
L'arte occidentale degli ultimi duemila anni ha contratto nei confronti della fede cristiana un debito che difficilmente potrà ripagare; tale debito, va detto, è reciproco, e i capolavori custoditi nelle chiese e nei musei sono stati spesso vessilli e voce del messaggio di Cristo e hanno contribuito alla sua diffusione e alla sua comprensione. Il volume mostra questo profondo legame tra il mondo dell'arte e il cristianesimo, con la consapevolezza che per interpretare correttamente i capolavori artistici a tema religioso sia imprescindibile affiancare allo sguardo sensibile e analitico dello storico dell'arte la voce partecipe e profonda del teologo. I capitoli sono divisi in due parti: nella prima sono proposte le esegesi di alcuni passi significativi della Bibbia, nella seconda seguono i commenti storico-artistici di grandi opere d'arte raffiguranti quei passi: "La Creazione di Adamo e di Eva", "La "Sacra Famiglia" e "Il Giudizio Universale" di Michelangelo, "L'Annunciazione del Beato Angelico", "La Natività padovana" di Giotto, "Il Battesimo di Cristo" di Piero della Francesca, "La Vocazione di san Matteo" e "La Cena in Emmaus" di Caravaggio, "La Trasfigurazione di Raffaello", "L'Ultima Cena" di Leonardo da Vinci, "Il Crocifisso" di Cimabue, "Il Cristo morto" di Mantegna.
Lo sciamano "occidentale" racconta un altro tassello della sua vita vissuta intensamente. Jodorowsky parte dall'incontro con il maestro giapponese Ejo Takata, che lo inizia alla meditazione, al buddhismo zen e ai misteriosi koan - enigmi, domande all'apparenza assurde che non accettano risposte guidate dalla logica, indizi che conducono alla strada verso l'illuminazione. Un percorso lungo e drammatico, appassionante e irto di ostacoli, che ha una e una sola ricompensa: la vera conoscenza di se stessi. E le maghe? Le maghe sono le donne che hanno aiutato Jodorowsky lungo il suo percorso - donne forti, uniche, vitali, donne che gli hanno insegnato a liberarsi dalle sovrastrutture e dai condizionamenti di un'infanzia e un'adolescenza prive di amore, donne che gli hanno mostrato come spezzare la corazza emozionale e aprire il cuore e ampliare la propria visione della vita, donne come la scrittrice e pittrice surrealista Leonora Carrington, o dona Magdalena, che gli ha svelato l'arte del massaggio iniziatico, o la Tigressa, formidabile attrice messicana, o Reyna D'Assia, figlia dell'intellettuale esoterico e occultista Gurdjieff. Sono esperienze vitalissime, talvolta violente, qualche volta surreali, ma sempre e comunque istruttive. Jodorowsky continua a illuminare.
All'interno di un reparto di pediatria oncologica si genera una realtà complessa, carica di esperienze forti legate allo sviluppo della malattia e, ancor più, all'età del paziente. Con rigore metodologico, in questi quattro anni ci siamo chiesti: come si può lavorare con la musicoterapia in un processo di cura caratterizzato da tante criticità? E quale metodo è opportuno seguire in questo contesto? Presto ci siamo resi conto che l'incertezza del decorso clinico arrivava a mettere a dura prova la stabilità emotiva anche di noi musicoterapisti e degli altri operatori e condizionava perfino la possibilità di un percorso/progetto terapeutico. Tutto ci portava inevitabilmente a riflettere non solo sulla validità della metodologia ma anche sulle risposte esistenziali da dare quando ci si interroga sul significato della vita in situazioni così delicate ed estreme.
