El objeto de este libro es analizar sistemáticamente los rasgos distintivos y las normas que regulan la peculiar condición de vida de quienes, por una especial vocación, se consagran a Dios mediante la profesión pública de los consejos evangélicos de castidad, pobreza y obediencia, contribuyendo de este modo no sólo a su propia santificación, sino a la edificación de la Iglesia y a la salvación del mundo, al tiempo que ayudan a los demás bautizados a mantener viva la conciencia de los valores fundamentales del Evangelio y la meta escatológica a la que todo tiende.
Raccolta di omelie e testi per la beatificazione di Giovanni Paolo II. Il volume raccoglie le seguenti omelie: - intervento del Cardinale Agostino Vallini durante la veglia di preghiera al Circo Massimo di Roma, sabato 30 aprile 2011; - Omelia del Santo Padre Benedetto XVI in occasione della Beatificazione del Servo di Dio Giovanni Paolo II, 1 maggio 2011; - Omelia del card. Bertonde durante la Santa Messa di ringraziamento per la Beatificazione di Giovanni Paolo II, 2 maggio 2011.
Il libro presenta, in modo accessibile e vivo, sei maestri spirituali che "fanno scuola": Benedetto da Norcia, Francesco d'Assisi, Ignazio di Loyola, Teresa d'Avila, Teresa di Lisieux e Madeleine Delbrêl.
Un libro per tutti coloro che piangono la morte di un amico.
Una guida per aiutare i vostri figli a superare un lutto.
Nostalgia: uno stato d'animo e un'esperienza che tutte/i incontriamo nella nostra vicenda esistenziale, sia che riguardi il rimpianto per uno spazio lontano, sia che rievochi un tempo trascorso. Per trovare nella nostalgia uno strumento utile alla conoscenza di sé occorre però evitare il rischio di una narrazione univoca, incapace di dar conto della configurazione di quell'arcipelago di emozioni dentro cui si presenta l'emozione nostalgica, mettendo in figura la "compagna di viaggio" che meglio la caratterizza di volta in volta, sia essa la sofferenza o la speranza, la malinconia o la dolcezza, la consolazione o la paura? Nell'epoca in cui il mondo appare a disposizione di ogni viaggio e il ritorno nient'altro che un proseguimento di questo, la nostalgia si colora delle tinte del bisogno esistenziale verso un altrove indefinito, che spesso torna a coincidere col proprio centro svincolato da situazioni e relazioni che sentiamo insufficienti e, a volte, soffocanti. E in questo senso tanto più vere risuonano le parole di Borges: "Chi lascia la casa ha già fatto ritorno", in cui possiamo sentire quanto la nostalgia si configuri come un'emozione aperta, che affianca e stimola il viaggio di sola andata dell'esistere.
Un volume che prende in considerazione l'intera produzione di Joseph Ratzinger fino alla sua elezione al soglio pontificio, mostrando come questi - nell'arco di più di mezzo secolo - abbia saputo elaborare una serie di riflessioni teologico-politiche di grande pregnanza, la cui recessione sarebbe di grande aiuto nell'epoca presente.
Nono titolo della collana "Forum ATI", a cura dell'Associazione Teologica Italiana, per chiunque voglia interrogarsi sul rilievo e sulla posizione da accordare al testo biblico nella pratica della teologia. A distanza di cinquant'anni dal Concilio Vaticano II la coscienza del credente è chiamata a un esame di coscienza: quali la consistenza e l'efficacia dei percorsi di conoscenza, di autocoscienza e di autoconfigurazione della vita alla luce del testo biblico?
La raccolta degli interventi di monsignor Carlo Redaelli, indirizzati ai presbiteri nelle diverse “stagioni” della loro vita.
Dalla prefazione del cardinale Tettamanzi
San Carlo Borromeo il 7 dicembre 1567, anniversario dell’ordinazione episcopale sua e del suo “massimo predecessore”, sant’Ambrogio, tenne nella basilica omonima una accorata omelia, ove disse: «Questa è la legge della perfezione pastorale, che il pastore spenda persino la vita, se necessario, per la salvezza del suo gregge, e sembra che più di questo non si possa fare, perché Cristo diceva in un altro passo: Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici (Gv 15, 13)».
Queste parole di san Carlo mi sono venute alla mente ripensando alla vita di Padre Clemente Vismara, che per il ministero e la benevolenza del Papa è “Beato” della Chiesa ambrosiana dal 26 giugno 2011.
Questa beatificazione, che avviene insieme a quelle di un altro figlio e di un’altra figlia di questa stessa Chiesa ambrosiana – don Serafino Morazzone, curaro di Chiuso (Lecco) e suor Enrichetta Alfieri, delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret – avviene a coronamento di questo anno pastorale, nel quale ci ha accompagnato la celebrazione del quarto centenario della canonizzazione di san Carlo
Borromeo, avvenuta a Roma il 1° novembre 1610.
