In questo volume che segue quelli dedicati all'Inizio del Vangelo, al Discorso della montagna, ai Miracoli di Gesù e alle Parabole di Gesù vengono esaminati quei capitoli del Vangelo di Giovanni che costituiscono un materiale originale rispetto alla narrazione dei sinottici. Ponendosi in chiaro approccio critico nei confronti di insigni biblisti del Novecento, Ilarion segue la concezione secondo cui l'autore del quarto Vangelo sia veramente l'apostolo Giovanni, il discepolo che Gesù amava, ritenendo priva di consistenza ogni altra ipotesi di attribuzione del testo. Quella di Giovanni non è stata una semplice narrazione di avvenimenti di cui è stato testimone oculare, ma in misura molto superiore agli altri evangelisti, egli ha condotto una riflessione teologica su Gesù Cristo, Figlio di Dio. Ilarion fa ampio ricorso ai Padri della Chiesa e agli studi esegetici più raffinati di cui è profondo conoscitore, guidando il lettore alla conoscenza del Cristo giovanneo e offrendo al tempo stesso occasioni di grande riflessione. Prefazione di Rosanna Virgili.
Post-religiosi, atei, materialisti: nell'infinita gamma degli atteggiamenti dell'Occidente secolarizzato verso la religione sembra manchi solo quello più semplice: credere. È ormai una scelta marginale, in via d'estinzione? Niente affatto, tanto è vero che il bisogno di Dio sembra tornare alla ribalta ovunque nel mondo, in modi anche drammatici. Perché? È opinione comune che la religione sia stata inventata dagli uomini per autoconsolarsi della propria condizione mortale. Ma se le cose stanno così, come mai tutte le religioni hanno sempre offerto ai fedeli e ai non-fedeli scenari inquietanti, dal giudizio finale al paradiso e all'inferno? Il fatto è che la religione, nel momento in cui risponde alla domanda sul senso della vita, riguarda la nostra libertà, perché della libertà è l'ultima difesa e non la soppressione. Ecco perché il ritorno a Dio è necessario al fine di contrastare il totalitarismo in tutte le sue forme. Se è vero che la religione non può essere tenuta fuori dalla sfera pubblica, riflettere sulla sua opportunità significa riflettere sulla giustizia, che è ciò da cui si dispiega, secondo la lezione del pensiero antico da Parmenide in poi, l'ordinamento stesso del mondo e del nostro stare insieme come umani. Uno dei nostri maggiori filosofi si interroga e ci interroga sulla necessità della religione prima ancora che sul bisogno di essa, avendo il coraggio di prendere le distanze da figure mai come ora oggetto di discussione e al centro del dibattito: Nietzsche e Heidegger. E lo fa da laico, consapevole che laico non è chi rivendica la propria indifferenza nei confronti della religione ma al contrario chi la prende sul serio, riconoscendo che i contenuti essenziali con cui è chiamato a fare i conti, le ragioni per cui si vive, vengono proprio da lì. Un percorso incalzante e profondo che fa appello alle conclusioni di poeti e scrittori non meno che a quelle dei filosofi - Hölderlin e Dostoevskij su tutti -, intreccia alla religione il discorso sul sacro e mette in guardia dai pericoli del relativismo e dell'etica utilitaristica. Al cuore, una domanda cruciale: davvero possiamo fare a meno della verità sull'uomo e sul mondo che solo la religione è in grado di comunicare?
