"In un'afosa giornata di luglio dell'anno 1505 un viaggiatore solitario avanzava a fatica sulla strada riarsa alle porte del villaggio di Stotternheim in Sassonia. Era un giovane, basso ma tarchiato, vestito da studente universitario. Mentre si avvicinava al villaggio, il cielo si rannuvolò... Un fulmine squarciò l'oscurità... Quell'uomo era Martin Lutero". È con queste parole che inizia la biografia dell'uomo che, accusando la Chiesa di essere corrotta e identificando i Papi con l'Anticristo, avrebbe frantumato l'edificio del cattolicesimo medievale, dando il via alla Riforma protestante e modificando per sempre il corso della Storia. Dalle prime inquietudini interiori alla polemica contro le indulgenze, alla scomunica, alla definitiva separazione della Chiesa protestante da quella romana, Bainton delinea, con un linguaggio chiaro e un tono divulgativo, gli sviluppi della vicenda umana e religiosa del monaco agostiniano senza perdere mai di vista i grandi eventi politici, culturali, economici e sociali del tempo. Questo testo, ormai classico, ricostruisce con un racconto vivace e appassionato la figura e la vita di Lutero attraverso la storia del suo percorso religioso pieno di paure, fatiche, entusiasmi, tempeste. Introduzione di Adriano Prosperi. Prefazione di Delio Cantimori.
L'11 marzo 1927 Alcide De Gasperi fu fermato dalla polizia alla stazione di Firenze per un controllo dei documenti. Con la moglie Francesca Romani, era in procinto di prendere un treno diretto a Trieste. Scoperto in possesso di documenti scaduti, venne arrestato e condannato dal regime fascista con l'accusa di espatrio clandestino. Nei mesi di prigionia, De Gasperi scrisse alla moglie, alla primogenita Maria Romana e agli amici le sessanta lettere ripubblicate in questo volume. Sono missive che lasciano trapelare lo sconforto dei momenti più duri, il bisogno di speranza da infondere a se stesso e ai propri cari, il coraggio di una fede religiosa e di ideali politici che restano saldi malgrado le avversità. Sebbene sorvegliate dalla censura del regime, le parole di De Gasperi non perdono una spontaneità che intenerisce e commuove. Quello che emerge è il profilo di un uomo integro, giusto, innamorato della famiglia, del proprio paese e della vita. Un uomo che crede fermamente nelle sue convinzioni, pur non immaginando il ruolo di straordinaria importanza che sarà chiamato a esercitare nel secondo dopoguerra. Rileggere le Lettere dalla prigione significa riscoprire una pagina del passato che non appartiene solo a De Gasperi o all'epoca in cui si è svolta, ma ha pervaso di sé l'intera storia nazionale fino ai nostri giorni.
János Esterházy (1901-1957) è stato uno dei grandi protagonisti e testimoni della tormentata storia dell'Europa nel corso della prima metà del XX secolo. Figlio di una nobile famiglia ungherese, interpretò tutta la sua vita pubblica al servizio dei propri connazionali residenti fuori dai confini del loro Stato. Operò in ben cinque sistemi politici, del tutto incompatibili tra loro: nacque sotto la monarchia austro-ungarica, visse nella democrazia cecoslovacca istituita al termine della Prima guerra mondiale, conobbe il breve periodo dello Stato autoritario ceco, poi lo Stato slovacco condizionato e addirittura succube del totalitarismo nazista. Infine, fu vittima del sistema sovietico, fu deportato in Siberia, tornò in Cecoslovacchia e morì in carcere sotto il regime comunista che dominava quel Paese con pugno di ferro. In tutte queste successive stagioni mantenne fede ai valori che costituivano per lui un patrimonio irrinunciabile: la dignità di tutti gli esseri umani, la giustizia, la pace e l'altissima ispirazione della sua fede di cristiano cattolico.
Parlare di Paolo Borsellino come di uno degli eroi della lotta alla mafia gli fa onore, ma rischia di mettere in ombra la singolare statura professionale, umana e spirituale di questo testimone, allo stesso tempo, del coraggio civico e di una fede profonda e vissuta con totale coerenza. Anche facendo ricorso a documenti inediti e a interviste con testimoni qualificati, l'autore mostra che il movente ultimo dell'uccisione di Borsellino è da ricercare nelle sue indagini sul territorio e nell'individuazione delle alleanze e delle complicità che Cosa nostra aveva intessuto con la borghesia mafiosa e con la grande imprenditoria siciliana e nazionale. Alleanze e complicità che erano anche al centro delle investigazioni di Giovanni Falcone e che ne avevano causato la morte. Ma la lettura delle azioni e delle parole di Borsellino durante l'ultimo periodo della sua vita porta a legare il movente della sua uccisione anche alla religiosità del magistrato: egli viene ucciso perché è un cristiano che vive nella storia quella fede su cui ha intessuto la sua esistenza.
