«Dai miei ricordi dell'infanzia e della giovinezza ho tratto emozioni e memorie che mi hanno commosso. Dalla mia vita di medico ho cercato di trarre spunti per riflessioni sulla vita stessa, sulla scienza, sul significato di essere medico e di essere medico cattolico». Il grande neurochirurgo Giulio Maira si racconta in queste pagine come in un intimo diario. Un viaggio che attraversa tanti anni dall'infanzia alla maturità, ripercorrendo le esperienze più importanti, l'intreccio di scienza e vita, la fede, l'incontro con le suore di Madre Teresa, i personaggi conosciuti, i pazienti eccellenti (come Gian Carlo Menotti, Francesco Cossiga, Giulio Andreotti, Oscar Luigi Scalfaro), l'amicizia e la collaborazione con Rita Levi Montalcini. In "Le farfalle dell'anima" (un omaggio a Ramón y Cajal e a come lui definiva i neuroni) ritroviamo una vita intera spesa per la medicina e per la scienza intesa come servizio per il prossimo. Un concentrato di umanità che scaturisce dal prendersi cura di qualcuno che soffre e che si trova in un momento di debolezza fisica e psicologica. La sua testimonianza originale è anche un tentativo di far capire ai più giovani che ogni lavoro va affrontato con passione e coraggio: mai essere tiepidi di fronte alle scelte importanti. Mettiamo in campo «cuore e coraggio».
Ludovico Maria Sforza detto "il Moro" (1452-1508) fu un personaggio di primo piano nella politica e nella cultura del suo tempo. La scalata al potere dello Sforza, la sua personalità e i suoi progetti in campo culturale e artistico sono all'origine dello splendore della corte milanese a fine Quattrocento. Da cadetto destinato a un profilo politico minore, diventò il settimo duca di Milano grazie a una strategia abile, paziente e talvolta spregiudicata, rimuovendo insidie e ostacoli provenienti da molti avversari e nemici. Tra coloro che cercarono di chiudere la strada alle sue ambizioni, l'ultimo e fatale fu Luigi di Orléans, che nel 1495 lo contrastò in Lombardia e nel 1500, diventato re di Francia, lo sconfisse e lo relegò in una prigione presso Tours, dove restò fino alla fine dei suoi giorni.
Nulla mancava alla Germania di Hitler per costruire una bomba atomica, e sarebbe stata la prima della storia. C'era il sostegno delle alte gerarchie naziste, c'era l'appoggio della casta militare, c'erano i laboratori e gli impianti industriali meglio attrezzati d'Europa e c'era infine un gruppo di scienziati guidati dal genio della meccanica quantistica Werner Heisenberg, premio Nobel per la Fisica nel 1932 che, pur ricevendo proposte dalle migliori università e dai più prestigiosi istituti di ricerca del mondo, si rifiutò di lasciare il suo Paese. Perché allora non ci fu un'atomica nazista? Una risposta a questa domanda è ben nota: Heisenberg e gli altri scienziati tedeschi sbagliarono i calcoli e sostennero che il piano avrebbe richiesto troppi anni di studi, un'enorme quantità di uranio e sarebbe rimasto comunque di difficile realizzazione. Di fronte a questo scenario, i gerarchi nazisti avrebbero optato per altre strategie. Ma Heisenberg era stato sincero? Aveva davvero creduto che la bomba rappresentasse una possibilità tecnicamente irrealizzabile? Sono le domande che ispirano il lavoro investigativo di Thomas Powers, premio Pulitzer che ha dedicato anni di ricerca a seguire le pur labili tracce lasciate dallo scienziato tedesco, recuperando relazioni ufficiali e documenti segreti, ricostruendo conversazioni private con colleghi e amici, cercando di ricomporre la personalità, le idee morali e politiche di questo gigante della Fisica del Novecento, e smontando una fittissima trama di false accuse, fraintendimenti, reticenze. Come e forse più ancora che nel caso di Oppenheimer, la storia segreta dell'atomica nazista s'interseca con le vicende personali di alcuni tra i più grandi scienziati del secolo scorso: oltre allo stesso Heisenberg e a Robert Oppenheimer, Niels Bohr, Victor Weisskopf, Enrico Fermi, Max Born e molti altri. A rendere la vicenda ancor più intricata è la presenza, accanto agli scienziati e a volte a loro insaputa, dei servizi segreti, che svolsero opera di disinformazione, attivarono reti di spionaggio, progettarono missioni omicide. Questo libro, molto discusso fin dalla sua prima edizione americana nel 1993, propone una ricostruzione profonda e convincente degli avvenimenti legati al progetto dell'atomica nazista e del ruolo di assoluto protagonista giocatovi da Heisenberg stesso. Con lo stile incalzante dello scrittore di spy stories e con il talento del giornalista investigativo, Thomas Powers affronta uno dei capitoli più oscuri e misteriosi del Novecento. Prefazione di Stefania Maurizi.