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«In principio era il Verbo», dice il Vangelo di Giovanni. Questa frase - e le parole di tutti e quattro i vangeli - è al centro degli insegnamenti della Chiesa cristiana e ha plasmato l'arte, la letteratura, il linguaggio e la mente stessa dell'Occidente. Ma in realtà negli anni successivi alla morte di Cristo non c'era un solo Verbo, né un particolare consenso su chi fosse davvero Gesù o perché fosse così importante. C'erano, anzi, molti Gesù diversi, tra cui un Gesù aggressivo che disprezzava i suoi genitori e storpiava coloro che gli si opponevano, uno che vendette il suo gemello in schiavitù e uno che fece crocifiggere un altro al posto suo. E oltre a Gesù c'erano molti altri Salvatori, molti altri figli di dèi che guarivano i malati e curavano miracolosamente gli storpi, in un intrecciarsi di tradizioni religiose i cui confini erano tutt'altro che chiari. Con il diffondersi del cristianesimo, molte narrazioni alternative furono progressivamente dichiarate eretiche e scomparvero alla nostra vista. Con "Gli altri figli di Dio" Catherine Nixey racconta la storia straordinaria delle eresie e delle molteplici narrazioni religiose dei primi secoli dell'era volgare; è un racconto fatto di contingenze, di caso e di pluralità di opinioni e credenze. In questo libro si legge la storia di ciò che avrebbe potuto essere e non è stato.
Fin dal roveto ardente, Mosè vuol conoscere l'Invisibile che gli parla. Sul Sinai chiede che si mostri. Gli si risponde: «Non potrai vedere la mia faccia, perché ne morresti; solo potrai vedere il mio retro». Maimonide ne dà un'interpretazione illuminante: il retro di Dio sono le sue tracce, i suoi effetti: Dio dice a Mosè che potrà vedere solo le conseguenze del suo agire nella natura e nella storia. Interdisciplinare, infinita per sua natura, la questione di Dio pervade il mondo, che si sia credenti o meno, e si palesa in ogni ambito dell'umano, dalla teologia alla scienza, dall'arte alla filosofia, in un rincorrersi di paradossi e intuizioni. Questo breve e intensissimo libro discute Dio con laicità, intesa non come ateismo, ma come sospensione, curiosità, apertura nei confronti dell'inconoscibile.
Al cuore delle comunità cristiane affiora un vistoso disagio, che si manifesta in modi diversi. In molti parlano ormai apertamente di fuoriuscita del cristianesimo dalla cultura occidentale, e di una sua imminente implosione. Cosa resterà, della Chiesa di oggi, nei prossimi decenni? Obiettivo del libro è di ricostruire i tratti salienti della religiosità contemporanea, per immaginare i caratteri della Chiesa futura ma più in generale della società futura. Dalla scomparsa della figura del praticante a vantaggio di quelle del nomade dello spirito e del pellegrino e dalla spinosa ma ineludibile questione del pluralismo religioso alla nuova geografia degli odierni cristianesimi; dal ruolo della Bibbia, grande codice dell'Occidente e non solo, alla figura di Gesù, riscoperta di recente nella sua ebraicità. La domanda centrale è poi su che cosa rischiamo tutti di perdere in una cultura in cui il cristianesimo che abbiamo ereditato dal passato non funziona più. Quel che è certo è che se la visione cristiana vuole risultare ancora credibile, va ripensata da capo.
Per molto tempo, nella cultura teologica italiana, la dimensione liturgica, spirituale e mistica dell'esperienza protestante è stata lasciata sullo sfondo, se non del tutto trascurata, determinando in molti la convinzione di un'assenza di tali dimensioni nel vissuto evangelico. Questo saggio sopperisce a tale vuoto, mettendo in luce il patrimonio spirituale dei protestanti, espresso particolarmente nella tradizione luterana e riformata. Partendo dai principi fondamentali teologici, il testo ripercorre le riforme liturgiche di Lutero e Calvino, e apre un'ampia finestra sul profondo rinnovamento degli ultimi decenni. La ripresa dello spirito vitale dei riformatori rende oggi la celebrazione liturgica, centrata sulla Parola e la Santa Cena, espressione di una spiritualità protestante fortemente dinamica, che sta allargando il ventaglio delle sue manifestazioni sia personali che comunitarie. Lo dimostrano la riscoperta del canto e della musica, della ritualità e della gestualità, del culto familiare e della confessione privata, il ricorso alla preghiera, al silenzio e alla contemplazione personale, l'esperienza monacale, gli Esercizi e ritiri spirituali, la Liturgia delle Ore. Anche la valorizzazione del corpo e delle emozioni, in ambito liturgico e in incontri comunitari, evidenziano lo sforzo di coniugare in modo innovativo interiorizzazione e manifestazioni esterne, recuperando fortemente anche il senso della festa.
