
Perché si dice donare, perché si dice accettare ciò che viene donato, e, quando si accetta, perché bisogna ricambiare? Questo libro esamina il ruolo e l'importanza del dono nel funzionamento delle società e nella formazione del legame sociale. Non è un ambito nuovo: già Marcel Mauss se n'era occupato, avanzando l'idea che i doni vengono ricambiati perché nella cosa donata c'è uno spirito che la spinge a tornare verso il donatore originario. L'ipotesi valse a Mauss la severa critica di Lévi-Strauss, che gli rimproverò di avere scambiato una teoria indigena per una teoria scientifica, e di non avere riconosciuto completamente il fatto che l'intera società è scambio, e che per comprenderne il senso bisogna partire dal simbolico e dal suo primato sull'immaginario e sul reale. La prospettiva generale adottata da Maurice Godelier rinnova profondamente la nostra comprensione del dono. Egli infatti analizza le cose donate o vendute a partire da quelle che non si donano o non si vendono, a partire dalle cose conservate e che bisogna conservare, le più importanti delle quali sono gli oggetti sacri. Un'opera sulle società tradizionali, dalla Costa pacifica del Canada alla Nuova Guinea, che interpella il pensiero politico di oggi. Da un lato lo scambio, la circolazione di beni, il mercato, dall'altro ciò che è sottratto a tutto questo e nel contempo è necessario a tale circolazione.
Se la rassegna di atti e spazi diversi di devozione accentua le frontiere fra religioni, questo libro sposta il punto di osservazione sui luoghi sacri condivisi nel Mediterraneo, crocevia dei grandi monoteismi: cristianesimo, ebraismo e islam. Luoghi nei quali la concentrazione di differenti etnie, credenze, pratiche, non sempre si traduce in scontro ma in occasione di scambio e convivenza. Le dinamiche dei rituali e delle pratiche culturali descritte da specialisti delle varie aree geografiche, nelle quali sono coinvolti soprattutto gruppi di musulmani e cristiani dell'Europa orientale, consentono un'analisi delle relazioni fra diverse comunità e religioni. La prospettiva è quella di un'antropologia comparativa che ha in queste pagine il suo primo tassello importante per un dialogo interreligioso che trova fondamento nelle origini e nelle ragioni della comunanza di questi spazi, nella domanda sul sacro e sull'alterità, e nel concetto, da più versanti indagato, di sincretismo.
La mitologia di strabiliante raffinatezza del sapiente dogon nel Dio d'acqua di Marcel Griaule e le memorie dello sciamano Alce Nero raccolte in uno dei grandi monumenti della storia spirituale dell'umanità. Il testo iniziatico più famoso di tutto il Novecento, "Gli insegnamenti di don Juan" di Carlos Castaneda, e le storie di Rasmussen raccolte tra le popolazioni artiche Inuit. E, ancora, lo splendido e sconcertante caos degli scritti di Antonin Artaud sugli indios Tarahumara e il rituale del peyotl, e i simboli, i riti delle iniziazioni nelle società primitive o tradizionali nelle Haskell Lectures di Mircea Eliade. Emanuele Trevi segue la doppia traccia geografica e iniziatico-metaforica di questi viaggi moderni che riecheggiano in una dimensione antichissima e perduta, alla ricerca di quel passaggio dalla religione alla letteratura che è come il peccato originale e l'atto di fondazione della modernità.
Questo libro è un viaggio nel mondo dei gesti. Non un trattato sulla gestualità, e neppure un manuale di consigli o indicazioni: soprattutto negli ultimi anni, l'attenzione quasi ossessiva per l'"immagine" ha contribuito a porre in una nuova luce l'ambito della gestualità, favorendo però il diffondersi di testi che insegnano come comportarsi nelle diverse occasioni e che di fatto offrono un'interpretazione meccanica, e perciò immiserita, dell'idea di gesto. Abituati come siamo, da secoli, ad attribuire il primato alla parola, siamo disposti malvolentieri ad ammettere quanto sia importante, e talora decisivo, il ruolo del corpo e dei suoi movimenti nei piccoli momenti della vita quotidiana e nei grandi passaggi della storia politica. L'obiettivo del libro è perciò quello di offrire, grazie anche a un apparato di immagini, una ricognizione sull'uso odierno del corpo, tanto nella vita pubblica quanto in quella privata; è insomma l'occasione per osservare come i movimenti del corpo siano - oggi come nel passato - la conseguenza di ben precise visioni del mondo e delle relazioni tra gli uomini.