La connessione delle date tra quella canonizzazione e queste tre beatificazioni non può lasciarci indifferenti: è il segno che la santità è ancora viva, è sempre viva nella Chiesa e ne scandisce il suo cammino bimillenario. Un cammino, quello della santità, sempre affascinante, anche perché assai variegato: i santi sono così diversi tra loro, eppure così simili l’uno all’altro!
San Carlo è ben diverso da padre Clemente Vismara, come questi è ben diverso dal parroco di Chiuso, don Serafino Morazzone, «tanto umile – disse di lui Alessandro Manzoni – da non sapere di esserlo». Ben diverso anche da suor Enrichetta Alfieri, che per trent’anni nel Carcere di San Vittore fu – così la chiamavano i detenuti – “Angelo” e “Mamma”.
Anche Padre Vismara fu “padre”, padre di mille e mille orfani, che raccolse nei suoi sessantacinque anni di permanenza in Birmania, come attestano le migliaia di lettere e le centinaia di articoli, ben sunteggiati in questa biografia di don Ennio Apeciti.
Struggente il grido di quel bimbo, agitato dalla febbre malarica, che dice a padre Clemente: «Guariscimi, tu sei mio padre, tu sei mia madre!», perché non aveva altri che lui, che quel missionario, che gli volesse bene. D’altra parte, padre Vismara ripeteva: «I ragazzi sono il tesoro del missionario, il missionario è il tesoro, la vita dei ragazzi».
E per essi ha amato dare tutta la sua vita, senza mai rimpianto o nostalgia o delusione, anzi sempre perennemente giovane, a dimostrarci che la giovinezza non dipende dagli anni, ma dal cuore. Si è giovani non perché si è agili nelle membra, ma perché si vibra sempre nel cuore; si vibra
vedendo un fratello che soffre, una sorella che piange, un amico – perché noi cristiani siamo chiamati ad essere non solo fratelli, ma “amici” – che gioisce.
Padre Vismara credette che la sua gioia riposava nella gioia dei ragazzi, dei poveri, dei lebbrosi che aveva scelto di amare e di servire. Ma – così facendo – padre Clemente ci richiama, ci ricorda che sono vere le parole di Gesù, quelle che san Paolo rivolgeva con commozione agli Anziani di Efeso: «Vi è più gioia nel dare che nel ricevere» (Atti 20, 35).
Era – per certi versi – quello che dicevo nel discorso di ingresso nella diocesi ambrosiana come arcivescovo il 29 settembre 2002:
«Sì, carissimi fratelli e sorelle, il cristianesimo – come diceva Paolo VI – è difficile, ma è felice! È felice perché ha come suo programma ed emblema le beatitudini, che Gesù ha proclamato e vissuto per primo (cfr. Matteo 5,1- 12). Questa nostra santità, che è la vera novità evangelica, alimenta la santità della Chiesa intera e dà la forza di operare il cambiamento della stessa società. Ed è nella prospettiva della santità che deve realizzarsi tutto il nostro cammino pastorale (cfr. Novo millennio ineunte, n. 30).
Questa, infatti, per ciascuno di noi e per tutti noi, è la volontà di Dio: la nostra santificazione (cfr. 1 Tessalonicesi 4,3). Resi santi nel Battesimo non possiamo accontentarci di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalistica e di una religiosità superficiale, ma dobbiamo vivere da santi, secondo questa “misura alta” della vita cristiana ordinaria (cfr. Novo millennio ineunte, n. 31)».
Sono ancora ben convinto di queste parole e questo beato, padre Clemente, “il prete che sorrideva sempre” – come lo ricordavano – me ne dà conferma.
La santità porta gioia e felicità non solo a chi la vive, ma anche a chi la incontra: l’incontro con un santo è sempre esperienza di gioia, perché dilata l’orizzonte della vita, fa comprendere che ogni essere umano è destinato a qualcosa di ben più grande che questa sola vita che viviamo nel tempo. La nostra vita è eterna, sorpassa il tempo e lo spazio, perché è vita “divina”: c’è Dio che ci attende al termine di questo cammino. Per questo padre Clemente salutò gli amici del Gruppo Missionario di Agrate nella sua ultima lettera, scrivendo: «Vi auguro ogni bene. Ci rivedremo in Paradiso. Con affetto».
Occorre, però, che ci sia sempre qualcuno che annunci agli uomini le grandi opere di Dio, il Suo immenso amore per l’essere umano. Occorre che l’uomo lo sappia e, dunque, occorre chi Lo annunci, chi accolga l’anelito di cammino, sempre pronti a rinnovarsi, a ricominciare nel modo dell’annunciare e nel modo di servire, perché è la carità la via maestra della Chiesa, sulla quale essa incontra sempre l’uomo, che è stata chiamata a servire e ad amare nel nome e nel modo che Gesù stesso le ha insegnato.
«L’amore, in definitiva – così scrivevo nella Lettera Santi per vocazione sull’esempio di san Carlo Borromeo –, è la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano».
I santi ci hanno creduto. San Carlo ci ha creduto e ha segnato per secoli la sua Chiesa e il nostro mondo. Padre Vismara ci ha creduto ed ora i nostri fratelli del Myanmar lo sentono loro “Patriarca”, colonna della loro giovane Chiesa entusiasta.
