La tradizione del ritiro spirituale è evangelica. Gesù si appartò per quaranta giorni nel deserto prima di iniziare la sua missione pubblica, e così pure san Paolo, dopo la conversione. Ma già Cesare, Cicerone e Plinio parlavano del recessus, l’azione di andare, ritirarsi, in un luogo solitario. Cicerone, nel De officis, utilizza l’espressione – del resto comune – numquam minus solus quam cum solus sum, non sono mai meno solo di quando sono solo. E sant’Ambrogio la riprese dandole un senso radicalmente cristiano, perché il cristiano in grazia di Dio non è mai solo, Cristo vive in lui. Quando si fanno tacere le voci del mondo per raccogliersi in sé stessi, allora, in quella solitudine, si sente e si gode la vicinanza del Signore.
Queste meditazioni per un ritiro spirituale sono anch’esse frutto di esperienza non breve. Seguono un temario classico e mirano ad aiutare l’anima a mettersi davanti a Gesù, ascoltarlo e rivedere insieme a lui la propria vita. Si servono pertanto del Vangelo e degli altri libri della Sacra Scrittura. E raccolgono le raccomandazioni di santi di ogni tempo. Tra questi uno spazio particolare è dato agli insegnamenti di san Josemaría Escrivá, che sono il perno della formazione dell’autore e che oggi sono nutrimento di milioni di persone in tutto il mondo.
Richard Holloway, ex vescovo di Edimburgo, è stato accanto a decine di uomini e donne, amici e sconosciuti, fedeli e agnostici nel momento dell'addio. E da ciascuno ha imparato qualcosa. Ora, alla soglia dei novant'anni, riflette sulla morte. Cosa ci aspetta dopo? Come non averne paura? Come non lasciarsi sopraffare dai rimpianti e dal rancore? In un mondo dove molti sembrano non voler nemmeno contemplare l'idea che la vita abbia un termine, quello dell'ex vescovo di Edimburgo è un invito a riconoscere l'inevitabilità di un momento che invece ci attende tutti. A guardare con occhi diversi il piú grande dei misteri per trovare, forse, un senso a ciò che siamo.
Il Monte Athos e la Filocalia appartengono l’uno all’altra sulla base di quel misterioso patto che lega spazi e parole, geografia e spiritualità. Sono stati infatti il Monte Athos e il suo contesto spirituale ad attirare nei secoli persone che, proprio qui, hanno voluto vivere e incarnare l’insegnamento dei Padri e antichi maestri, raccogliendo, trascrivendo, elaborando e conservando i loro testi. E sempre sul Monte Athos hanno vissuto e scritto gli autori filocalici per eccellenza: Niceforo il Solitario, Gregorio Sinaita o Gregorio Palamas. Qui si sono soffermati Paisij Veličkovskij, Macario di Corinto e Nicodemo l’Aghiorita che, proprio sulla base dei testi ritrovati nelle biblioteche dei monasteri e nei romitaggi dell’Athos, hanno preparato i testi greci (1782) e curato la traduzione in slavone (1793) della Filocalia. Infine, grazie all’irradiazione spirituale dell’Ethos nella cultura moderna, sono nate le traduzioni della Filocalia nelle lingue moderne.
«Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la
Pasqua con i miei discepoli?». Maestro e Discepoli nel Cenacolo
sono a casa. Il Cenacolo ricorda il servizio, il sacrificio, l’amicizia, il
congedo del Maestro e la promessa di ritrovarsi di nuovo. Il Cenacolo
ricorda la condivisione, la fraternità, l’armonia… ma ricorda
anche la meschinità e il tradimento. Infine, nell’orizzonte del Risorto,
il Cenacolo ricorda la nascita della nuova famiglia, la Chiesa.
Raccolta in preghiera con la Madre di Gesù, animata dallo Spirito
Santo, la Chiesa nel Cenacolo fa esperienza di una rinnovata Pentecoste,
ed esce incontro all’Umanità. Queste pagine offrono rapidi
spunti, quasi pennellate impressioniste, suggerimenti semplici per
la meditazione, lasciando al Lettore di abitare il Cenacolo, di venire
ispirato dai gesti e dalle parole del Signore, di esserne trasformato.
Nel suo messaggio del 7 giugno 1998, Nostro Signore disse a J.N.S.R.: "Atti degli apostoli è una lettura viva, vissuta giorno dopo giorno e scritta giorno dopo giorno. Questi fogli, messi insieme gli uni con gli altri, potranno accumularsi fino al giorno sacro del mio ritorno, per annunciarmi, per glorificarmi e, in seguito, per servire da testimonianza alle mie verità per i secoli futuri".
«Questi dialoghi con Gesù sono piccoli capolavori di intelligenza, di umorismo, e di fede pienamente ortodossa, che di questi tempi è una merce rara, soprattutto se unita alle altre due.
Si capisce che don Pierre ama davvero il Signore, il che presuppone che creda sul serio in Lui, creda che Dio fatto uomo, morto e risorto per noi, cammina al nostro fianco e si interessa alle nostre vite in ogni particolare, come conviene a un innamorato pazzo che vuol sapere tutto della sua amata, l’umanità. Ma non tutta insieme, bensì una persona alla volta.
È questa la bella notizia che consegno al mio cuore dopo aver letto i dialoghi».
Prefazione di Costanza Miriano
È un sabato pomeriggio. Dopo una lunga attesa un giovane entra nello studio di don Giussani.
«Qual è il problema?».