La profonda crisi economica globale degli ultimi anni sta portando molte persone a credere che sia difficile, se non impossibile, raggiungere la felicità, soprattutto considerando che non si è disposti a rinunciare alle molteplici esigenze e bisogni creati dalla cultura consumistica, anche a fronte di una carenza di mezzi e risorse. Questo volume, mutuando il titolo dal paradosso usato da Gesù per spiegare ai suoi discepoli che la ricchezza rappresenta un ostacolo invalicabile per entrare nel regno dei cieli (Mt 19, 24), ha l'intento di spiegare proprio il rapporto tra il benessere economico e la felicità. Un saggio utile a tutti i cristiani, giovani e adulti, che in questi tempi di crisi cercano una risposta concreta alla domanda: "Il benessere economico fa la felicità?"
Il libro, dedicato in modo particolare agli studenti, ma inteso anche per un pubblico più ampio, vuole offrire una riflessione antropologica sul tema attualissimo dell'identità culturale ed etnica. Partendo da una breve esposizione delle principali scuole antropologiche e del significato dell'antropologia culturale quale "studio della diversità", l'autrice procede a chiarire il concetto, spesso frainteso, di "identità di gruppo", sia essa culturale, etnica, religiosa o nazionale. Come fanno notare, ormai da tempo, i principali antropologi e sociologi italiani e stranieri, l'identità non è qualcosa di biologico, un tratto "naturale" che ciascuno di noi possiede dalla nascita. È, invece, un costrutto culturale creato storicamente in base a determinate necessità, modificabile con il passare del tempo e in base ai nuovi bisogni. Sostenuta da una memoria condivisa che contribuisce a conservare la coesione interna del gruppo, l'identità è comunque un fatto concreto e di importanza fondamentale per chi condivide un sentimento di appartenenza. I numerosi conflitti attuali, siano essi guerre o scontri ideologici, generati dall'incontro/scontro tra diverse identità, ne sono la prova. L'autrice conclude soffermandosi su due casi di attualità: il conflitto arabo-israelo-palestinese e i fondamentalismi religiosi.
Il libro, pubblicato a Tel Aviv in ebraico neI 1943, riproduce il primo corso di "filosofia della società" tenuto da Martin Buber nel 1938 presso l'Università ebraica di Gerusalemme. Buber vi espose, attraverso il serrato confronto con le idee sull'uomo affermate nel passato da alcuni filosofi, la sua antropologia filosofica: l'uomo è un ente che può costruite la propria identità solo attraverso il contatto con ciò che ha la forma di un "tu", ovvero di un altro o diverso non trasformabile in cosa od oggetto, in ciò che è utilizzato o dominato; in ogni incontro con il "tu" si profila il "Tu" eterno. Il libro costituisce sia una sintetica rassegna delle varie posizioni filosofiche sull'uomo, sia un'introduzione alla filosofia buberiana.
"Andare in Asia, eh? So già cosa vi immaginate. Qui sarà tutta una luminaria di illuminazioni, una visione di visioni, una rivelazione di cose che, altrove, non si rivelano. Credete? Mandate a girar per l'Asia un professore nevrotico, diventato poi pensionato, poi gazzettiere, e il risultato sarà sensibilmente diverso. Deprimente, diciamo". Così scriveva Manganelli nell'irridente, paradossale risvolto destinato a spiazzare i potenziali acquirenti della nuova edizione, accresciuta di tutti i suoi nuovi Orienti, di un libro apparso in origine nel 1974 (nel frattempo, fra il 1975 e il 1988 ai reportage da Cina, Filippine, Malesia se n'erano infatti aggiunti numerosi altri: Arabia, Pakistan, Kuwait, Irak, di nuovo Cina, Taiwan). Un'edizione che Manganelli predispose minuziosamente pochi mesi prima di morire, nel 1990. Ma perché "deprimente"? Perché il lettore affetto da ansia di assoluto non avrebbe trovato né Siddharta né un solo guru, "se non con fondotinta di imbroglione a fin di bene cosmico": et pour cause, essendo scopo precipuo dell'autore, semmai, quello di raschiare via un po' di anima. In compenso, avrebbe trovato - divertendosi, per di più, pazzamente - qualcosa di altrettanto prezioso: la chiave per comprendere "i modi ingegnosi in cui l'altrove si nasconde sotto l'apparenza dell'ovvio" e quanto meno intravedere le "linee del labirinto" che sono i nostri fratelli ignoti.