Dalle religioni semitiche al giudaismo e al cristianesimo
Da sempre l’umanità ha inventato rappresentazioni di Dei. Ma l’invenzione non è mai solo un prodotto della fantasia. L’inventare è sempre anche un trovare. Persino le più improbabili invenzioni sono costruite con spezzoni di ciò che si è trovato nell’esperienza effettiva. Che cosa c’è nella stessa esperienza che spinge a concepire qualcosa di “trascendente” che in teoria dovrebbe essere il contrario dell’esperienza? Questo libro delinea una prospettiva ispirata dall’insegnamento di Husserl e di Merleau-Ponty, ma anche di Hegel, di Deleuze e di Pareyson: autori certo non omologabili fra loro ma che in vario modo inducono a pensare il “trascendente” quale proprietà essenziale dell’esperienza, e non come l’“al di fuori” di essa. Giacché l’esperienza è il vissuto del tempo: essa riguarda gli eventi, che non sono semplici fatti perché l’apparire in superficie del fatto lascia trasparire uno sfondo inesauribile il cui spessore dipende dall’intenzione dell’osservatore di andarci a fondo. Il vissuto – in trasparenza – dello sfondo compreso nell’evento, la percezione della sua proprietà “trascendente”, suscita la costruzione di immagini che diventano, fra l’altro, le invenzioni di Dio. L’esperienza dell’evento è l’origine non religiosa della religione.
ALDO MAGRIS è professore di Filosofia teoretica all’Università di Trieste. Presso la Morcelliana ha pubblicato: Il manicheismo. Antologia dei testi (2000); La filosofia ellenistica. Scuole, dottrine e interazioni col mondo giudaico (2001); Nietzsche (2003); Il mito del Giardino di ‘Eden (2008); Trattati antichi sul destino (2009); La logica del pensiero gnostico (2011, 2a ed. riveduta e ampliata); Destino, provvidenza, predestinazione. Dal mondo antico al cristianesimo (2016, 2a ed. riveduta). Ha inoltre curato il volume Confutazione di tutte le eresie di Ippolito (20162).
Nella trilogia "Sfere", Peter Sloterdijk evidenzia l'interesse della teologia speculativa per quella che viene ritenuta la smisurata grandezza di Dio, al quale è assegnato il ruolo di protezione assicurativa per l'anima. Questa funzione, celata in ogni religione monoteistica, costituisce l'orizzonte di significato in cui prendono posto gli esseri umani e il mondo. Alla fine del XIX secolo, la "morte di Dio" priva la fede di forza, di oggetto e di salvezza. Nel suo nuovo libro, Sloterdijk si chiede quali siano state le ripercussioni di questa svolta sulla contemporaneità: una filosofia senza effetti reali? un cambio di mentalità? una diversa capacità di diagnosticare gli accadimenti? Che cosa ne è dell'essere umano, se l'Uno che dà senso alla sua vita non è più Dio ma il mondo stesso? La ricerca si inquadra in una logica di continuità con il lavoro di Sloterdijk sull'età contemporanea come periodo segnato da una complessità e da una complicazione crescenti. Per questa sua natura, essa coinvolge la teologia e la filosofia, la politica imperialistica dell'Occidente, gli influssi degli sviluppi culturali, l'impatto dei progressi scientifici e tecnologici.