In immagini di grande impatto si esprime lo spirito rivoluzionario che portò alla rivalutazione del passato indigeno e delle tradizioni folkloriche, intesi come insopprimibili codici identitari generatori di un'inedita fusione tra l'espressione del sé e il linguaggio, l'immaginario, i colori e i simboli della cultura popolare messicana. Prestiti inusuali di opere mai presentate in Italia sono posti in un sapiente dialogo con una ricca selezione di lavori di pittori e movimenti a lei contemporanei le cui traiettorie ne intersecano l'arte d'avanguardia ponendola filologicamente in un quadro internazionale: la pittura metafisica, il dadaismo, la nuova oggettività e naturalmente il surrealismo. I diversi saggi degli studiosi, soprattutto stranieri, tra i quali spicca Salomon Grimberg, affrontano per l'occasione tematiche specifiche di grande originalità, finalmente fuori da ogni stereotipo del romanzo di una vita inesorabile, pure narrata in special modo attraverso i ritratti fotografici dell'artista, tra cui quelli realizzati da Nickolas Muray negli anni Quaranta, che codificano l'iconografia di una straordinaria interprete delle trasformazioni politiche, sociali e culturali del Novecento.
Yves Klein ha tutte le qualità che ci si aspetta da un personaggio di un romanzo. Costruito su base di eventi reali e testimonianze incrociate, questo romanzo inizia nel 1952 in Giappone, quando Yves Klein impara judo presso il Kodokan di Tokyo, per finire con il Monocromo blu esposto al Centre Georges Pompidou di Parigi. Il ritratto dell'artista che emerge in questo libro è fatto di finzione e realtà, che Teodoro Gilabert reinventa per il nostro piacere, coinvolgendo studenti dell'Istituto franco-giapponese, la zia Rosa, la madre dell'artista, belle amanti vere o presunte, la moglie di Klein, i suoi amici, una guardia di museo, gli artisti, i galleristi... Il tutto negli anni 1950 e 1960 a Parigi, quando la vita artistica sembrava tenere l'impossibile e audace.
Centosessant'anni di storia del capitalismo vengono squadernati in un continuo saltare fra terzietà saggistiche, flussi romanzeschi, narrazioni di incubi e vaneggiamenti, il tutto punteggiato da isole realistiche in cui l'improvviso andamento da sceneggiatura filmica è inframmezzato di continuo dal commento in contrappunto di un ignoto narratore onnisciente [...] È questo congegno, ambizioso e riuscito, di continua osmosi fra dentro e fuori, a farmi avvicinare 'Lehman Trilogy' ai fluviali atti di 'Strano interludio' di Eugene O'Neill, ed è notevole che questa ardita soluzione drammaturgica mantenga la sua vigorosa efficacia nel corso di un trittico quasi wagneriano, dove l'Oro del Reno di un'Alabama negriera giungerà, inevitabile, al Crepuscolo dei divini indici di Wall Street." (Dalla prefazione di Luca Ronconi)
Il volume presenta una riflessione teologica sul pensiero e sugli insegnamenti di Paolo VI sull'arte in stretto rapporto con la fede.
"Prima del disastro dell'11 marzo 2011 alla centrale atomica Fukushima Daiichi, in Giappone un mito veniva propinato ai cittadini come verità. Il mito diceva che un incidente in una centrale nucleare non sarebbe mai potuto accadere, era impossibile. Dopo l'incidente è stato chiamato il "mito della sicurezza". Poi però il disastro nucleare è diventato una realtà e ha diffuso particelle radioattive in tutto il mondo. Ora, nel mezzo di una situazione irreparabile, in Giappone le forze filonucleari, quelle che hanno continuato a vendere il mito, cercano di diffonderne una nuova variante. Il mito della sicurezza è diventato il "mito della rassicurazione": "Non vi preoccupate, gli effetti delle radiazioni non sono gravi!". Così, per favore, non volgete altrove lo sguardo di fronte alle foto di questo libro. Restate all'ascolto delle voci delle vittime, compresse nel loro dolore: perché non possiamo permettere un nuovo incidente nucleare, non solo in Giappone ma ovunque al mondo."