I santi ci spronano con il loro esempio. Come san Carlo che il 16 giugno 1583 per stimolare la gente di Cannobio diceva: «Cristiano, se l’amore è incentivo all’amore, se l’amore è il prezzo dell’amore, se l’amore richiede amore, quale amore ti ha mostrato Cristo! […] Come è soave la vita
spirituale di coloro che la cercano! Chi non prova lo ignora».
Padre Vismara ci è d’esempio; ci stimola con le parole, che scelgo tra molte, scritte alla nipote Stella il 2 dicembre 1947: «La vita è bella, bellissima e ti invita a vivere, nella mia mente dire vivere è sinonimo di compiere il bene. Fatelo anche voi. Te lo assicuro, vi troverete bene»
Lui ci ha creduto. Lui ci è riuscito. Ora tocca a noi provare, e scoprire che è vero: chi dona con gioia, sperimenta la gioia.
Dionigi card. Tettamanzi
Arcivescovo di Milano
Girolamo Zanchi nacque ad Alzano, presso Bergamo, nel 1516. Entrato nell'ordine dei Canonici Lateranensi, studiò teologia a Padova. Scoprì l'Evangelo a Lucca mediante il priore dei Canonici Pier Martire Vermigli. Scappato dall'Italia nel 1551, studiò a Ginevra, dove strinse amicizia con Calvino, insegnò Antico Testamento a Strasburgo per dieci anni, contrastando la confessionalizzazione luterana della chiesa. Poi fu per quattro anni pastore a Chiavenna, in Valtellina, presso la più importante chiesa riformata di lingua italiana della Valle (poi ricattolicizzata con il sacro macello del 1620), ma si dimise per contrasti con il Concistoro. Gli ultimi vent'anni di vita li trascorse tra Heidelberg, la più importante università tedesca, dove insegnò Antico Testamento e dogmatica, e Neustadt, dove insegnò al collegio teologico Casimirianum. Morì a Heidelberg nel 1590 e fu seppellito nella chiesa dell'università. Zanchi legò con la sua vita l'esperienza della Riforma in Italia e della Scolastica calvinista. Scrisse di teologia a tutto campo, dialogando con tutta la scienza del suo tempo. E' considerato tra i padri della dottrina della predestinazione e della perseveranza dei credenti come saranno stabilite dal Sinodo di Dordrecht (1618-1619).
L'opera che qui si presenta per la prima volta in versione italiana, il "De religione christiana fides" (1585), nacque come sintesi della dottrina riformata del tempo, affidata a Zanchi per costituire un pendant calvinista al Libro di Concordia delle chiese luterane, stabilito nel 1580. Tramontata l'ipotesi di una Confessione di fede comune per tutti i riformati d'Europa, Zanchi pubblicò l'opera come confessione di fede propria e della propria famiglia. La divisione in 30 loci e il sostrato aristotelico-tomista la avvicinano di più a una dogmatica in sintesi dell'ortodossia riformata che a una vera e propria confessione di fede.
San Ambrosio de Milán (340-397) dedicó una gran solicitud pastoral a las vírgenes cristianas. Fruto de sus desvelos pastorales son los tres tratados que publicamos en este volumen: De uirginitate, De institutione uirginis y la Exhortatio uirginitatis. Con anterioridad, en esta misma colección publicamos los escritos De uirginibus y De uiduis. De esta manera cumplimos el propósito de sacar a la luz pública todo el corpus ambrosiano sobre la virginidad en lengua castellana. El primer tratado sobre la Virginidad que presentamos comienza con unos exempla sobre la sabiduría del rey Salomón y sobre Jefté. La actuación de este último le da pie para desarrollar una homilía en defensa de la virginidad. Finaliza la obra con otra homilía dedicada a la fiesta de S. Pedro y S. Pablo. El escrito consagrado a la Instrucción de la virgen tiene una particular significación, pues en él se destaca el papel de la Virgen María como modelo a imitar por las vírgenes cristianas. Se puede decir que estamos ante una obra eminentemente mariológica que va a tener un gran influjo en siglos posteriores. Aquí se nos muestra Ambrosio como un valedor a ultranza de la virginidad de Santa María, frente a detractores como Bonoso. La Exhortación a la virginidad reproduce una homilía de Ambrosio predicada en Florencia con motivo de la traslación de las reliquias de S. Agrícola. El obispo de Milán utiliza un recurso literario que consiste en poner en boca de Juliana, viuda de uno de los mártires cuyas reliquias se habían trasladado, un discurso animando a sus hijas a vivir la virginidad. Después, Ambrosio retoma la palabra para aplicar a las vírgenes unas enseñanzas del Cantar de los Cantares. En todo el volumen se puede apreciar el dominio de Ambrosio sobre los textos bíblicos, así como la exégesis que hace de los mismos, siguiendo en este punto las líneas generales de la hermenéutica alejandrina de tipo origeniano, aunque tampoco falten aplicaciones muy concretas de carácter parenético.