
Il volume è frutto del secondo Seminario internazionale organizzato nel 2011 dall'"Archivio Julien Ries per l'antropologia simbolica" presso l'Università Cattolica di Milano. All'origine del volume vi è l'affermazione di Ries secondo la quale "L'uomo tenta di spiegare la propria esperienza e mantenere un rapporto con il numinoso creando tutta una serie di simboli che chiamano in causa diversi elementi cosmici come la luce, il vento, l'acqua, la folgore, gli astri, il sole, la luna [...]. Tutte le manifestazioni del sacro presuppongono l'esistenza di una via simbolica, poiché il sacro non si manifesta mai allo stato puro". A conferma di questa concezione il volume sviluppa un'ampia e articolata riflessione sul simbolo dell'aria/spirito come ierofania fondamentale dell'esperienza religiosa affrontata sia nelle sue manifestazioni tradizionali (ebraismo, cristianesimo, islamismo, mondo indiano, Cina arcaica, mondo africano, cultura delle Grandi Pianure nordamericane), sia in alcune degenerazioni contemporanee. Uno strumento essenziale per comprendere la stessa sensibilità metropolitana contemporanea fortemente attratta dal fascino discreto dello "spirituale", all'interno del quale, tuttavia, lo spirito si è spesso trasformato in un vento portatore di fantasmi e di pericolosi feticci.
La stupidità vince. Bisogna farsene una ragione. Gli imbecilli ci sono sempre stati, si sa. Eppure, nell'attuale società dei media e dei consumi sono diventati una folla cianciante che dichiara bellamente la propria deficienza intellettiva e sentimentale, esibendola come un valore. Il cretino è cool, più volente che nolente: ce lo dicono la tv, la stampa, i brand, la rete; ce lo ribadiscono i colleghi d'ufficio, i vicini di casa, i compagni di merende, gli amici al bar. Ecco un'indagine semiseria sulla stupidità contemporanea, alla ricerca delle radici filosofiche, letterarie e antropologiche di quest'inquietante fenomeno del nostro tempo. Vagabondando fra le pagine dei più vari pensatori e scrittori (Flaubert, Musil, Adorno, Deleuze, Barthes, Sciascia, Eco...), l'autore conduce una riflessione sul senso della stupidità, sullo spazio che ha nella vita di ognuno, sulle ambiguità di cui si nutre, proponendone una piccola fenomenologia sociale. Antidoti? Qualcuno sicuramente sì. Prima regola: non sentirsi troppo intelligenti.
È la diseguaglianza la madre di tutti i malesseri sociali. In una società c'è più violenza, più ignoranza, maggiore disagio psichico, orari di lavoro infiniti? Ci sono più malati, più detenuti, più tossicodipendenti, più ragazze-madri, più obesi? All'origine di questo alto tasso di infelicità ci sarà con ogni probabilità un maggior divario tra ricchi e poveri, una maggiore diseguaglianza. Lo dimostrano, cifre alla mano, gli autori di questo libro che è già un caso in Inghilterra. Non è l'ennesima riproposta di un astratto ideale egualitario di matrice socialista. Piuttosto, è il risultato di trent'anni di ricerche e comparazioni statistiche tra i dati raccolti in tutti i principali paesi sviluppati. Ne emerge un'inedita radiografia del mondo in cui viviamo. Siamo infatti abituati a pensare che la crescita economica abbia l'effetto automatico di rendere una nazione più sana e più soddisfatta. Ma oggi non è più così, perché i malesseri generati dalla diseguaglianza coinvolgono tutti: non solo i ceti più svantaggiati, ma anche quanti si collocano al vertice della scala sociale. La prospettiva aperta dal libro è chiara: se si vuole avviare un nuovo ciclo di crescita che ponga al centro la qualità della vita e non solo il Pil, occorre intervenire immediatamente per ridurre la forbice sociale cresciuta a dismisura tra anni ottanta e novanta. Occorre redistribuire reddito e opportunità prendendo ispirazione da Scandinavia e Giappone, esempi virtuosi di egualitarismo.