In tutte le raffigurazioni è l'uomo dalla faccia dimezzata, da quando, nemmeno trentenne, un occhio e la radice del naso li aveva perduti per un colpo di lancia ricevuto durante una giostra. Nella storia del Rinascimento italiano, Federico da Montefeltro, duca di Urbino, è il più stimato e strapagato condottiero, circondato dalla fama per non aver perso (quasi) mai una battaglia. Intelligente, coltissimo, ottimo stratega, bravo statista, abile diplomatico, scaltro (ma sempre elegante) curatore dei propri interessi, assieme al suo grande amore, la giovanissima e affascinante seconda moglie Battista Sforza, Federico riuscì a trasformare la corte del Montefeltro in uno dei centri della cultura e della politica italiane. Ma come ogni vita avventurosa che si rispetti, anche quella di Federico fu costellata da intrighi e misteri mai del tutto risolti: come riuscì da figlio 'bastardo' a impadronirsi del potere? Che ruolo ebbe nella famosa 'congiura dei Pazzi'? La vita incredibile di uno dei personaggi più significativi del Rinascimento italiano.
Don Peppino Diana era soltanto un giovane prete, affamato di vita. Né cercava la morte né desiderava il martirio. Don Peppino non è stato un funzionario del sacro, un asettico distributore di sacramenti e di certificati, un burocrate della religione, un indifferente celebrante di morti ammazzati. Non ha accettato di tollerare i soprusi, le intimidazioni e la paura che la camorra imponeva a Casal di Principe e non solo. Annunciando il Vangelo in una terra di omicidi e violenza come prete non ha mai potuto predicare la rassegnazione. In una realtà dove la camorra pretendeva di cogestire il sacro e anche di finanziarlo, di governare e controllare bisogni e diritti, don Peppino ha semplicemente offerto la testimonianza sacerdotale che non era possibile nessuna intesa tra chi uccideva e pretendeva di essere il padrone del mondo e un cristiano, tanto più un prete. Don Peppino aveva il senso della missione in quanto parroco al quale è affidato un popolo e per quel popolo mette in conto la propria vita. Non dunque l'eroismo dei super uomini, ma la testimonianza di un semplice uomo, incarnato in una storia comune ma che non ha trovato scuse per tacere e ha cercato di capire cosa andasse fatto in quel luogo e in quel momento.