In una chiesa parata a festa, un uomo piange dietro una colonna. Alto e magro, è un ragazzo, accanto a lui una bambina sembra consolarlo. Sta per sposarsi, ma quelle lacrime non esprimono paura, bensì il timore di non poter offrire alla sua Lucia il matrimonio che si merita. Dentro di lui arde il fuoco della recitazione, vuole andare a Roma e cercare di dimostrare che può fare l'attore e avere successo, e poi tornare a prendere Lucia e il figlio che ha in grembo. Per tutta la vita, Lando Buzzanca ha vissuto questo dualismo: da una parte, il suo furore per il set, per il desiderio di calcare le scene, dall'altra la passione per l'unica donna che abbia mai amato. Severo in famiglia, sorridente, sfacciato, impertinente quando recitava. Dal provino per Gassman, ai grandi ruoli per Germi, De Sica, Festa Campanile e molti altri, ha lavorato con il Gotha del cinema italiano, spesso incarnando la figura del tipo maschio italico, superdotato e spaccone. Ma chi era veramente Gerlando Gigi Buzzanca? In questa auto barra biografia, il figlio Massimiliano racconta l’uomo dietro all'attore, il padre oltre che l'artista, rivelando aneddoti e ricordi che solo chi è cresciuto al suo fianco e ne ha visto forze e debolezze può svelare, spiegando anche ciò che ha voluto dire essere "il figlio di Lando Buzzanca".
La scoperta della tomba di Tutankhamon nel 1922 scatenò l’immaginazione di tutto il mondo. Mentre Howard Carter ne svuotava i tesori, la mania verso il faraone attanagliava il pianeta e, per molti versi, non è ancora cessata. Ma chi era il re bambino e com’era veramente la sua vita? Garry J. Shaw racconta la storia completa del regno di Tutankhamon e la sua moderna riscoperta. Come faraone, Tutankhamon dovette gestire un impero, destreggiarsi tra cortigiani influenti e soffrire per la perdita di almeno due figli, il tutto prima del suo diciannovesimo compleanno. Shaw esplora i tesori e i beni del re bambino, da una ciocca di capelli della nonna a una canna tagliata con le sue mani. Si sofferma anche su Ankhesenamun, la moglie di Tutankhamon, e sul potere che le regine detenevano. Si tratta di una nuova biografia avvincente che intreccia dettagli intriganti sull’antica cultura egizia, sulle sue credenze e sul suo posto nel mondo.
Per otto anni sull'uccisione di Giancarlo Siani, avvenuta il 23 settembre del 1985, cala il silenzio. Il movente è "chiaro" fin dall'inizio, molto scomodo individuarlo davvero. A quarant'anni da uno dei più efferati delitti mafiosi avvenuti in Italia, questo libro è un contributo alla memoria da parte di chi ha lavorato in via Cosenza n. 13, a Castellammare di Stabia, la stessa redazione del Mattino dove ha operato Siani. È il racconto dell'impegno di un ristretto gruppo di giornalisti, il "pool Siani", che ha inseguito la verità a partire dal 1993, quando alla direzione del quotidiano arrivano un maestro di comunicazione, Sergio Zavoli, e Paolo Graldi, geniale esperto di mafia e terrorismo, entrambi non napoletani. Comincia sotto la loro guida una lunga inchiesta parallela a quella della magistratura, tra silenzi impenetrabili e piste inesplorate: Siani lasciato solo in "terra nemica"; un manoscritto, in procinto di essere pubblicato, fatto sparire; la paura che lo divora poche ore prima di essere ucciso, quando invano cerca di essere scortato a casa. Piste decisive se imboccate subito, destinate a essere percorse a metà a distanza di otto anni dal martirio laico di un cronista ventiseienne, senza contratto, armato soltanto del proprio coraggio.
Questo libro torna a interrogarsi sul senso profondo di un evento centrale nella storia italiana ed europea del Rinascimento, il passaggio di Firenze dalla repubblica al principato nel bel mezzo delle Guerre d'Italia, mettendo in dialogo la dimensione dello scontro ideologico con quella dell’effettiva azione politica
Alessandro de' Medici fu l'uomo che pose fine alla Repubblica di Firenze e il primo a inaugurare due secoli di dominio della dinastia medicea sulla Toscana. La sua ascesa fu imposta con le armi dal papa e dall'imperatore a una città tenacemente decisa a difendere la propria libertà, capace di resistere per dieci mesi a un terribile assedio. Per questo motivo è stato sempre rappresentato come l'uomo che diede inizio alla decadenza dell'Italia. Ma la leggenda nera che grava sul "tiranno fiorentino" trova conferma nella storia o è stata un'abilissima costruzione dei suoi oppositori politici? Cosa aveva fatto Alessandro per meritare l'epiteto di tiranno?
Se una giornalista torna in una bara da un paese in guerra, sicuramente sarà stata uccisa perché aveva fatto uno scoop, se invece dopo essere stata rapita torna a casa viva, beh, allora se l'era andata a cercare. Giuliana Sgrena se l'è andata a cercare raccontando la violenza e la sopraffazione nei più importanti conflitti degli ultimi trent'anni, dando al giornalismo di guerra anche un punto di vista femminile.
