Con questa raccolta di racconti, George Saunders è stato consacrato uno dei migliori autori di short stories degli Stati Uniti di oggi. Per il suo talento comico e visionario è stato paragonato di volta in volta a Vonnegut, Pynchon, Twain, ma la sua è anche una scrittura profondamente critica rispetto alla società contemporanea. Il mondo di Saunders si configura così come una versione "alterata" del nostro, in cui il consumismo, la potenza dei media e dei messaggi pubblicitari, la cultura dello spettacolo vengono elevati all'ennesima potenza e condotti alle loro più estreme, e tragicomiche, conseguenze. Il risultato è una realtà deformata in cui le normali esperienze umane, dal portare il nipotino a teatro al cuocersi una bistecca (per non parlare dell'innamorarsi, fare un figlio e crescerlo), diventano piccoli incubi nell'universo della burocrazia e del mercato globale, e viceversa personaggi da soap opera, sacchetti di patatine e scimpanzé da laboratorio acquistano una vita autonoma tutta loro. Al centro di questo originalissimo e scatenato teatro dell'assurdo c'è quindi l'esigenza di riaffermare l'importanza del libero pensiero e dei rapporti autentici fra le persone. "Nel paese della persuasione" è una lettura esilarante ma anche un invito alla riflessione e al cambiamento politico.
Nel 1946 furono molti i cronisti che accorsero in Germania per raccontare quel che restava del Reich finalmente sconfitto, ma dal coro di voci si distinse quella di uno scrittore svedese di ventitré anni, intellettuale anarchico e narratore dotato di una sensibilità fuori dal comune, inviato dall'Expressen per realizzare una serie di reportage poi raccolti in un libro che è considerato ancora oggi una lezione di giornalismo letterario. Mentre le testate di tutto il mondo offrono il ritratto preconfezionato di un Paese distrutto, che paga a caro prezzo gli orrori che ha seminato e dal quale si esige un'abiura convinta, Dagerman, libero da ogni pregiudizio ideologico e rifiutando ogni generalizzazione o astrazione dai fatti concreti e tangibili, si muove fra le macerie di Amburgo, Berlino, Colonia, su treni stipati di senzatetto e in cantine allagate dove ora vivono masse di affamati e disperati, cercando di capire nel profondo la sofferenza dei vinti. Ne emerge un quadro molto più complesso di quello che è comodo figurarsi. Mentre ci si accanisce a cercare nostalgici nazisti, Dagerman si chiede come può un padre che vede morire il figlio di stenti dichiarare che ora sta meglio di prima; mentre le potenze occupanti pensano a punire e ad allestire processi, Dagerman descrive la «messinscena» di una denazificazione di facciata e la morte spirituale di un Paese che è troppo impegnato a lottare ogni giorno con la morte per riflettere sui propri errori, perché «la fame è una pessima maestra» per educare i colpevoli. Con il suo acume analitico e la sua empatia capillare, Dagerman scava nelle contraddizioni della Germania postbellica offrendoci un manifesto di accusa contro tutte le guerre, e una riflessione amaramente attuale sul potere, la giustizia e lo Stato. Con un contributo di Giorgio Fontana.
Di Arrigoni Giuseppe ce ne sono tanti a Bellano, un paese sul lago di Como. Impossibile conoscerli tutti. Anche nella vita di Eraldo Bonomi, operaio tessile del locale cotonificio, ce ne sono troppi. E sarà proprio un Arrigoni Giuseppe a segnare il suo destino, dove brillano l'amore per la bella Elena e la militanza nel PSIUP. Il colpo di fulmine per Elena fa del Bonomi un uomo pericoloso, che sfiora segreti, scopre altarini, esuma scheletri nascosti negli armadi di una provincia che sembra monotona, in quei paesi dove l'omonimia può essere fonte di equivoci ma anche, a volte, il viatico verso la libertà.
In questo romanzo i personaggi sono tanti. C'è per esempio il Crociati, un esperto cacciatore che non ne becca più uno. C'è Luigina Piovati, meglio nota come l'Uselànda (ovvero l'ornitologa...). C'è Eufrasia Sofistrà, in grado di leggere il destino suo e quello degli altri. C'è persino una vecchina svanita come una nuvoletta, che suona al pianoforte l'Internazionale mentre il Duce conquista il suo Impero africano... Ci sono soprattutto, ad animare la quiete di quegli anni sulle rive del lago, quattro gagà, che come i "Vitelloni" felliniani mettono a soqquadro il paese. E c'è la sorella di uno di loro, la piccola, pallida, tenera Filzina, segretaria perfetta che nel tempo libero si dedica alle opere di carità e che, come molte eroine di Vitali, finirà per stupire. Ci sono naturalmente anche molti di quei caratteri che hanno fatto la loro comparsa nei precedenti romanzi: il prevosto, il maresciallo maggiore Ernesto Maccadò, il podestà e la sua consorte, Dilenia Settembrelli, la filanda con i suoi dirigenti e operai. Hanno un ruolo importantissimo anche i gatti e i piccioni di Bellano, e si sentono la breva e la neve gelata che scendono dai monti della Valsassina e naturalmente si respira l'aria del lago.
