Nel 1961, quando ancora Simenon era confinato fra gli scrittori di serie B, Sciascia, dopo aver dichiarato che i suoi romanzi valevano ben più di quelli dell'école du regard, aggiungeva: «... e forse anche qualcuna delle avventure del commissario Maigret ha più diritto di sopravvivenza di quanto ne abbiano certi romanzi che, a non averli letti, si rischia di sfigurare in un caffè o in un salotto letterario». Questione di chiaroveggenza, certo. E di perspicacia, come quando, sempre nel 1961, scriveva: «Maigret è l'elemento cui la realtà reagisce: una specie di elemento chimico che rivela una città, un mondo, una poetica». Ma anche di passione per un genere – la letteratura poliziesca – da sempre frequentato: con una spiccata simpatia per il «modulo», scaturito da Poe, che del giallo fa un rigoroso cruciverba narrativo, un gioco ingegnoso. Quel che in questo libro scopriamo è che sin dai primi anni Cinquanta Sciascia ha anche costantemente indagato la letteratura gialla, quasi volesse chiarire a se stesso le ragioni della sua passione e costruire una sorta di mappa, una genealogia degli autori più amati – Chesterton, Agatha Christie, Erle Stanley Gardner, Rex Stout, Simenon, Geoffrey Holiday Hall e altri ancora. Offrendoci così trascinanti riflessioni e insieme gli indizi indispensabili per individuare le ascendenze dei protagonisti dei suoi gialli: dal capitano Bellodi del Giorno della civetta all'ispettore Rogas del Contesto, al brigadiere Lagandara di Una storia semplice.
Qual è la cantica più bella? Come inoltrarsi nel nuovo linguaggio del Paradiso dantesco senza perdere la sfida di continuare il viaggio esistenziale intrapreso nelle cantiche precedenti? Davvero la Commedia è superata dal punto di vista teologico? Come ha potuto Dante conoscere il Big bang? Qual è la biblioteca da cui attinge il Sommo poeta per la composizione del Paradiso? Esistono simbologie nascoste e richiami simbolici non da subito avvertibili? Ovvero è possibile rintracciare un disegno particolare in questi trentatré canti? Da queste e da altre domande parte il percorso di Fighera che conclude la trilogia sulla Commedia. In un testo agevole e sciolto l'autore non si sofferma solo sui personaggi e sui canti più famosi del Paradiso (come accade per lo più nei saggi sulla terza cantica), ma intende raccontare l'intero viaggio, dall'Eden fino alla salita attraverso i nove Cieli dove Dante incontra i santi che gli si fanno incontro scendendo dall'Empireo: nella vita quotidiana, un'avventura che introduce una speranza nuova e insegnamenti sempre vivi.
Un biografo ha scritto che «una singola sillaba in Kafka può suscitare le emozioni del lettore fin nel profondo». Ecco, io sono uno di questi. Nel mio caso si tratta di una parola, benché a variare siano solo due sillabe. La parola è Strassenlampen (lampioni), e sta all’inizio della seconda parte della Metamorfosi. Tutto è cominciato quando mi sono accorto che nella più classica traduzione italiana invece dei lampioni c’era un tram. Come si fa a prendere un tram per dei lampioni? Ho guardato in giro: in una quantità di traduzioni nelle più diverse lingue sbucava il fantomatico tram. Che in tedesco si chiama Strassenbahn. Se un commesso viaggiatore può svegliarsi trasformato in uno scarafaggio, direte, anche un lampione può trasformarsi in un tram. L’apparente strafalcione, tram per lampioni, era già nella prima traduzione della Metamorfosi, uscita anonima nel 1925, un anno dopo la morte di K. Risalendone la peripezia ci si imbatte nell’appropriazione indebita di quella traduzione da parte di un gran signore delle lettere universali come Jorge Luis Borges. La traduttrice vera era Margarita Nelken, una donna spagnola dalla vita brillante, tumultuosa e triste.
Non era questo però a motivare il fervore che mi aveva preso. Il fatto è che a un certo punto mi è sembrato che il tram al posto dei lampioni fosse più bello, e che illuminasse la conclusione stessa del racconto. E non fosse un errore – Strassenlampen e Strassenbahn possono confondersi – ma una variante introdotta dallo stesso Kafka. Proporre una correzione addirittura della Metamorfosi è quasi come sfidare la lettera delle sacre scritture per le quali si fanno guerre micidiali. La filologia laica risparmia lo spargimento di sangue, tutt’al più qualche spargimento di cattedre. Ma è stato bello immaginarsi alleato di Kafka contro l’ordine tipografico costituito. Lettrici e lettori scusino le pagine pedanti: si possono saltare e riprendere dove la trama – il tram – torna sui suoi binari. A. S.
Da uno degli autori più importanti degli ultimi anni, una visione unica della scrittura e della letteratura, un libro intenso, deflagrante, attraversato dal fuoco della creazione.
