
Le Réalisme méthodique è stato pubblicato già da molti anni in traduzione spagnola e più recentemente in traduzione inglese. Quella che qui viene presentato è la prima traduzione italiana integrale. Nuova edizione con aggiornamenti bibliografici.
Gilson accoglie dalla tradizione l'idea che, parlando di arte, si deve partire dalla distinzione tra materia e forma, ma ritiene che sia impossibile considerare l'arte in generale: esistono soltanto le arti, non l'Arte, perché ognuna di esse inizia da una materia data che condiziona l'opera che l'artista intende creare, suggerendogli quasi le possibilità di darle quella specifica forma. A ciascuna delle arti maggiori - l'architettura, la statuaria, la pittura, la musica, la danza, la poesia e il teatro - è dedicato un capitolo di questo libro, in cui si cerca di definirne l'essenza. Nonostante la specificità di ogni forma di arte, vi è qualcosa che accomuna le arti del bello: il fine che l'attività artistica si propone esclusivamente creare il bello in se stesso. E questo ha poco a che fare con la poetica astratta: Gilson - con ricchezza e acutezza di analisi, sorretta dalla scrittura elegante e autoironica che lo contraddistingue - parla invece di "poietiche", arti del fare, recuperando, si potrebbe dire, l'aspetto artigianale dell'arte. Alla domanda: amate o non amate la pittura di Picasso? La risposta più ragionevole è che "la pittura di Picasso" non esiste. Non esistono di Picasso che le opere individuali» (Étienne Gilson).
Perché Dante ha scritto la "Commedia"? Per amore. Mantenere una promessa d'amore, fatta nell'ultimo capitolo della "Vita Nuova", è la ragione per cui, secondo Etienne Gilson, l'altissimo Poeta di Firenze ha deciso di impegnarsi nell'impresa del suo capolavoro. Ed è anche, indirettamente, la ragione per cui ha scritto il "Convivio", documento incompiuto del periodo di "trenta mesi" dedicato da Dante allo studio della filosofia. Dunque, l'obiettivo era dire di Beatrice quello che mai non file detto d'alcuna, cioè fare della donna amata un'anima del cielo in grado di disporre del poeta latino Virgilio e del mistico cristiano Bernardo di Chiaravalle, entrambi inviati in aiuto di Dante nel suo viaggio nell'aldilà. Il poeta perciò studia come vivono angeli e beati nell'oltremondo, nel regno di Dio dove ormai la sua donna è per l'eternità. Divenuto così esperto di filosofia e teologia, dopo i canonici studi letterari di grammatica, Dante assume il ruolo di pacificatore fra le due grandi culture "nemiche" del Medioevo, quella retorico-letteraria e quella della filosofia Scolastica, che aveva il suo fulcro nell'Università di Parigi. E così diventa anche il più originale, straordinario poeta del suo tempo. studioso di cultura filosofica medievale, Etienne Gilson dedicò a Dante nel settimo centenario della nascita, il 1965, questi nove saggi, mostrandone il legame indissolubile, vitale sorgente d'ispirazione, con la "bambina di Firenze".
Questo libro, al suo apparire nel 1924, s'inquadrava in un progetto di ricerca, intenzionalmente perseguito dall'autore come lotta contro il pregiudizio «razionalistico» di un medioevo privo di originalità filosofica, ma anche contro un certo conformismo neo-scolastico tendente a far confluire sulle posizioni tomistiche la varietà delle posizioni degli altri esponenti della tradizione scolastica. Lo scopo di Gilson era mostrare l'esistenza di un pensiero medievale degno del nome di filosofia, cioè di sapere fondato nell'evidenza della ragione, ma anche correggere, in nome della storia ridata a se stessa, una certa ideologia del medioevo filosofico-teologico che s'inibiva di cogliere tutta la ricchezza e la complessità della storia stessa di questa convivenza di teologia e filosofia per incanalarsi troppo rapidamente in una sorta di reductio diversarum doctrìnarum ad Thomam. Il primato di Tommaso, più che un «dogma» fondato su una venerabile tradizione di ammirazioni, doveva essere qualcosa da riscoprire nella circolarità tra il rigore storiografico e un impegno teoretico-dialettico di confronto.
