi, un libro). Per calcolare quanto rideranno qui, basterà dunque fare la somma fra un compito apparentemente banale (correggere un libretto d'opera) e i due eccentrici, litigiosi e, com'è ovvio, spiritosissimi mostri sacri chiamati a svolgerlo, nel corso di un lungo battibecco immaginario ma tremendamente verosimile: W.H. Auden, nientemeno, e Benjamin Britten.
"L'hanno rinchiusa in prigione per più di una settimana. Prima l'hanno fatta camminare a passo di marcia, su e giù, su e giù in mezzo a loro, per un giorno e una notte, finché non è più riuscita nemmeno a zoppicare, tanto aveva i piedi gonfi e sanguinanti. Non avrebbe confessato. Così hanno deciso di dimostrare che era una strega". Le pagine di un diario sono cucite dentro una trapunta. Una trapunta che giace indisturbata per oltre trecento anni, finché non viene aperta per essere pulita, e allora dalle sue pieghe cade una storia forte ed emozionante. La storia di Mary, nipote di una strega. Quando la nonna di Mary viene condannata a morte per stregoneria, Mary scappa per sfuggire allo stesso destino, prima nella campagna inglese e poi su una nave per l'America, dove spera di trovare una nuova casa, un luogo dove essere una persona nuova. Scopre però che non è facile fuggire e presto cade vittima di superstizioni e sospetti che potrebbero farle subire lo stesso fato di sua nonna. Mary è decisa a non farsi calpestare, torturare e uccidere per un crimine immaginario come la stregoneria. Uno sguardo femminile sul mondo, una storia narrata con grande vividezza, come una ripresa cinematografica.
"Nel Regno Unito e non solo parlare di Dickens è come parlare di Alessandro Manzoni in Italia: quasi un Padre della Patria. (...) 'Il viaggiatore senza scopo'", 'The Unconventional traveller', oltre alla bizzaria del titolo che fissa una differenza, per quel tempo significativa, tra il 'commesso viaggiatore' e quello che adesso chiameremmo il 'turista culturale', rappresenta un diario fedele e anche interessante dei gusti e delle attenzioni umane e ambientali di Dickens. Colpisce, ancora una volta, l'impronta dickensiana di voler rappresentare, attraverso la narrazione, il gusto diffuso del suo tempo. Charles Dickens, il quale attraversa con la sua penna leggera e talora ironica città e campagne, terra e mare, uomini e donne, giovani e vecchi, gentiluomini e briganti. A tutti e di tutti fa un ritratto e racconta la sua storia, talora sciogliendo nodi culturali e storici, talora apponendo la sua cifra narrativa e personale, intrigante, ma inestricabile. Non siamo davanti ad un libro di viaggio, bensì al diario di un viaggiatore: la differenza è sostanziale. Il primo dovrebbe lasciare nel suo lettore il desiderio di ripercorrere quell'itinerario per scoprirne segreti e bugie, curiosità e banalizzazioni, il diario è invece un unicum, una testimonianza di vita e un atto d'amore." (Giovanni Puglisi)
"È una situazione fra le più classiche. Lei decide di tradire il marito con un uomo che giudica affascinante. La tresca funziona fino al giorno in cui i due clandestini hanno la sensazione che il marito tradito abbia scoperto tutto. È un guaio. Anche perché, messa alle strette, l'adultera confessa. Che fare? Si dovrà procedere alla separazione e al divorzio. Sconvolta e piangente, lei si reca dall'amante. Gli dice d'aver confessato: vuole separarsi e andare a vivere con lui. Grande è la sorpresa, a quel punto. Infatti, l'amante non ha intenzione di lasciare la moglie e mettersi con lei. Pensiamo tutto questo ambientato nella colonia inglese di Hong Kong alla metà degli anni Venti e affidato alla penna superprofessionale di W. Somerset Maugham. Sarebbe uno dei suoi romanzi caustici, mondani, un po' cattivi. Ma Maugham, influenzato dalla lettura dell'episodio dantesco di Pia de' Tolomei, pensa di aggiungervi qualcosa in più." (Giorgio Montefoschi)
Per riavere il trono che gli è stato usurpato, Giasone raccoglie una sfida a tutta prima impossibile: raggiungere la Colchide per recuperare il Vello d'Oro. A far vela con lui a bordo della nave Argo sono i grandi eroi dell'antica Grecia, tra i quali Ercole, Orfeo, i gemelli Castore e Polluce, l'indovino Linceo e la vergine Atalanta. Protetti dalla Dea Bianca, ma costantemente in lotta contro una natura avversa, mostri, dei ostili e le ancora più insidiose trappole di seducenti eroine, gli Argonauti affrontano un'impresa che rischia a ogni passo di tramutarsi in tragedia. Una spedizione leggendaria che Robert Graves ha il pregio di narrare come un'avventura estrema, appassionante e audace, nella quale i protagonisti emergono nella loro più autentica umanità, calati in un immaginario che prende vita tra le pagine e che, oggi più che mai, si rivela incredibilmente attuale.