"Negli ultimi vent'anni, accanto a vasti romanzi, romanzi brevi, racconti, opere di teatro e altri testi legati a esperienze di sconfinamento e cammino, mi è capitato di confrontarmi con scrittori, poeti e pensatori incontrati sulla mia strada che avevano lasciato un segno profondo dentro di me. Ne sono nati scritti che non hanno le caratteristiche di riflessioni pacificate e di degustazioni ma che sono parte della stessa spinta che anima i miei altri libri e che vanno a comporre con questi un'unica e indistinguibile manifestazione del mio stare dentro il territorio della letteratura."
Si apre così il nuovo libro di Antonio Moresco, un cammino personalissimo animato da una visione spiazzante della letteratura e del mondo, che attraversa, armi in mano, con passo narrativo e corpo a corpo serrati, le opere di scrittori, poeti, filosofi, santi, capi politici: da Cervantes a Emily Dickinson, a Tolstoj, a Beckett, a Swift, a Virginia Woolf, a Céline, a Plotino, a Bulgakov, a Primo Levi, a Teresa D'Avila, a Jack London, ad Artaud, a Hitler...
Un libro irrinunciabile per chi già ama la narrativa di Antonio Moresco e un'occasione straordinaria per incontrarlo al suo meglio per chi ancora non lo conosce, guidati dalla sua voce originale e potente, dal suo sguardo feroce ma capace di infinita tenerezza.
Si può raccontare la storia di una relazione naturale, eppure così densa di arcaiche ambiguità, come quella tra una figlia e suo padre? Una storia antica come l’umanità, che parla di rapporti reali, ma anche di ordine simbolico.
Nel 1968 un’intera generazione di donne si è interrogata su che cosa significasse ribellarsi all’autorità paterna, con una rivelazione sorprendente. Per nessuna di queste donne la ribellione era abbastanza. Dei loro padri non potevano buttare via l’eredità affettiva. Per essere adulte ciascuna doveva affrontare nel proprio padre la contraddizione di chi rappresenta sia l’autorità da sfidare, sia l’amore che offre guida e protezione.
“In questo libro”, scrive Maria Serena Sapegno, “volgiamo lo sguardo necessariamente indietro, agli archetipi che la modernità rilegge e da cui è ossessionata, per ricostruire la lunga storia che porta fino a noi, in un percorso non omogeneo né evolutivo.” Per raccontare questa storia, Sapegno si rivolge alle scrittrici e agli scrittori che di questo rapporto ancestrale hanno fatto il cuore della propria indagine umana ed esistenziale. Lungo un percorso eterogeneo e scosceso – pieno di esitazioni e interruzioni, ma anche di grandi conquiste – incontriamo Eva, Antigone e Cordelia, figlie ribelli che violano le leggi dei padri e resistono alla loro autorità. Entriamo nei romanzi delle più celebri autrici della letteratura occidentale, da Jane Austen a George Eliot, a Virginia Woolf, e ci scontriamo con la crisi epocale messa in scena da Philip Roth in Pastorale americana. Perché dopo il Sessantotto, quando le figlie “non hanno voluto diventare come la madre e hanno sfidato il padre, di cui hanno messo in discussione tutti i valori”, trovare una voce propria è ancora più difficile.
“Il rapporto tra padre e figlia parla dell’autorità e dei limiti del Potere, del rapporto tra natura e cultura, della legge e della morale. E, attraverso diverse figure di figlie ribelli come Eva, Antigone e Cordelia, parla di resistenza all’autorità, di trasgressione.”
Qual è il momento in cui una figlia smette di essere tale e diventa una donna?
Come educare oggi un giovane? In che modo riformulare i dilemmi dell'etica dopo che gli dèi hanno abbandonato i nostri cieli? Come ristabilire quel legame tra bene e realtà, e tra male e irrealtà? L'"inattuale" Dante, attraverso l'ausilio involontario di Simone Weil, può darci indicazioni preziose. La filosofa francese ha scritto: «È bene ciò che dà maggiore realtà agli esseri e alle cose, male ciò che gliela toglie». Alla luce di questa intuizione La Porta individua l'idea morale all'origine della «Commedia», dimostrando come Dante può aiutarci a ridefinire un'etica che non consiste tanto in imperativi categorici ma che ci permette di far esistere il mondo, nella sua inviolabile, corposa, mutevole alterità. E che ci chiede di "ascoltare" gli altri proprio al fine di farli esistere, e di far esistere così anche noi.