Giuliana Sgrena è stata per quasi trent'anni inviata speciale in tutti i maggiori conflitti: dall'Algeria all'Iraq, dalla Somalia all'Afghanistan, dalla Siria all'Eritrea. I suoi articoli hanno raccontato un mondo dove la guerra stava tornando a essere non più un’eccezione ma la normalità. Dove regimi autoritari reprimevano e violentavano i propri popoli, dove gli stati fallivano, dove gli interventi di peacekeeping dei paesi occidentali si risolvevano in fallimenti e fughe precipitose. Si è esposta in prima linea per svelare le grandi falsificazioni dei governi e dei giornalisti embedded: dalle violenze commesse da chi avrebbe dovuto esportare la democrazia ai traffici osceni che ogni guerra porta con sé. A emergere in questo libro sono soprattutto gli incontri con donne e uomini straordinari, o il ricordo di colleghi, come Ilaria Alpi e Maria Grazia Cutuli, che hanno pagato con la vita la loro volontà di testimonianza. E, naturalmente, c'è il peso che tutto questo lascia nella propria esistenza: per Giuliana soprattutto il rimorso per la morte di Nicola Calipari, colui che l'aveva liberata dal sequestro di un gruppo islamista in Iraq e che venne ucciso da un soldato americano sull'auto che li stava portando all'aeroporto di Baghdad. Per anni, alla sindrome del sopravvissuto si è accompagnata l'accusa, da parte del mondo tutto maschile del giornalismo di guerra, di "essersela andata a cercare", perché una donna non avrebbe dovuto essere lí. E questo libro è proprio la rivendicazione, con orgoglio, di una vita spesa da donna in prima linea.
Sembra che l'esistenza di ogni essere umano si giochi su un totale di dieci minuti, la somma di quei fatidici istanti in cui nelle nostre vite succede qualcosa di decisivo. Questo libro è la storia dei dieci minuti di un uomo che da quando ha avuto coscienza di sé ha sempre desiderato una cosa soltanto: il dominio. Una biografia dunque? Semmai una ballata, vorticosa e trascinante, picaresca, onirica, graffiante eppure terribile. Narrata dalla voce inconfondibile di Stefano Massini, che con "Lehman Trilogy" ha portato per la prima volta un italiano al trionfo negli Stati Uniti, ecco l'odissea inesorabile di un bambino che diventa ragazzo d'oro e poi imprenditore senza scrupoli, fino all'attimo esatto in cui decide di indossare la maschera che tutti, oggi, conosciamo come Donald J. Trump. Si può narrare l'uomo più potente della terra come lo farebbe un cantastorie dei secoli passati, intrecciando la storia e la leggenda, la cronaca e il mito, l'orrore e la parodia? Nel raccontare la vita del suo ingombrantissimo, esagerato, predestinato protagonista, Stefano Massini parte dal principio: una famiglia di origini tedesche, un vialetto curato che attraversa un prato tagliato perfettamente, una casa immersa nella quiete idilliaca del Queens. Per stemperare la leggenda nell'umorismo e sabotare la mitologia con il sarcasmo, la parola incantatrice di Massini scende nei dettagli infinitesimali e li annoda alla traiettoria di un'esistenza affollata di personaggi: i genitori, il preside, l'autista, la Golden Wife. E poi l'avvocato, colui che di Donald annusa il potenziale e per primo ne percepisce il fluido, che gli insegna il disincanto e l'utilitarismo. Che lo spinge verso il successo, fino alla conquista di New York, fino alla torre più alta di tutte che porta il suo nome. Nel mondo, intanto, la storia continua a scorrere: i discorsi incendiari di Malcolm X, Lee Oswald che esce di casa armato di fucile, Elvis Presley e Frank Sinatra, Muhammad Ali che vola come una farfalla... Ma mentre accade tutto questo, i nostri occhi sono rivolti esclusivamente alle avventure di quel ragazzo con la pelle arrossata e i capelli biondi che velocemente diventa uomo, si fa chiamare «Golden Boy», seduce le ragazze e non rispetta l'autorità degli altri. Accarezziamo l'erba dei campi da baseball dove gioca, lo vediamo indossare il primo vestito elegante e salire su una Cadillac, lo scortiamo lungo la sua scalata trionfale del mercato immobiliare... Finché vediamo prendere forma l'ultima grandiosa idea: la politica come "exit strategy". Al disastro finanziario, all'inattualità, alla vecchiaia, forse alla morte. Stefano Massini ha scritto la "chanson de geste" di un personaggio opaco, inafferrabile, che fa della menzogna un'arte e del successo un'ossessione. Ecco a voi la storia dei dieci minuti cruciali e delle fatalità che hanno reso Donald J. Trump l'antieroe del secolo scorso e il grande terrore del millennio appena iniziato.