Il volume raccoglie le Tre lezioni che Étienne Gilson, Accademico di Francia, propose nel 1960 alla Pontificia Università Lateranense dedicate al grande problema della dimostrazione dell'esistenza di Dio. La prima mette in luce le difficoltà di interpretazione delle "prove" secondo la proposta di Tommaso d'Aquino. La seconda suggerisce come conviene intendere queste prove, o vie. La terza si interroga sulla questione, inevitabile per i filosofi, circa la validità del tipo di ragionamento al quale l'Aquinate fa appello per condurre l'intelletto alla conclusione che esiste un Dio.
Machiavelli, Pascal: un accostamento inatteso, per più versi sorprendente. Machiavelli, frugando nella biblioteca di suo padre, scopre la casistica medievale e mette il rapporto tra la norma e l'eccezione al centro di un mondo inventato (la "Mandragola") e di quello in cui vive e agisce ("Il Principe"). Pascal, feroce avversario della casistica (soprattutto quella dei gesuiti), legge Machiavelli attraverso la lente di Galileo, e la realtà del potere attraverso Machiavelli. Un viaggio negli intrichi della lettura, sulle tracce di due lettori straordinari - e dei loro interlocutori, avversari, seguaci. Vi si affacciano personaggi famosi (Campanella, Galileo) visti dal loro censore, il domenicano Niccolò Riccardi, detto «Padre Mostro»; e personaggi meno noti, come Johann Ludwig Fabricius, al quale una lettura obliqua delle "Provinciali" di Pascal consente di proporre un'immagine inedita del «religiosissimo» Machiavelli. Un invito a leggere tra le righe, lentamente, testi cifrati, spesso criptici. Per anni Carlo Ginzburg ha lavorato su casi molto diversi tra loro, tutti però fortemente anomali. L'incontro con la casistica - ossia la tradizione, all'incrocio tra teologia e diritto, che riflette sulla tensione tra norma e anomalia, a partire da casi specifici - era forse inevitabile. Un tema insieme lontanissimo e vicino: ferita a morte da Pascal e resuscitata dalla bioetica, la casistica non smette di interrogarci, nei suoi risvolti tragici o grotteschi.
All'interno del presente volume l'autore analizza lo stato d'animo di centinaia di scrittori, antichi e moderni, davanti allo scorrere del tempo. "Il tempo è una delle grandi questioni metafisiche, che ha appassionato non solo tanti filosofi, scrittori e scienziati, ma anche ogni singolo uomo, perché coincide con la nostra stessa esistenza. Riflettere sul tempo significa riflettere sul senso della vita. Da una parte, il tempo è un "vile avversario"; dall'altra, è "la cosa più preziosa che l'uomo possiede", perché è "il prezzo dell'eternità". Si vorrebbe essere padroni del tempo manovrarlo, come si fa con le lancette dell'orologio, portandole avanti e indietro. Si desidererebbe che fosse reversibile, come il modo. Il presente non ci soddisfa mai e, per questo, ci si rifugia nel passato e nel futuro, evocando le cose di ieri o sognando le cose di domani. Tale tentativo di evasione impedisce di vivere pienamente i singoli attimi dell'oggi.
La seconda globalizzazione sta attraversando un momento di cambiamento profondo: l'impatto dell'intelligenza artificiale, i fenomeni migratori, le nuove leadership politiche, la crisi non solo economica ma anche ambientale. Nella confusione che attraversa la politica - tentata dal fascino sovranista e dalle sue chiusure - il ruolo della rappresentanza sociale è fondamentale proprio per la centralità del lavoro nei processi di trasformazione che caratterizzano la società aperta. Così Karl Popper chiamava quell'orizzonte che nella storia d'Europa vive di valori che oggi hanno bisogno di essere riaffermati quali, per esempio, la competenza, l'innovazione, la giustizia sociale, il pluralismo, la pratica del dissenso, il ruolo della ricerca scientifica, la laicità e, naturalmente, la libertà delle donne e degli uomini. La rappresentanza del lavoro sembra più in grado della politica di non cedere alla riduzione della complessità: imprese e lavoratori sono i soggetti che direttamente vivono da anni le sfide della globalizzazione e la trasformazione della produzione. Sarà il sindacato a stimolare l'innovazione sociale?