"Fiori sopra l’inverno" di Ilaria Tuti è un esordio letterario coinvolgente e straripante di bellezza per come questa scrittrice friulana tratteggia la sua protagonista piena di rabbia e tenerezza, coinvolta in ogni suo caso fino al midollo. Teresa Battaglia è un commissario di polizia. Di esperienza ne ha tanta alle spalle, ma stavolta si rende conto che qualcosa di diverso sta accadendo, qualcosa che potrebbe sconvolgere per sempre la sua esistenza. Teresa Battaglia è vicina alla pensione, combatte contro il diabete e i primi sintoni di un Alzheimer precoce. Questa guerriera sovrappeso e piegata dalla fatica, intensa come solo chi ha sofferto davvero può essere, si trova a dover fare un nuovo profiling di un assassino, ma la sua mente ha cominciato a tradirla sempre di più ed a tratti perde la lucidità. L’unica cosa che riesce a percepire, forte e chiara, è la sensazione di paura e di pericolo che si avvicina sempre di più a lei e le strazia l’anima. Nei boschi tra le vicine montagne è accaduto qualcosa di tremendo e Teresa sente che quello è solo l’inizio di qualcosa di tremendo. Un assassino si aggira tra le sue montagne e il commissario di Polizia Battaglia deve fare del suo meglio per rimanere lucida e salvare più vite possibile. Ne vale la pena. Per sopravvivere a se stessa e alla sua dignità. "Fiori sopra l’inverno" di Ilaria Tuti è un thriller forte e appassionante, dove il ritmo dei passi che si incamminano sopra le montagne rocciose tiene il lettore incollato alla pagina.
"Canne al vento" (1913) - il romanzo probabilmente più famoso di Grazia Deledda - rivela appieno una spiccata attitudine dell'autrice per la penetrazione psicologica e l'analisi socio-culturale dei drammi profondi che tormentano e talora sconvolgono le coscienze umane. La vicenda è ambientata nella terra d'origine e narra un'intensa storia d'amore immersa in un mondo quasi primordiale e mitico, ove le passioni umane sono dominate da un forte senso del peccato e da un'inesorabile fatalità. Fra tardo verismo e decadentismo, con un'impronta del tutto originale e straordinariamente suggestiva, la scrittura della Deledda mostra ancor oggi tutta la sua sapiente capacità di evocare i drammi senza tempo della mente umana.
I racconti dickensiani mettono in scena una famiglia raccolta, il desiderio di stare insieme, l'amore per le cose semplici, ma preziose in un mondo popolato da fate, spiriti, folletti e creature fantastiche che portano l'uomo in una dimensione surreale, ma vissuta in maniera totalmente realistica. Come nei romanzi, anche qui l'autore svela l'altra faccia dell'Inghilterra del suo tempo, quella del malessere sociale e l'immensa e caotica metropoli con le sue case fatiscenti e le sue strade degradate. Il tono non è però mai totalmente cupo e lascia spazio al sorriso o alla risata liberatoria, al comico e al grottesco. Nei suoi racconti, Dickens disegna le sue grandi utopie natalizie facendo spesso ravvedere gli indifferenti e i malvagi e regalando così al suo lettore l'atteso lieto fine.
"La leggenda del santo bevitore" di J. Roth va ben al di là di una semplice novella, si presta a una lettura più profonda, a molteplici livelli: un racconto che può definirsi al contempo favola drammatica, saggio sulla vita, opera religiosa e manifestazione di fede. L'autore narra le nefandezze di cui è capace l'essere umano e la qualità della redenzione di un'anima semplice e pura. Il protagonista Andreas, scontata una condanna per omicidio, ce la mette tutta per tornare a essere, come lui si definisce, un "uomo d'onore". Durante il suo "percorso di espiazione" usa spesso il pernod per annebbiare i suoi pensieri, come a volersi lasciare condurre dalla vita, invece di agire. Tuttavia, il manifestarsi di una serie di miracoli e fortune che permettono all'uomo di non piegarsi alle regole e ai doveri dei comuni esseri umani, renderà il bevitore di Roth "santo". "La leggenda del santo bevitore" di J. Roth va ben al di là di una semplice novella, si presta a una lettura più profonda, a molteplici livelli: un racconto che può definirsi al contempo favola drammatica, saggio sulla vita, opera religiosa e manifestazione di fede. L'autore narra le nefandezze di cui è capace l'essere umano e la qualità della redenzione di un'anima semplice e pura. Il protagonista Andreas, scontata una condanna per omicidio, ce la mette tutta per tornare a essere, come lui si definisce, un "uomo d'onore". Durante il suo "percorso di espiazione" usa spesso il pernod per annebbiare i suoi pensieri, come a volersi lasciare condurre dalla vita, invece di agire. Tuttavia, il manifestarsi di una serie di miracoli e fortune che permettono all'uomo di non piegarsi alle regole e ai doveri dei comuni esseri umani, renderà il bevitore di Roth "santo".