È possibile addentrarsi nei fatti della cronaca quotidiana, quelli che ogni giorno rimbalzano sulle nostre teste e sui nostri occhi dalla carta stampata, da tv e computer, senza farci schiacciare dal peso a volte ingombrante delle notizie per filtrarne la logica e il senso? È quanto ha voluto fare Silvano Petrosino nei testi riuniti in questo volume. Che si tratti della crisi economica o dei premi agli studenti meritevoli, del legame tra marketing e politica o del senso della vera povertà, l'autore offre sempre uno sguardo che penetra in profondità e rompe il conformismo dilagante dei luoghi comuni che spesso plasmano la nostra mentalità e quindi anche la nostra vita. Scriveva Blanchot: "'Non accade nulla', questo è il quotidiano. Ma qual è il senso di questo movimento immobile? A quale livello si colloca questo 'non accadere nulla'? Per chi 'non accade nulla', visto che per me necessariamente accade sempre qualcosa? Domande fondamentali! Bisogna fare di tutto per non dimenticarle!". Questo libro ci aiuta appunto a non dimenticarle.
Mai come negli ultimi decenni il turismo è diventata un'attività che si nutre di immagini e di immaginari. Viviamo in una società fortemente mediatizzata, che produce un'enorme quantità di immagini finalizzate alla conoscenza e al consumo di luoghi e persone, che diventano patrimonio condiviso delle varie "comunità" turistiche e si trasformano via via in una sorta di icone. Partendo da approcci disciplinari diversi ma convergenti, come quello dell'antropologia culturale e della geografia, Marco Aime e Davide Papotti, basandosi su un percorso teorico supportato dall'analisi di casi esemplari, mettono in luce alcuni dei meccanismi che portano alla costruzione degli immaginari relativi a luoghi, spazi, eventi e dimensioni di vita esotiche. Immagini e immaginari che condizionano fin da prima della partenza ogni forma di incontro con la diversità, sia essa di carattere naturalistico-ambientale, sia invece di tipo etnico-culturale, e che determinano il nostro rapporto con l'altro e con l'altrove, perpetuandosi e riproducendosi in una sorta di circolo autoreferenziale.
"Cambiare aria" rende bene l'idea del viaggiare. Per quanto breve sia il viaggio, significa altri spazi, altro ritmo temporale, altri volti prima ignoti, e le loro vite appena sfiorate. Vuol dire anche dislocarsi altrimenti nei confronti della stessa attualità, percepirne i rimbalzi locali, relativizzarne gli effetti. L'attrattiva del "diario di bordo" di Marc Augé è tutta nel nuovo respiro che ogni volta quel cambiamento d'aria produce. Perché nonostante il nontempo e i nonluoghi che inghiottiscono la nostra sfiatata modernità - e che proprio Augé con acutezza di antropologo ha ravvisato per primo -, l'esperienza non è preclusa a chi sappia distogliersi dall'ordine abituale del mondo sotto casa. Viaggiatore implicato e reattivo, Augé prende nota mese dopo mese di andate e ritorni, del loro "ineguagliabile sapore dolce-amaro", dei resti fantasmatici che essi depositano nella memoria. L'altrove di tre continenti, dalle geometrie arroventate di Mexicali alle suggestioni cordiali dell'Emilia, filtra gli echi della Grande Storia, ma insieme aiuta a rimuovere gli stereotipi mediatici che ombreggiano la crisi planetaria o le vittime di Gaza, il neoeletto Obama o la rivolta dei giovani iraniani. Ritroviamo, in "Per strada e fuori rotta", l'intreccio di vicinanza e lontananza che ha sempre tramato i grandi taccuini di viaggio, e che riesce ancora a comunicarci, nell'orizzonte globale, i sussulti e le vertigini dello spaesamento.
Saggio sulla violenza assoluta. Nonostante l'immagine devota di un Gesù gentile e mite, anche lui a modo suo è violento: la sua parola è una lama implacabile.
