Il credente spera. Spera perché ha visto e ascoltato, perché ha sperimentato. Spera perché crede che ciò che ha visto in germe fiorirà, e la fioritura dipende in primo luogo da Dio. Spera perché su questa promessa si gioca la vita, rischia tutto. Sperare non è perciò per il credente l'ultima consolazione, la panacea contro ogni dramma della vita ma è invece il primo impegno, il rischio più radicale. Ma anche il non credente spera. Perché sperare è qualcosa che coinvolge la profondità più viscerale dell'uomo, il suo stesso livello biologico. Ogni vita spera. Per il semplice fatto di nutrirsi, di riprodursi, afferma la propria spinta a vivere, ad attraversare l'oggi verso un domani che vuole migliore, che cerca di costruire, e in questo mette in gioco tutta se stessa. Anche qui si gioca la vita
E che cosa si spera, se non si spera nell'amore? Forse per questo san Paolo dice, nella prima lettera ai Corinti: "Queste tre cose rimangono: la fede, la speranza e l'amore. Ma la più grande di tutte è l'amore". Eppure oggi la parola amore sembra spenta, stanca, usata in troppi contesti e ritrita in mille occasioni. Il gesto di amare, un gesto a cui ancora si anela e si vorrebbe credere, sembra perdersi in qualcosa di piccolo e individualistico, che non raggiunge davvero l'altro e non si fa raggiungere. Come la chiacchiera in un treno senza scompartimenti, dove tutti sono presenti ma non si riesce a parlare con nessuno; come le nostre parole interrotte da telefonate, messaggi, troppe altre parole. Tuttavia amare è possibile, anche oggi, almeno è possibile correrne il rischio. Per fare questo però si devono annodare i fili di una storia, costruire storia insieme agli altri, sulla stessa strada
Questo lavoro mette a tema il cristomorfismo come sviluppo di una impostazione cristocentrica della teologia. Lo scopo viene perseguito attraversando e oltrepassando la produzione critica di David Tracy, teologo statunitense nato nel 1939. All'interno della sua variegata e incompiuta riflessione, Tracy, in maniera ancora germinale, propone il cristomorfismo come chiave in grado di aprire le molteplici porte della sapienza cristiana. Tale categoria emerge come una prospettiva capace di cogliere la corrispondenza tra la figura di Gesù Cristo e quella della realtà. Il Risorto non è 'solo' il centro del cosmo e della storia, ne è anche la forma perché tutto è stato creato per mezzo di lui e in vista di lui. Questo paradigma rimodula la riflessione teologica e sostiene uno sguardo fiducioso capace di cogliere lo Spirito santo nella filigrana dell'esistenza ecclesiale e di percepire la vita quotidiana come 'luogo' abitato dalla presenza trinitaria.
Partendo dal dato della Scrittura, che descrive la bellezza di Dio come gloria, misericordia e luce, la 52° Settimana di Spiritualità, della quale il presente volume riproduce gli Atti, associa alla conoscenza l'amore come componente fondamentale dell'essere umano.
Il volume ha l'intento di contribuire a quel rinnovamento della teoria della fede che è uno dei compiti più interessanti e più urgenti della teologia postconciliare.
In questa meditazione sui "Promessi Sposi" l'autore, partendo dalla figura dell'Innominato, la interroga per sondare le dinamiche della conversione, e la inquadra nelle categorie kierkegaardiane di angoscia, disperazione e fede; da questa riflessione scaturisce l'idea della centralità della grazia divina nel cammino della libertà umana verso la salvezza, che può essere tardivamente accolta, come nel caso di Gertrude, o respinta con impenitente pervicacia, come il Manzoni lascia immaginare a proposito di don Rodrigo. La grazia si esprime nel dono della fede, che è prima di tutto una rinuncia all'orgogliosa sicumera di donna Prassede e un abbandonarsi ai disegni insondabili della Provvidenza, come insegna Lucia. Ma questo saggio riflette anche sulla concezione politica di Renzo, che da una sorta di iniziale "giacobinismo" perviene alla piena accettazione del Vangelo del perdono, o di Agnese, di cui si scopriranno doti intellettuali assolutamente inaspettate. E così anche gli altri personaggi, senza forzarne i tratti psicologici assegnati dal romanzo, vengono vagliati per rispondere a tutte le domande decisive dell'esistenza umana e cristiana, nella profonda convinzione che nell'opera manzoniana si trovi la lieta novella declinata nella concretezza della vita del XVII secolo.
In che modo e secondo quali percorsi è possibile porre nuovamente l'inesauribile questione del rapporto tra ragione e fede? Oggi meno che mai esse si contrappongono, nonostante una larga parte del dibattito pubblico non cessi di affermarne la rivalità. Si può forse perdere la fede, ma non certo perché la ragione riesca a mostrarne l'illusorietà. D'altra parte può accadere che la ragione si scopra incapace di comprendere una parte - e una parte essenziale - delle esperienze che facciamo nel corso della vita, e questo porta frettolosamente a concludere che la ragione non può abbracciare tutto e che bisogna perciò abbandonare all'incomprensibilità spazi immensi della nostra esistenza. Sorge così il regno della credenza e dell'opinione, che molto presto saranno espulse dal campo del pensabile. Da questo sonno della ragione nascono gli incubi dell'ideologia e dell'idolatria. La separazione tra fede e ragione, che tanti sembrano ritenere ovvia e del tutto naturale, si origina innanzitutto proprio da una mancanza di razionalità, dalla resa a tavolino della ragione dinanzi al supposto impensabile. Se non si perde la fede per eccesso di pratica della razionalità, può accadere al contrario che si perda in razionalità allorché si esclude troppo in fretta la fede e l'ambito che essa dice di aprire, cioè quello della Rivelazione. Come già sant'Agostino scriveva, "l'intelligenza è il frutto della fede.
Tra le questioni filosofiche maggiormente dibattute v'è il rapporto fra la ragione, la scienza e le altre forme dell'esperienza umana, prima fra tutte la religione. Questioni che stanno alla base dell'epistemologia contemporanea e sono oggetto dei saggi qui raccolti, un distillato dei principali nodi teorici elaborati da Michael Polanyi nelle sue opere maggiori. Il nesso fede-ragione e quello religione-scienza offrono gli elementi per una epistemologia personalista: un modello secondo il quale il metodo della ricerca scientifica presuppone la conoscenza personale. Si delinea una concezione unitaria dell'esperienza e della conoscenza umana, lontana da quel dualismo metodologico e contenutistico che oppone esperienza scientifica ed esperienza religiosa, e fondata sull'approccio critico al pensiero moderno anticipato da sant'Agostino nel segno della fede, dono della grazia "per ristabilire l'equilibrio dei nostri poteri cognitivi"
Che cosa vuol dire che Gesù è morto per noi?
Di chi è la colpa della morte di Gesù?
Che cosa sappiamo di storico della morte di Gesù?
In questo nostro mondo pluralistico e secolarizzato, il concetto che Gesù sia morto "per noi" – anzi, che "doveva" morire per la nostra salvezza – ha perso molta della plausibilità che aveva un tempo. Abbiamo tuttavia sempre a disposizione una strada per chiarire che cosa significhi la simbologia associata alla morte di Gesù: il ritorno alle fonti.
A questo invita Fischer, e invita non solo i cristiani insicuri, ma tutti coloro che vogliono comprendere senza pregiudizi uno dei simboli centrali della fede cristiana.<br/