Il libro vuole ripercorrere l'opera di Fabrizio De André facendo affiorare le radici della sua sensibilità certamente laica, ma unita a dimensioni proprie del sentire religioso e cristiano, in particolare. Non per "battezzare" Fabrizio - che rimane estraneo ad ogni appartenenza - ma per raccogliere motivi senza i quali riteniamo non si può adeguatamente comprenderlo. Una religiosità, in fondo, mai negata, sviluppata in quella forma liminare al religioso e all'etico che appartiene ad una visione complessiva e profonda della realtà vicina alla mistica. Una laicità mistica, dove l'ultimo termine è aggettivo, modalità di esercizio della laicità. Al di là del bene e del male, sulla cattiva strada. Questa dimensione - che crediamo ultimamente propria di ciascuno - lo fa trasversale ad ogni appartenenza religiosa, morale, politica, rendendolo affine e connaturale a tanti, credenti e non credenti, a uomini di diversa convinzione morale e politica. A generazioni diverse. Il nostro sforzo è, dunque, quello di motivare questa lettura, certi che costituisca almeno l'indicazione di un percorso finora quasi del tutto trascurato. Dobbiamo a Fabrizio un grazie particolare, non solo per aver accompagnato - e non smetterà mai di esserci - l'intera nostra esistenza, ma soprattutto per averci permesso di crescere insieme a tutti quegli uomini e donne che si sono ritrovati attorno alla sua chitarra, che hanno sussultato appena la sua voce irrompeva magicamente tra le mura delle case...
Anche per chi abbia familiarità col suo universo visivo - disseminato di figure, paesaggi, oggetti, e disegni dentro disegni dentro disegni - lo sguardo di Tullio Pericoli non è facile da ricostruire. Almeno fino a quando non si coglie un dato essenziale e singolarissimo, e cioè che a guidare quello sguardo non è soltanto l'occhio, ma un organo più irrequieto e nervoso, che si lascia dirigere solo fino a un certo punto, e da lì in poi asseconda, prima di tutto, i propri imprevedibili talenti: la mano. In questa conversazione con Domenico Rosa, Pericoli ne parla per la prima volta apertamente, con il gusto e spesso la sorpresa di scoprire via via, insieme a chi ascolta e poi a chi legge, i meccanismi e gli incantesimi del proprio lavoro: sciogliendone vari enigmi, e avvicinandoci, nel modo più attraente, a quella singolare "sapienza" che è nella mano.
Paul Gauguin, Claude Monet, Edgar Degas, Alfred Sisley, Camille Pissarro, Vincent van Gogh, Édouard Manet, Camille Corot, Georges Seurat, Paul Cézanne, Pierre-Auguste Renoir... Attraverso una selezione di straordinarie opere realizzate tra il 1848 e il 1914 dai grandi maestri francesi e appartenenti alle collezioni del Musée d'Orsay, il volume propone un percorso artistico che parte dalla pittura accademica dei Salon e attraversa la rivoluzione dello sguardo impressionista fino ad arrivare alle soluzioni formali dei nabis e dei simbolisti. Pubblicato in occasione dell'esposizione romana, il catalogo ripercorre, nella parte introduttiva, la storia del Museo, i progetti architettonici e allestitivi e le scelte museografiche e curatoriali che hanno guidato il suo allestimento attraverso i saggi di Guy Cogeval, Alice Thomine-Berrada e Xavier Rey (Capire la storia dell'arte raccontata al Musée d'Orsay).
Lungo la sua carriera di storico dell'arte l'autore ha incontrato la maggior parte dei collezionisti, degli antiquari e degli studiosi del secondo Novecento. Questo libro non è una biografia né una storia vera e propria quanto, piuttosto, una serie di incontri e di scelte. Alcuni individui che hanno comunque segnato la sua esistenza non vi compaiono per diversi motivi: taluni non gli erano congeniali, altri li ha amati al punto di rendergli difficile parlarne ora. Per i suoi stessi limiti biografici in questa raccolta si parla molto dell'Italia ma non solo di italiani. Il narratore è nato a Cuba e ha vissuto in diversi paesi, soprattutto in Francia, in Spagna e in Inghilterra. Scrive in italiano, una lingua inventata che non è la sua, come non lo sono più il materno spagnolo o il francese o l'inglese. Questo non lo fa essere comunque super partes: leggendo questi ritratti si ha l'impressione che il giudizio non manchi mai e che l'occhio non sia sempre indulgente. La teoria dei personaggi si apre con Bernard Berenson, si chiude con Alfonso Perez Sànchez e include figure molto diverse come Anthony Blunt, Liliane de Rothschild, Francis Haskell, J.P. Getty, Costantino Bulgari e Daniel Wildenstein.

