
Nella storia dell'umanità il senso del gusto si è progressivamente raffinato sino a diventare un "sapere che gode e un piacere che conosce". Se è vero che tutti gli animali mangiano per sopravvivere, solo l'animale umano elabora l'atto alimentare come esperienza cognitiva e come linguaggio, fino a trasformarlo in oggetto dell'arte culinaria e delle scienze gastronomiche. Per queste ragioni "saper gustare" è una prerogativa della nostra specie. A partire dai gusti delle scimmie e degli ominidi fino alla nascita della gastronomia come scienza, il libro ripercorre le avventure della facoltà gustativa umana mettendone in rilievo l'ineludibile portata corporea, simbolica ed emozionale.
Nel 1945 Douglas Kelley vegliò sulla salute mentale dei gerarchi nazisti, seguendoli dall'istruzione fino alle prime fasi del processo di Norimberga. Potè studiarli da vicino, li sottopose a un'imponente mole di test e raccolse interi quaderni di appunti rimasti finora inediti, prese nota di vezzi, debolezze e meschinità: dalla falsa amnesia di Rudolf Hess alle farneticazioni mistiche di Alfred Rosenberg, dagli strani effetti personali portati alla luce dalle perquisizioni ai capricci del vero coprotagonista di questo libro: il pachidermico, fatuo, narcisista e magnetico Hermann Göring, il maresciallo del Reich. "La personalità più interessante del carcere", annotò Kelley sul proprio quaderno, il solo detenuto che avrebbe potuto guidarlo verso quell'abisso dell'animo umano che era impaziente di esplorare. Le conclusioni della sua indagine furono sorprendenti: i nazisti non erano fantocci che "obbedivano agli ordini", ma persone ambiziose, aggressive, intelligenti e spietate "come uomini d'affari". Il "germe" nazista che aveva sperato di trovare non esisteva: "Sono certo che anche in America ci siano persone disposte a scavalcare i cadaveri di metà della popolazione americana pur di ottenere il controllo dell'altra metà" concluse, senza mai riuscire a lasciarsi davvero alle spalle quell'esperienza che aveva scosso nel profondo i suoi presupposti e gettato i semi della sua stessa rovina.
Perché gli europei hanno assoggettato gran parte degli altri popoli? Secondo Diamond le diversità culturali affondano le loro radici in diversità geografiche, ecologiche e territoriali sostanzialmente legate al caso. Armato di questa idea, l'autore può lanciarsi in un appassionante giro del mondo, alla ricerca di casi esemplari con i quali illustrare e mettere alla prova le sue teorie. Attingendo alla linguistica, all'archeologia, alla genetica molecolare e a mille altre fonti di conoscenza, Diamond riesce a condurre questo "tour de force" storico-culturale con sorprendente maestria, affiancando aneddoti personali a racconti drammatici o a spiegazioni di complesse teorie biologiche, che affronta con abilità di divulgatore.
Colpito dalla cattiva sorte - la morte di una persona cara, la perdita del raccolto, un disastro naturale - l'uomo primitivo ascriveva l'evento all'agire di forze maligne scatenate dalla violazione di un tabù, e andava alla ricerca del colpevole. L'uomo moderno, invece, ritiene di essere in grado di stabilire una relazione tra cause materiali ed effetto senza ricorrere alla magia. Ma il processo di attribuzione della colpa - sostiene Douglas - lungi dal costituire una falla nel pensiero dei primitivi, vale a svelarci aspetti relativi al patto sociale su cui si regge una comunità e alle strategie messe in atto per difenderla dai nemici esterni ed interni. Il processo di attribuzione della colpa e le procedure rituali per gestirla sono, in sintesi, una spia delle strutture sociali e politiche di una comunità.