In questo pamphlet Panikkar esprime una delle esigenze più radicali dell'uomo: la confidenza. La vita stessa di Pannikar, uomo "ponte" tra le culture, è stata una costante ricerca di confidenza negli incontri fra persone di mondi diversi. L'autore, in questo scritto giovanile, mostra già la sua vocazione ad attraversare i campi del sapere: l'analisi fenomenologica si unisce allo sguardo antropologico, la ricerca dei fondamenti metafisici si apre all'orizzonte religioso. La confidenza è certo un sentimento raro, quasi un dono, ma la tensione ad essa è dimensione dell'umano: "La comprensione dell'altro, che sia un avversario politico o qualcuno di diversa mentalità, un popolo di un'altra etnia, un cristiano di un'altra confessione, un esponente di un'altra religione o semplicemente di un'altra cultura, è un problema scottante del nostro tempo".
L'uomo semplificato è l'ultima frontiera della concezione tecnico-scientifica del mondo. Oggi l'ideale di una vita senza complicazioni viene posto nella linearità dei processi e nell'economia delle operazioni tipiche della macchina. L'efficienza è la porta della felicità. Questo non è lo scenario di una fantasia letteraria o la profezia apocalittica di qualche visionario nemico del progresso. È il contesto della nostra vita, la banalità del nostro quotidiano. Pensiamo infatti a come la televisione, il computer, i tablet e gli smartphone costituiscano il paesaggio d'oggi, regolando le relazioni con gli altri e il rapporto con il mondo. Ma pensiamo anche alle procedure standardizzate e automatizzate in cui ci imbattiamo ogni volta che cerchiamo di interpellare un gestore telefonico, un ufficio amministrativo, o anche solo un bancomat o il self-service di un distributore di benzina. Il libro del filosofo francese Jean-Michel Besnier nasce proprio dall'intento di aprirci gli occhi per vedere con chiarezza a cosa rinunciamo quando accettiamo che uno standard tecnologico diventi ciò che ci caratterizza come umani. Le macchine, egli dice, rendono sì semplice la vita (e a volte la salvano, questo non va dimenticato), ma al prezzo di livellarla a colpi di algoritmi e calcoli matematici. E non si tratta di un discorso nostalgico o conservatore...
Apertura: ecco la decisiva parola-chiave per comprendere oggi l'uomo globale. Il cambiamento che ha investito l'oggetto della vecchia antropologia normativa sta trascinando con sé gli steccati disciplinari, destabilizzando i metodi consolidati, pluralizzando i paradigmi, ridefinendo gli ambiti tematici. Lo statuto del sapere antropologico esce sostanzialmente riconfigurato da ricerche che ormai si caratterizzano come transdisciplinari, multiparadigmatiche e transnazionali. È a Christoph Wulf che si devono le riflessioni più conseguenti e lungimiranti sui recentissimi assetti dell'antropologia storico-culturale, così mutati da determinare la sua necessaria fuoriuscita dagli alvei canonici e da spingerla verso altre centralità. Il corpo umano, innanzi tutto, luogo di produzione, trasmissione e trasformazione della cultura attraverso rituali, atti linguistici, processi mimetici e performativi. E con il corpo, la temporalità e la finitezza, la nascita e la morte. In un saggio che convoglia la ricchissima ricognizione del passato verso l'autocomprensione del presente, l'unico presupposto irrinunciabile è la consapevolezza che non esiste un unico, riduttivo concetto di uomo. A questo riguardo, il gioco delle analogie e delle differenze costituisce un fondamentale correttivo nei confronti di una globalizzazione uniformatrice.
Dai viaggi in aereo ai telefoni cellulari, dall'alfabetizzazione all'obesità, la maggior parte di noi dà per scontate alcune caratteristiche della modernità, ma per la quasi interezza dei suoi sei milioni di anni di vita la società umana non ha conosciuto nulla di tutto ciò. E se il baratro che ci divide dai nostri antenati primitivi può apparirci incolmabile, osservando le società tradizionali ancora esistenti, o esistenti fino a poco tempo fa, possiamo farci un'idea di com'era il nostro antico stile di vita. Società come quella degli abitanti degli altipiani guineani ci ricordano che, in termini evoluzionistici, le cose sono cambiate soltanto di recente, e questo libro ci offre un affascinante ritratto di prima mano di ciò che per decine di migliaia di anni è stata la vita dell'umanità, soffermandosi sul significato che le differenze fra quel passato ormai quasi scomparso e il nostro presente hanno per l'uomo di oggi. "Il mondo fino a ieri" è il libro più personale scritto da Jared Diamond, che attinge a piene mani a decenni di lavoro sul campo nelle isole del Pacifico e da testimonianze sugli inuit, gli indios dell'Amazzonia, i san del Kalahari e molti altri popoli. Diamond non idealizza romanticamente le società tradizionali: alcune fra le loro pratiche restano per noi inaccettabili, ma è importante riconoscere dove e quando le loro esperienze hanno fruttato dei passi avanti nella società e nel comportamento umani.