Il 3 agosto del 1924 moriva a Bishopbourne, un piccolo e tranquillo villaggio dell'Inghilterra meridionale, Józef Teodor Konrad Korzeniowski, ovvero Joseph Conrad, uno dei più grandi scrittori della modernità. Unico erede di una famiglia aristocratica polacca, quasi cinquant'anni prima aveva lasciato il suo Paese per sfuggire alla polizia zarista e per inseguire il sogno romantico di una vita sul mare. Si era imbarcato a Marsiglia e aveva navigato per vent'anni. Questa vita avventurosa, sempre a contatto con il lato più selvaggio e imprevedibile della natura e degli esseri umani, trovò poi forma, trasfigurata, in capolavori come "La linea d'ombra", "Cuore di tenebra", "Lord Jim", "Tifone". Con lui si viaggia dall'arcipelago malese al Centro America, dal cuore del continente africano a cupe atmosfere londinesi, leggendo storie che hanno affascinato generazioni di lettori, coinvolgendo i più giovani per il senso dell'avventura e del mistero e i più adulti per la profondità e la molteplicità di punti di vista interpretativi e narrativi. Questa biografia, intrecciando vita e opere, ne porta in piena luce aspetti coinvolgenti e intramontabili: il confronto con la natura e con la storia, la solitudine e le responsabilità dell'uomo, l'amore per la libertà e l'avversione per ogni totalitarismo.
Questa è la storia di Franco Basaglia, nato nel 1924, figura rivoluzionaria che ha dimostrato che i 'pazzi' potevano vivere fuori dagli istituti e che ha lottato per il superamento degli ospedali psichiatrici. Ma è anche la storia di Rosa, coetanea di Basaglia, una giovane donna nata e cresciuta non lontano da lui, che viene investita da un'auto e che da quel momento combatte con le crisi epilettiche e con la malattia mentale. Rosa per tutta la vita affronta il manicomio, l'elettroshock, l'uso massiccio di psicofarmaci, l'assenza di diritti civili, lo stigma. «Cento giorni che non torno», ripete a una delle figlie che la va a trovare in manicomio di nascosto, perché una madre internata è una vergogna. Le due vite di Franco e Rosa corrono parallele in un secolo in cui l'approccio alla malattia mentale cambia profondamente. Con l'approvazione della legge 180 si apre una stagione di speranze, ma l'iniziale entusiasmo lascia spazio presto alla lotta delle famiglie con servizi pubblici sottodimensionati, alla preoccupazione per i Tso violenti, alla diffusione di un 'manicomio chimico'. Valentina Furlanetto ci accompagna, con la lucidità della cronista e la sensibilità della scrittrice, in un viaggio tra dolore, vergogna, voglia di libertà.
«L'uomo della comunicazione televisiva non ha retto al declino del suo medium principe. L'irruzione di internet e di chi se ne è impossessato per primo, Beppe Grillo, lo ha scalzato dalla centralità politica.» Silvio Berlusconi è stato un attore centrale della vita politica dell'Italia contemporanea. Non solo ha governato direttamente per quasi dieci anni, e partecipato per altri quattro a larghe coalizioni: ha anche influenzato, e persino modellato, il costume degli italiani, prima attraverso le sue televisioni, e poi dal palco della politica. Berlusconi ha reso egemonica una visione del mondo originale, frutto della sintesi di antiche pulsioni qualunquiste e iper-moderate con prospettive scintillanti di cambiamento e modernità. Questo lavoro individua le ragioni del successo al momento della sua «discesa in campo» e ripercorre le successive, alterne, vicende contrassegnate da trionfi, cadute e risalite. E dimostra come il suo declino sia in connessione tanto con l'irruzione del M5S, che insiste con diversa tonalità e maggiore credibilità sul medesimo spartito anti-politico e scarta la televisione a favore di internet, quanto con l'emergere di una generazione ben più giovane di politici, sia al suo fianco sia all'opposizione.
«Ci sono pochi sovrani di cui si deve scrivere la storia» (Voltaire). Tra questi, certamente Maria Teresa. Durante il suo lungo regno, dal 1740 al 1780, l'Austria, terra cattolica abitata da tedeschi, italiani, slavi e magiari, guadagnò una nuova collocazione sullo scacchiere europeo. L'imperatrice seppe mobilitare la famiglia come risorsa per le strategie della Casa d'Asburgo: i matrimoni dei figli e delle figlie divennero strumenti di alleanze diplomatiche. Il suo mito, dalla fine dell'Ottocento ai nostri giorni, molto racconta delle culture politiche dei paesi dell'Europa centrale.