“Ci consegna un ritratto di Philip Roth tra i migliori che abbia mai letto” Dave Eggers
“Ti proibisco di scrivere di me,” intima Philip Roth. Per Livia Manera Sambuy dovrebbe suonare come un divieto, ma è di fatto un’istigazione ad abbattere la barriera che divide l’intesa umana e l’invenzione letteraria, è uno stimolo ad attivare la memoria di sé e la memoria lasciata dalle tante letture e dalle parole chiave che hanno aperto la porta su un territorio in cui vita e letteratura si mescolano. Livia Manera racconta storie di incontri con i “suoi” scrittori americani, storie di complicità, amicizia, consuetudine, amore. Racconta la New York degli intellettuali che vi sono rimasti, la Parigi di quelli che se ne sono andati, i colori del Maine e il respiro del Midwest. Con il garbo di una scrittura che fa dell’io narrante la sonda e lo specchio, il mondo della letteratura americana diventa la scena di un’esistenza che continua a cercare nelle domande e nei dubbi una strategia di saggezza. È così che ci vengono incontro le figure di Philip Roth, Richard Ford, Paula Fox, Judith Thurman, David Foster Wallace, Joseph Mitchell, Mavis Gallant, James Purdy, ma anche, in controluce, quelle di Raymond Carver, Mordecai Richler e Karen Blixen. Sono figure illuminate dalla fama, costruttori di saggezza e demolitori di luoghi comuni, anime che Livia Manera sorprende sempre in un gesto significativo, in una confidenza appassionata, o addirittura nella maestà del silenzio.
A Chesterton Shakespeare piaceva da matti: ne traeva insegnamento per la sua vita interiore e al tempo stesso autentico piacere e godimento, non solo per gli straordinari concetti da lui espressi, per la profondità dei suoi drammi, per la complessità delle psicologie dei personaggi, ma anche per l’originalità di talune immagini visive, per la creatività nell’uso del linguaggio, per il semplice suono di certi suoi versi, per la straordinaria capacità di raccontare l’uomo all’uomo senza infingimenti. Nel presente volume sono raccolti – grazie a Valentina Vetri, docente di Cultura e Civiltà inglese presso l’Università CIELS di Bologna – proprio gli scritti in cui Chesterton spiega e interpreta meglio alcune delle opere di Shakespeare più note, in modo che siano perfettamente comprensibili a tutti, dandone letture tanto semplici quanto originali e profonde, che ci spingeranno con rinnovato gusto sulle pagine del “grande Bardo”.
Un volume che fa il punto su Primo Levi e la Shoah lasciando parlare lo scrittore grazie a una serie di interviste raccolte da Giovanni Tesio e a documenti d'archivio, tra cui autografi e fotografie. Un ritorno a Levi per appassionati lettori ma anche per insegnanti che vogliono approfondire con i propri studenti la figura di uno scrittore centrale per comprendere gli orrori della guerra e il Novecento, senza dimenticare che «Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell'aria. La peste si è spenta, ma l'infezione serpeggia: sarebbe sciocco negarlo».
Il volume intende offrire la prima indagine sistematica dei rapporti intercorsi tra la Commedia di Dante e la predicazione del suo tempo. La ricca e variegata letteratura omiletica tardomedievale (che include ad es. sermoni e prediche, esempi, regulae) viene puntualmente confrontata con il Poema, facendo interagire l'analisi con il decisivo ricorso al testo biblico e procedendo a inquadrare i risultati nel più ampio contesto del rapporto tra la Commedia e i diversi generi della letteratura religiosa due e trecentesca {visiones, rappresentazioni dell'aldilà, mistica, ecc.). Si delinea in questo modo una originale interpretazione di alcuni aspetti chiave del Poema dantesco (quali il profetismo e la conseguente finalità esortativa e morale), supportata anche da una serie di lecturae di canti e snodi cruciali della Commedia nei quali emergono possibili interferenze con la predicazione del tempo.
“C’è chi scrive ancora a mano e chi è stregato dal computer, chi programma ogni pagina dall’inizio alla fine e chi avanza di getto senza sapere dove lo porterà la trama, chi esce da corsi di scrittura creativa e chi esce dalla scuola della vita, chi si fa ispirare dalla realtà e chi la deforma, chi lavora esclusivamente di fantasia e chi studia, imita o perlomeno usa come modello i grandi autori del passato. Per scoprire che cos’è e come si scrive un romanzo, non c’è niente di meglio che interrogare uno scrittore. E di scrittori, grazie al mio lavoro di giornalista da oltre trent’anni in giro per il mondo, ho avuto la fortuna di incontrarne tanti. In queste pagine quaranta di loro parlano dei libri che scrivono e di quelli che amano, di come nasce una storia, del proprio metodo narrativo, dei loro maestri, delle loro vite. Sono arrivato troppo tardi all’appuntamento per poter incontrare il quarantunesimo: ma la sua casa, ancora pervasa dallo spirito di chi l’abitava, è lo stesso capace di raccontare qualcosa sulla magica fonte da cui sprigiona la narrativa. Su cosa significa vivere per scrivere.”