«Ah, io non ho nessun problema, sono gli altri che hanno un problema con me: il prete mi butta fuori dall’oratorio, a scuola mi mandano fuori dalla classe, mia mamma prega santa Rita perché non faccia una brutta fine…». «Scusa, cosa fai di male?».
«Durante la settimana studio molto e mi piace. Il sabato pomeriggio giro con un amico… realizziamo bombe artigianali e facciamo saltare mucchi di mattoni raccolti nei cantieri…».
«E quindi dov’è il problema? Se il Padreterno ti ha fatto così, avrà avuto i suoi motivi. Nessuno ti chiede di cambiare quello che sei, ma di andare al fondo di quello che sei. È che la tua energia e la tua creatività, anziché usarle così, dovresti usarle per qualcosa di buono. Io ho promosso un’attività di caritativa nella Bassa milanese. Uno come te andrebbe bene».
La domenica successiva ero in Bassa… e non ne sono più uscito, perché quanto ho imparato in quella esperienza ha segnato e segna la mia vita.
Con prefazione di Giorgio Vittadini
«Quando amore ti chiama, segui il segno»: è questa forse l’espressione più nota di Kahlil Gibran riguardo all’amore. Il testo raccoglie i brani più significativi ed evocativi dedicati dallo scrittore libanese a questo sentimento, vero filo conduttore delle sue opere. Illuminante a tale proposito una frase tratta da una sua parabola: «La vita è divisa in due metà: l’una gelida, l’altra accesa. La metà accesa è l’amore».
Il tema è declinato secondo le diverse forme in cui l’amore si manifesta: nel rapporto uomo-donna, nell’amore filiale, nell’amore-carità per il prossimo, nell’amore per Dio, fonte stessa dell’Amore.
"Partire è un po' morire", ci diciamo a volte. Ma partire da dove, per andare dove? E che cosa s'intende con "morire un po'"? Come può il verbo morire - che designa un avvenimento ogni volta unico, definitivo, assolutamente non quantificabile - adattarsi a un avverbio di quantità? Il verbo morire è come il verbo amare: aggiungervi un avverbio di modo o di quantità equivale a modularne il significato in maniera radicale. Amare un po', amare molto, amare appassionatamente, amare alla follia... oppure non amare per niente, è un gioco serio, estremamente delicato. Vi si rischia il cuore, la gioia, la propria speranza più viva. Insomma: non si scherza né con l'amore né con la morte. Sfogliare il verbo morire come i petali di una margherita significa mettere a nudo il proprio intimo, misurare a grandi passi le geografie accidentate dello spirito umano. In questo libro, sfoderando una scrittura affascinante e ispirata, Sylvie Germain "bracca" la dinamica della ricerca spirituale percorrendo il tema dei passi che si compiono per andare: il movimento è trasformazione, slancio, metamorfosi. E sosta su quello strapparci-a-noi-stessi che la morte compie continuamente, fin dal nostro primo giorno di vita. Per insegnarci ad andare oltre. Non un testo sulla morte, ma un libro brillante, a tratti piacevolmente erudito, sul partire alla ricerca di Dio.
Dobbiamo vergognarci o disperare di fronte alle nostre paure? Fanno parte della nostra umanità ed è incoraggiante pensare, non solo che esse siano trasversali all'uomo di ogni tempo, ma che le possiamo ritrovare anche in diversi personaggi citati dai Vangeli. Anche per loro sono state da freno ad un cammino di piena realizzazione umana e vocazionale. Non c'è mai un rimprovero nei testi biblici per la paura provata, ma sempre un invito che suona dolce all'orecchio del timoroso: «Non temere». Questo scritto vuole proporre una riflessione sulla paura. Come è vissuta nei personaggi evangelici? Può essere un paradigma per l'uomo di oggi? Cosa genera e da cosa è generata? E soprattutto, come può essere affrontata?
Basta un'occhiata al banco di una libreria, un rapido zapping alla TV o su Internet per notare l'onnipresenza del tema «felicità». Tale abbondanza lascia anche perplessi, perché significa che non siamo felici o mai come vorremmo. La felicità è alla base di ogni azione quotidiana: come mai allora così pochi si sentono felici? Forse perché la felicità disdegna la compagnia alla quale è solitamente associata (ricchezza, benessere, sicurezza, piacere), per prediligerne un'altra, a prima vista incompatibile (tristezza, austerità, gratuità, empatia). E sembra farsi trovare quando ci si occupa di altro.La felicità è un riflesso eloquente del mistero della vita. Paradossale, illogico e affascinante.
Cosa dire sul nostro essere umani? Quale genere di umanità vogliamo far sviluppare nella società? E come appare la nostra umanità? Forse la sfida più diffusa oggi è proprio quella di non perdere il senso dell’umano, sfida che necessita chiarezza in merito a cosa sia o non sia una persona. Ci sono forze – politiche, economiche, psicologiche – che ci spingono a essere meno di ciò che Dio desidera che siamo. Ma l’umanità voluta da Dio è movimento, è un processo in cui dobbiamo far fronte allo straordinario, una via di vita in cui diventiamo straordinari.
Rowan Williams (Swansea 1950) dal 2002 al 2012 è stato arcivescovo di Canterbury. Teologo formatosi a Cambridge e a Oxford sulla grande tradizione delle chiese d’oriente e d’occidente, ha sempre cercato di rendere intellegibile il messaggio del vangelo agli uomini e alle donne di oggi. Presso le nostre edizioni ha pubblicato tra gli altri Il giudizio di Cristo (2003) e Resurrezione (2009).