Per Christopher Banks tutto sembra essersi fermato quando, da bambino, gli sono stati misteriosamente rapiti i genitori. Fino a dieci anni è cresciuto come un orfano nella ricca Shanghai dell'oppio, per poi essere affidato alle cure di una zia nell'austera Inghilterra. Londra anni Trenta: Christopher è ormai un famoso detective privato, ma dietro ad ogni caso brillantemente risolto grava l'enigma di quel rapimento. Poco importa se in quegli anni proprio a Shanghai si sta innescando la scintilla che porterà il mondo alla rovina. Banks, infatti, ritiene che anche il massacro insensato della guerra sia un caso risolvibile per un buon investigatore, magari con l'aiuto del suo strumento feticcio, la lente di ingrandimento.
Romanzo sicuramente autobiografico di Virginia Woolf, pubblicato per la prima volta nel 1927, "Gita al faro" è composto da tre parti: The window (La finestra), Time passes (Il tempo passa), The lighthouse (Il faro). Il tempo, che funge da sfondo alla narrazione, si concentra in tre brevissimi momenti: un tardo pomeriggio in La finestra; una notte, che in realtà si dilata in un tempo non convenzionale e non più misurabile in Il tempo passa; una mattina presto, anni dopo, in Il faro. Il lettore, a sua insaputa, viene condotto ad indagare i significati profondi della vita, della morte e della transitorietà dell'esperienza terrena. I personaggi, soprattutto la signora Ramsay, fulcro del romanzo, vengono scoperti dal narratore e dal lettore contemporaneamente, attraverso una voce che disvela le trame del pensiero come fossero generate al momento.
"Storia di una capinera" è un romanzo scritto in forma epistolare che narra la vicenda di una fanciulla destinata dalla matrigna alla monacazione. Per un breve periodo la giovane lascia il convento e raggiunge la famiglia in campagna, ove conoscerà le gioie della vita ed anche l'amore; ma la felicità dura poco ed una serie di sventure si abbatteranno sulla ragazza. Con quest'opera Verga raggiunse una notevole popolarità, dovuta all'accuratezza con cui egli si documentò sui conventi e sul folklore siciliano: questo testimonia l'interesse per il "vero" che sarà al centro dei romanzi maggiori.
L'amore salva? Quante volte ce lo siamo chiesti, avvertendo al tempo stesso l'urgenza della domanda e la difficoltà di dare una risposta definitiva? Ed è proprio l'interrogativo fondante che Alessandro D'Avenia si pone in apertura di queste pagine, invitandoci a incamminarci con lui alla ricerca di risposte. In questo libro incontriamo anzitutto una serie di donne, accomunate dal fatto di essere state compagne di vita di grandi artisti: muse, specchi della loro inquietudine e spesso scrittrici, pittrici e scultrici loro stesse, argini all'istinto di autodistruzione, devote assistenti, o invece avversarie, anime inquiete incapaci di trovare pace. Ascoltiamo la frustrazione di Fanny, che Keats magnificava in versi ma con la quale non seppe condividere nemmeno un giorno di quotidianità, ci commuove la caparbietà di Tess Gallagher, poetessa che di Raymond Carver amava tutto e riuscì a portare un po' di luce nei giorni della sua malattia, ci sconvolge la disperazione di Jeanne Modigliani, ammiriamo i segreti e amorevoli interventi di Alma Hitchcock, condividiamo l'energia quieta e solida di Edith Tolkien. Alessandro D'Avenia cerca di dipanare il gomitolo di tante diversissime storie d'amore, e di intrecciare il filo narrativo che le unisce, in un ordito ricco e cangiante. Per farlo, come un filomito, un "filosofo del mito", si rivolge all'archetipo di ogni storia d'amore: Euridice e Orfeo. Un mito che svolge la sua funzione di filo (e in greco antico per indicare "filo" e "racconto" si usavano due parole molto simili, mitos e mythos) perché contempla tutte le tappe di una storia d'amore, tra i due poli opposti del disamore (l'egoismo del poeta che alla donna preferisce il proprio canto) e dell'amore stesso (il sacrificio di sé in nome dell'altro). Ogni storia è una storia d'amore è così un libro che muove dalla meraviglia e sa restituire meraviglia al lettore.