"Dimmi che pensi degli spiriti notturni, dato che teologi e filosofi credono all'esistenza di simili creature" aveva chiesto il politico Hugo Boxel a Baruch Spinoza nella tormentata Olanda del Seicento. "Non ci credo" aveva ribattuto il filosofo "e mi fa sorridere che qualcuno teorizzi che i fantasmi sono tutti maschi perché nessuno li ha mai visti partorire. Per risolvere l'enigma non basterebbe dare un'occhiata... ai loro genitali?" In questo libro Giulio Giorello incastra, tra un brevissimo Prologo e un Epilogo un po' più articolato, cinque brillanti racconti, alcuni ambientati nelle brume del Nord e altri sotto il sole del Mediterraneo. Chi legge fa così la conoscenza di spettri, larve, anime disincarnate e messaggeri dall'Inferno, talora subdoli e perversi, talaltra burloni e ridicoli, ma sempre un po' maligni, perché la loro malizia consiste appunto nel fatto che non esistono eppure continuano a essere percepiti da noi. Sono diafane creature a un tempo libertine e libertarie, insofferenti di ogni placido buon senso e di qualsiasi "correttezza politica". Ma è così che ci inducono a persistere nel desiderare di desiderare. Dunque, i fantasmi sono sogni fatti della stoffa di cui sono intessuti i nostri desideri...
In una memorabile scena del "Giulio Cesare" di Shakespeare, Cassio, dopo l'uccisione del dittatore, si rivolge alla folla di Roma invocando "Liberty, Freedom, and Enfranchisement", ovvero libertà, indipendenza ed emancipazione. Queste tre parole indicano per Giulio Giorello tre aspetti costitutivi dell'esperienza libertaria. Liberty (libertà) riguarda le nostre facoltà esercitate senza alcuna costrizione; molto, qui, ha a che fare con la scienza, l'attività umana che forse più di altre esige libertà per progredire. Freedom (indipendenza) denota una ragione che opportunamente riconosce l'inevitabile potere delle passioni, con tutti i vincoli che queste comportano; ma resta una libertà strutturale, che rende responsabili le nostre scelte, pur sapendo che non tutto ciò che noi crediamo libero può dirsi davvero tale. Enfranchisement (emancipazione) è il processo di affrancamento da qualsiasi condizione servile, che rimanda, se necessario, alla lotta che donne e uomini combattono per fare della propria libertà uno strumento per avere ancora più libertà, perché "la libertà può essere ristretta, ma solo a vantaggio della libertà stessa".
La libertà può essere effimera, ma non per questo meno splendente. A partire da questo assunto si sviluppa il percorso proposto da Giulio Giorello in una raccolta di saggi ispirata da tre figure imprescindibili per il concetto di libertà: Giordano Bruno, John Stuart Mill e Paul K. Feyerabend. Epoche e visioni differenti, eppure molti sono i fili conduttori che collegano questi autori, primo tra tutti la necessità di esercitare la ragione e imbracciare le armi della critica. Sulla scia della rivoluzione cosmologica tracciata da Bruno, emerge l'esigenza di giudicare criticamente gli eventi, non accettando nessuna teoria come inconfutabile ed esercitando il dissenso, come suggerisce anche l'anarchico "epistemologico" Feyerabend. Ed è proprio con Feyerabend che si realizza quel rovesciamento di prospettiva che si interroga se la scienza non sia diventata strumento di dominio e se la tecnologia non si sia trasformata nel sostegno più efficace alla burocrazia che invade le nostre esistenze mirando a una sorta di controllo totale.
Già nella cultura dell'antico Egitto è possibile rintracciare un'idea di libertà intesa come possibilità di giocare creativamente con i vincoli. A partire da qui Giorello ripercorre le tappe salienti del pensiero scientifico moderno: attraverso Bruno, Galilei, Keplero, Newton e altri eminenti uomini di scienza rappresenta la tensione costante fra la libertà degli scienziati e l'autorità politica, mostrando come ogni nuova scoperta sia frutto di una riduzione dell'arbitrario nella descrizione dei fenomeni e del riconoscimento di alcuni limiti. In un audace parallelo tra scienza e politica l'autore sottolinea inoltre il valore delle eterodossie, individuando il frutto migliore della democrazia nella capacità di opporsi a qualunque potere che si pretenda assoluto. Così il vincolo, non più imposizione che opprime, diventa lo spazio di gioco di una nuova libertà.