L'ordine delle cose non è un ordine naturale contro il quale non si possa far nulla. È piuttosto una costruzione mentale, una visione del mondo con la quale l'uomo appaga la sua sete di dominio. Una visione talmente esclusiva che le stesse donne, che ne sono le vittime, l'hanno integrata nel proprio modo di pensare e nell'accettazione inconscia di inferiorità. Solo l'antropologo può restituire al principio che fonda la differenza tra maschile e femminile il suo carattere arbitrario, contingente, ma anche, contemporaneamente, la sua necessità sociologica. Bourdieu prende spunto dalle strutture androcentriche dei cabili in Algeria per dimostrare la continuità della visione fallocratica del mondo nell'inconscio di uomini e donne. Anche nelle donne che, secondo il sociologo francese, partecipano passivamente al dominio maschile. Ne risulta una denuncia, tanto più efficace politicamente in quanto scientificamente fondata, dei molti paradossi che il rapporto tra i generi finisce per alimentare, oltre a un invito a riconsiderare, accanto all'unità domestica, l'azione di quelle istanze superiori - la chiesa, la scuola, lo stato responsabili in ultima analisi del dominio maschile.
Nell'ambito dell'odierna complessità sociale, l'esponenziale crescita tecno-comunicazionale si riflette non solo nella composizione del lavoro (in particolare nel cambiamento, dalla produzione di manufatti ai servizi); ma, più in profondo, anche in una metamorfosi della sua natura sottesa. Il lavoro sta infatti invertendo quel tragitto storico che lo aveva portato ad espandersi, su scala globale, come importante fattore di emancipazione umana. In particolare, il carattere di mobilità fisica e figurata del lavoro interviene come stress dissociante sull'identità umana. Solo attraverso un sofferto percorso di interiorizzazione ed integrazione da parte dell'"apparato identitario", la flessibilità del lavoro potrà ambire ad essere non più una metodologia passivamente adattativa, ma una risorsa culturalmente vincente. Essa sarà così in grado di traghettare il lavoro verso una rinnovata e misurata "soggettività", che lo porti (anche attraverso una ridefinizione della categoria otium/negotium), da prevaricante strumento redditizio, a riconquistare la sua importante funzione antropologica, formativa ed emancipante.
Siamo tutti dei perfetti bugiardi, e non mentiamo solo agli altri, ma anche a noi stessi, e non sono certo poche le occasioni che abbiamo per ingannare o per ingannarci. Può succedere ovunque: durante una relazione sentimentale o nella cabina di pilotaggio di un aereo al decollo, quando si pianifica una guerra o mentre si discute sul posto di lavoro. In realtà, inganno e autoinganno, come questo libro dimostra ricorrendo a numerosi esempi, possono allontanarci cosi tanto dalla realtà al punto da spingerci verso vere e proprie catastrofi, compresa la morte. Ma allora perché l'inganno ha un ruolo così importante nella nostra vita quotidiana? Perché inganniamo, veramente? In questo ambizioso e per molti aspetti provocatorio saggio, l'insigne biologo Robert Trivers, uno dei padri riconosciuti della genetica evoluzionistica, sostiene che la menzogna è la forma più efficace di comunicazione umana e che l'autoinganno si evolve al servizio dell'inganno: inganniamo prima di tutto noi stessi per consentirci di imbrogliare meglio gli altri. Crediamo di essere più intelligenti, più belli, migliori di quanto siamo veramente per motivi biologici, per aiutarci a sopravvivere, per procreare. Falsità, menzogne, bugie sono presenti a ogni livello della vita, nel privato come nella politica internazionale. Ingannano i batteri, le piante, gli insetti e una vasta gamma di specie animali. Dai virus che imitano il comportamento dell'organismo che li ospita fino all'uomo che nel ricordo distorce (spesso volutamente)...
Da vero illuminista, Marc Augé possiede il talento di rivelarci a noi stessi. Questa volta spingendoci a scrutare nello specchio scuro di ciò che collettivamente temiamo di più. Ma è davvero così terribile quello che riusciamo a distinguere? Certo, abbiamo l'impressione di vivere immersi nella paura, perché inquietudine e angoscia hanno la sinistra capacità di addensarsi e incupire il nostro orizzonte. Insomma, la paura fa sistema, crea contagio, induce visioni apocalittiche, disegna l'habitat dell'incubo, dall'allarme alimentare o pandemico all'emergenza climatica al rischio terroristico: l'insieme rilegato dalla crisi planetaria. Augé però non cade ostaggio di questa cupezza indifferenziata. Preferisce perlustrarla, inventariarne gli aspetti, interrogarsi sul loro senso. Così scomposte da una lente antropologica, le paure attuali si rivelano spesso artificiose, fomentate da media ansiogeni, o si riaffacciano, sublimate, là dove non ci aspetteremmo di trovarle, oppure lasciano affiorare sgomenti antichi. Ma discernere le minacce vere - innanzi tutto la rottura del legame sociale - è la prima mossa per allentare la presa che la paura ha su di noi.