La domanda potrebbe sembrare di scarsa o relativa importanza, in quanto è noto che lo Stato di Israele è stato creato dagli ebrei, così come è noto che sono ebrei anche la maggior parte degli israeliani. Tuttavia la possibile distinzione lascia trasparire l'idea che ci sia una sorta di "interruzione" fra la danza tradizionale che accompagna la millenaria storia degli ebrei e la danza israeliana che fa capolino dal Medioriente alla fine degli anni '40: dopo la nascita dello Stato di Israele nel 1948, non si dovrebbe più parlare di danza ebraica ma di danza israeliana, secondo canoni e modelli più simili a quelli del folklore generalmente inteso. Per certi aspetti questo può essere vero, tuttavia è importante non dimenticare il legame che comunque lo Stato di Israele mantiene con le proprie radici, in quanto non nasce "dal nulla" ma dal Sionismo, che può essere compreso e considerato solo all'interno della tradizione ebraica che lo genera.
Chi è l'uomo che fa rappresentazione: ovvero l'uomo della, con la, (ma anche) oltre la rappresentazione? Gli studi qui raccolti, differenti quanto a prospettive disciplinari e metodologie di interrogazione, si propongono di rispondere a questa domanda, indagando il rapporto costitutivo che lega l'essere umano all'atto della rappresentazione, nella sua forma artistica e drammatica, mediale e dal vivo. Il volume si articola idealmente in tre momenti: la prolusione, che costituisce una messa a punto preliminare della domanda su chi sia l'uomo che fa rappresentazione; la parte prima, dedicata a un'analisi del problema antropologico all'interno delle forme attuali della rappresentazione, mediali o dal vivo; la parte seconda, centrata infine intorno ad alcune grandi categorie antropologiche della rappresentazione, quali individualità, alterità, razionalità e simbolicità.
Nel dibattito attuale sulla evoluzione alcune questioni rimangono sempre vive a motivo dei progressi della scienza nel campo della paleontologia e della biologia e delle grandi domande che i temi delle origini sollevano. L'autore richiama l'attenzione su cinque nodi della evoluzione: evoluzione e creazione; crescita della complessità ed evoluzione; caso, finalità e finalismo; le specie nella evoluzione umana; la identità dell'uomo. Le questioni sono affrontate alla luce delle attuali conoscenze scientifiche, senza ignorare le discussioni che si aprono in altri settori interessati ai temi delle origini. Una fedeltà rigorosa alla scienza per discernere dati, interpretazioni e ipotesi, e l'apertura a considerazioni su altri piani, come quello filosofico e teologico, hanno mosso l'autore, già noto per numerose pubblicazioni sul tema della evoluzione.
La storia della specie umana data da sei milioni di anni ed è stata ricostruita grazie ai numerosi fossili rinvenuti in tutto il mondo e alla traccia che ha lasciato nel nostro DNA. Le prime attestazioni della presenza umana si ritrovano in Africa; da qui l'uomo, in un processo di continua migrazione, ha occupato prima il Vecchio mondo e poi le Americhe. Il libro, nel ricostruire l'evoluzione della nostra specie, sottolinea anche la stretta parentela genetica con le scimmie antropomorfe africane - che molti studiosi ritengono di dover inserire nel nostro stesso genere Homo - e come l'essere umano sia da considerarsi solo una delle tante specie animali.
Se tutti gii uomini mangiano, ogni cultura mangia a modo suo. E fa della cucina la sua carta d'identità. Passioni, ossessioni, emozioni, tradizioni, trasformazioni, repulsioni, contraddizioni, contaminazioni. Tutto si dice attraverso il cibo. Dalla scoperta del fuoco all'invenzione della piastra a induzione, gli uomini si distinguono in base alle loro grammatiche alimentari. Cosa mangiare, cosa non mangiare, quanto, quando, come, perché, con chi. Tipi di cottura, successione delle portate, galatei culinari, tabù religiosi, digiuni e astinenze. Il libro esplora le regioni note e meno note di un pianeta gastronomico che cambia alla velocità della luce. E che oggi appare sempre più diviso tra piacere e dovere, estetica e dietetica, gusto e disgusto.