Sulla Terra, ogni giorno, miliardi di esseri umani si rivolgono a Dio in cerca di aiuto. Che sia il Dio dei cristiani, quello degli ebrei o quello dei musulmani, che sia una presenza benevola percepita nella natura o che sia un equilibrio cosmico di ascendenza orientale, resta il fatto che moltissime persone - la maggioranza - si rivolgono a Dio offrendo il proprio tempo e le proprie risorse «per provare la gioia di donare gioia». La spiritualità ha un ruolo importante e positivo per i credenti del mondo. Esiste una spiegazione a questo stato di grazia? In questo libro, Boris Cyrulnik, il più noto neuropsichiatra francese, si pone questa domanda cruciale in cerca di una risposta originale. Il tema è immenso e non scevro da valenze politiche in un momento storico come il nostro, nel quale masse di persone compiono crimini efferati proprio in nome di un cieco credo religioso. Ma resta il dato positivo: l'ambiente pacifico, calmo e fiocamente illuminato delle cattedrali gotiche, il cantillare salmodiante delle liturgie ebraiche, la voce rassicurante del muezzin che chiama i fedeli in preghiera sono tutti esempi del lato consolatorio della religione, in cui così tanti esseri umani cercano riparo. Con gli strumenti delle neuroscienze e con i concetti chiave di attaccamento e di resilienza, Cyrulnik ci mostra come la religione sia effettivamente in grado di avere effetti psicoterapeutici, spesso visibili. L'approccio scientifico e psicologico dell'autore porta a comprendere come il cervello del bambino instauri con Dio un rapporto affettivo paragonabile a quello che si instaura coi genitori. Il mondo della mente in via di sviluppo si struttura e nel cervello si scolpisce un sé neurologicamente e psicologicamente legato all'ambiente di crescita, che spesso aiuta, e molto, a combattere le inevitabili avversità della vita. Dio e psicoterapia sembrerebbero dunque alleati, almeno fintanto che Dio viene percepito come un padre buono e accogliente. I problemi iniziano, a livello psicologico e neurologico, quando l'ambiente della crescita presenta ai bambini un Dio vendicativo e intransigente. Proprio come avviene coi padri violenti.
Dio è una misteriosa necessità nel cammino dell'uomo: Gaia Servadio prende le mosse da questa constatazione, e dalle mura dell'antica città siriana di Dura Europos, per intraprendere con la leggerezza e la profondità che le sono proprie un viaggio nella spiritualità attraverso i secoli e i popoli. Sulle rive del Tigri e dell'Eufrate, tra le nuvole che sormontano il Tauro, in mezzo alle rocce del Negev, sui ghiacciai dell'Ararat, in Persia e prima ancora in India, sui monti del Caucaso, sull'altopiano dell'Anatolia, le tante divinità di volta in volta create sono in fondo sempre lo stesso Dio, inteso come espressione di un bisogno - dapprima concreto e poi sempre più spirituale che porta l'uomo a costruire un Essere Superiore. Il Dio che emerge dai bassorilievi e dalle statue, dai dipinti, dalle architetture dei templi, è un Dio che è sempre uguale e che sempre cambia nel tempo e nello spazio, secondo le necessità di chi lo custodisce nel proprio cuore. Con lo spirito della grande viaggiatrice, Gaia Servadio segue dunque le tracce del Viaggiatore per eccellenza. La multiforme identità di Dio si rivela nei luoghi che ora la violenza di una spaventosa guerra di religione prova a cancellare, distruggendo le vestigia di tanta memoria spirituale, artistica, culturale: un patrimonio immenso, che in questo libro è evocato con brio e smagliante curiosità.
"Ma come si possono adorare il legno e la pietra?" si chiedevano i missionari cristiani - e alcuni etnologi - di fronte al mistero delle religioni africane. Quale sia il senso del feticismo, cosa significhi (e implichi) attribuire forza vitale e potenza di senso a quelli che a noi appaiono solo degli oggetti, ce lo spiega Marc Auge in queste pagine, mostrandoci come nel "feticcio" trovi in realtà espressione un'affascinante concezione del rapporto tra cose e persone. Tra materia e vita, tra uomini e divinità, tra morti e viventi, sostiene un sacerdote del Benin, non c'è soluzione di continuità, come non c'è tra un individuo e un altro. Il feticismo, quindi, come chiave paradossalmente attuale per comprendere non solo un sistema di pensiero apparentemente molto lontano dal nostro, ma per intuire anche molte questioni al centro della riflessione delle scienze umane sulla surmodernità: la crisi del soggetto, la frammentazione dei confini tra categorie e relazioni. Nella postfazione Nicola Gasbarro - che ha tradotto e curato il volume ricostruisce il quadro teorico della riflessione di Auge, tracciando le coordinate dell'incrocio inevitabile tra antropologia e storia delle religioni.