Che i vecchi trasteverini raramente passassero ponte si è sempre detto. Come se Trastevere fosse un'isola all'interno della grande città. Oggi si dice che vi rimanga qualcosa dell'atmosfera e dello spirito della vecchia vita popolare romana; o, al contrario, si afferma che è snaturato, gentrificato, trasformato in un quartiere per ricchi e una trappola per turisti. Diagnosi opposte, che echeggiano grandi contrapposizioni fra tradizionale e moderno, paese e città, autentico e inautentico, ma che si rivelano entrambe inadeguate. L'immagine di Trastevere rappresenta bene le trasformazioni in corso nei centri storici di molte metropoli contemporanee, perché enfatizza questi elementi contrastanti, rendendoli, per molti versi, qualcosa di nuovo. Questa ricerca di antropologia urbana - una "monografia a più mani" che moltiplica le voci e i punti di vista - cerca di comprendere dall'interno cosa significhi, oggi, abitare in un rione "vero" proprio perché "inventato", dove la gentrification non è incompatibile con il senso del luogo e la tradizionalità è rigiocata come stile di vita.
I curanderos non sono solo medici come noi li intendiamo in Occidente. Il loro approccio alle patologie consiglia infatti l'uso di rimedi e piante medicinali, ma soprattutto aiuta il malato a guardare se stesso e a individuare la propria personale via di guarigione. I più famosi curanderos, nascosti in luoghi impervi, tramandano una vasta conoscenza medicinale a pochi discepoli. La loro competenza è tale che alcuni ricevono ancora oggi da ogni parte del mondo. Migliaia di malati, anche in fase terminale, preferiscono l'aiuto di questi specialisti invece delle lunghe trafile nei sofisticati ospedali moderni. Insieme alle terapie, questi taumaturghi del terzo millennio insegnano un modo diverso di concepire la vita: meno affannato, meno consumistico, più umano. Nella sua documentata ricerca, Hernán Huarache Mamani restituisce dignità a queste figure che da tempo immemorabile incarnano l'arte del "prendersi cura" e di cui la modernità non può più fare a meno.
Innamorarci è una delle cose più strane che ci possano accadere. Ma cosa succede dentro di noi quando, in una stanza affollata, un’unica persona magnetizza il nostro sguardo? E in che modo le relazioni d’amore differiscono da quelle con i fratelli o gli amici? In genere, si cercano risposte a queste domande nella poesia, nella musica o in conversazioni rese fluide dall’alcool, la più famosa delle quali è stata descritta da Platone più di duemila anni fa.
Fondando le sue argomentazioni sulle ricerche più avanzate, Robin Dunbar passa in rassegna le molteplici sfumature dell’amore romantico, evidenziando le basi biologiche dell’intenso sentimento che lega due persone. Un libro da cui ognuno può trarre informazioni di grande interesse, dato che mostra le motivazioni evoluzionistiche di comportamenti di cui ignoravamo le ragioni profonde.
L'autore
Robin Dunbar insegna Antropologia evoluzionistica all’Università di Oxford ed è fellow of the British Academy dal 1998. Il suo principale interesse di ricerca è rappresentato dall’evoluzione della socialità. In questa stessa collana ha pubblicato Di quanti amici abbiamo bisogno? (2011).
Dirsi o sentirsi di un luogo e insieme dell'Italia non è un'operazione semplice e definitiva. E diventa sempre più complicato nel momento in cui Nord e Sud, quasi come destra e sinistra, perdono gli antichi significati e vanno collocati in un mondo più vasto, globale. Una riflessione, quella sul Sud, che incontra sempre la potenza degli stereotipi, il senso di noi che è stato costruito nei secoli grazie anche a sguardi ostili e miopi. Forse liberarsi dalla "maledizione" di un'identità angusta, spesso inventata (come quella che oppone Nord a Sud) può spingere a trasformare il conflitto in benedizione, il risentimento in riconoscenza, l'autoassoluzione in consapevolezza dei propri errori.