Vladimir Lenin, fondatore dell'Urss, per volontà di Stalin è stato esposto alla venerazione dei cittadini nel mausoleo della Piazza Rossa, e ha vegliato sui popoli del blocco sovietico attraverso migliaia di occhi di pietra o bronzo di altrettanti monumenti. Ma cosa è accaduto dopo il 1989? Il corpo, perduta l'aura della reliquia, è rimasto in mostra a Mosca, davanti al Cremlino, e le statue sono state in gran parte cancellate. Una vicenda esemplare per comprendere la complessità dei fenomeni iconoclastici. La pratica di tirare giù Lenin dal suo piedistallo ha riguardato tutto lo spazio post sovietico e, in Ucraina, ha assunto contorni talmente importanti da essere indicata con il termine Leninopad: il più grande movimento d'iconoclastia del Novecento, esploso prima ancora delle proteste che, più di recente, abbiamo visto in Gran Bretagna o negli Stati Uniti. A un secolo dalla morte di Lenin, Antonella Salomoni ne racconta ascesa e declino attraverso la storia del suo corpo e delle sue immagini: innalzate, rispettate e poi rimosse, distrutte, vandalizzate, reinterpretate come simbolo di sottrazione al colonialismo russo, e persino ricollocate sui piedistalli dagli occupanti durante la guerra in Ucraina. Un libro sulla memoria imposta e poi sovvertita, che va al cuore delle inquietudini del mondo contemporaneo.
La forza di queste pagine, che compongono il ritratto a figura intera di una protagonista della grande stagione della lotta alla mafia - intesa essenzialmente come lotta per smascherare il legame profondo in Italia tra criminalità e potere; mafia, massoneria, servizi deviati e destra eversiva - sta nella loro capacità di offrire al lettore occhi per ripercorrere oltre quaranta anni tragici e straordinari. Sono gli anni di Chinnici e Caponnetto, di Falcone e Borsellino, del pool antimafia e del palazzo dei veleni di Palermo, dei processi a carico di protagonisti della politica, del caso Luigi Ilardo, della caccia ai grandi boss e delle azioni che per troppo tempo ne hanno impedito la cattura. Teresa Principato ha visto e vissuto tutto in prima persona, da protagonista, e ha deciso attraverso questo libro autobiografico per la prima volta di mettere a disposizione dei lettori la sua memoria storica. Una memoria che parte dagli anni giovanili, in una Sicilia patriarcale e sessista che ha lasciato un segno indelebile nella storia personale e professionale dell'autrice. Siciliana è il racconto sincero e senza filtri di una donna tenace e rigorosa, che ha combattuto per la giustizia, per onorare il suo lavoro e la memoria di amici e colleghi barbaramente uccisi, per essere semplicemente sé stessa, in un ambiente tutto maschile e machista, capace di cattiverie spietate.
Bruno Piazza, avvocato triestino di origine ebraica, arrivò ad Auschwitz il 3 agosto 1944, dopo essere stato detenuto nella Risiera di San Sabba. Nonostante l'età relativamente avanzata che l'avrebbe dovuto condannare all'immediata esecuzione, riuscì a sopravvivere al Lager e a vergare poi, in uno stile asciutto e perciò vividissimo, uno straordinario memoriale. Perché gli altri dimenticano è un resoconto dettagliato e senza sconti dell'esperienza del campo di sterminio, scritto da un uomo arrivato sulla soglia dalla morte, fin dentro la camera a gas, e quasi per miracolo tornato alla vita. Senza retorica, questo libro nato come eccezionale atto d'accusa, tra i primi memoriali italiani della Shoah, è oggi un documento imprescindibile, dall'assoluto valore. Presentazione di Giuseppe Altamore.