La libertà umana è il tema centrale de Contro il Fato. Questo è un dialogo tra Bardesane, da un lato, e Avida e i suoi discepoli Bar Yammâ e Filippo, dall’altro. Bardesane svolge il ruolo di guida, analogo a quello di Socrate nei dialoghi platonici; mentre Filippo è la voce narrante che riferisce l’intero Dialogo. Bardesane discute le dottrine caldaiche improntate al determinismo astrale, secondo cui la configurazione astrale alla nascita di una persona, cioè l’oroscopo, e l’astro dominante nella fascia climatica in cui questa vive, ne determinerebbero gli eventi della vita e perfino le scelte morali e i comportamenti. Contro queste teorie Bardesane difende con vigore il libero arbitrio, dono di Dio ad ogni creatura umana che di Dio è immagine.
La presente edizione è la prima a livello mondiale che riporta il testo critico siriaco e la traduzione a fronte in una lingua moderna. Presenta una completa disamina delle fonti su Bardesane e una rilettura critica sistematica del suo pensiero. Anche se nella sua forma finale il Dialogo sembra attribuibile alla scuola di Bardesane e non è esente da qualche corruzione testuale, esso riflette fedelmente le idee del maestro. Il Dialogo è giunto a noi nella sua forma integrale in siriaco, nella versione latina delle Pseudoclementine e, frammentariamente, nella versione greca contenuta nella Praeparatio Evangelica di Eusebio.
La lettura delle opere di Edith Stein suscita stupore e ammirazione per la capacità da lei dimostrata di spaziare in molti campi del sapere, ma, soprattutto, per la sensibilità che le consente di esaminare tutti i “fenomeni” – tutto ciò che si presenta all’essere umano e, in primo luogo, se stesso come fenomeno – con occhi disincantati, con grande realismo e atteggiamento critico, senza sottacere nulla, anche ciò che può apparire sgradevole. Tuttavia, mentre emerge il grande sforzo intellettuale e morale di mettere in evidenza ciò che è positivo, si manifesta con altrettanto vigore l’intento di ricercare l’equilibrio, l’armonia.
Ripercorrendo la sua vita e i suoi scritti è possibile mostrare come “cose” che sembrano fra loro opposte sono da lei armonizzate nella concretezza della sua esistenza e nella sua indagine teorica, perché ella ha scoperto che al fondo di tutto c’è un’unica verità. Il “mettere armonia” è rintracciabile, pertanto, nella continuità da lei vissuta fra ebraismo e cristianesimo, nell’analisi della complessità dell’essere umano, in riferimento al quale corpo e anima, maschile e femminile, individuo e comunità solo apparentemente sono in contrasto, nella conciliazione fra ragione ed esperienza religiosa, fra filosofia e mistica. Non si tratta di ignorare le differenze, che sono, anzi, analizzate con grande acutezza, ma di scoprire, al di là di esse, la possibilità di un accordo, sofferto, perché esso si presenta come una sfida per l’essere umano.
L’intento di questo libro è di mostrare tutto ciò attraverso un percorso documentato nei brani antologici, che sono parte integrante dell’indagine e che ne costituiscono il sostegno teorico. Attraverso di essi il lettore, infatti, può saggiare facilmente e personalmente la validità dell’operazione del “mettere armonia”, proposta dalla pensatrice tedesca.
Angela Ales Bello è professore ordinario di Storia della Filosofia Contemporanea presso l’Università Lateranense, già decano della Facoltà di Filosofia, ed è professore a contratto presso la LUMSA. Dirige il Centro Italiano di Ricerche Fenomenologiche con sede in Roma, affiliato a The World Phenomenology Institute (Hanover, N.H. USA), e fa parte del comitato di redazione di numerose riviste italiane e straniere, fra le quali «Inquiry» (USA). Le sue pubblicazioni sono rivolte ad indagare la fenomenologia tedesca in rapporto alle altre correnti del pensiero contemporaneo sotto il profilo storico e teoretico.
È co-curatrice della traduzione italiana delle Opere di Edith Stein. Fra i suoi libri più recenti: L’universo nella coscienza. Introduzione alla fenomenologia di Edmund Husserl, Edith Stein, Hedwig Conrad-Martius, ETS, Pisa 2007² e The Divine in Husserl and Other Explorations, Analecta Husserliana, vol. XCVIII, Springer, Dordrecht 2008.
Ignazio di Antiochia e Policarpo di Smirne sono ancor oggi venerati dalla Chiesa universale come grandi santi e martiri dell'età apostolica. I loro scritti furono sempre ritenuti dalla Chiesa preziose testimonianze del magistero apostolico e del Cristianesimo delle origini. La Lettera agli Efesini, Ai Magnesii, Ai Tralliani, Ai Romani, Alla Chiesa di Filadelfia, Alla Chiesa di Smirne, A Policarpo costituiscono le celebri e preziose Lettere di Ignazio, nelle quali ritorna spesso il tema a lui forse più caro: l'importanza dell'unione della Chiesa con il proprio vescovo. Policarpo rappresentò un vero e proprio anello di congiunzione tra gli apostoli di Gesù e la prima generazione dei Padri della Chiesa. Di lui possediamo solo la lettera Ai Filippesi qui pubblicata insieme al Martirio di san Policarpo.
Il volume raccoglie le due più autorevoli biografie medievali di Anselmo d’Aosta, presentate in edizione scientifica e con testo latino a fronte. La Vita Anselmi redatta da Eadmero, a parte lo stesso epistolario, è la fonte più ampia e sicura per la conoscenza della biografia anselmiana. Eadmero si presenta come «compagno di esilio dell’arcivescovo, nostro signore e padre», professandosi indegno di tale esilio e di tale compagnia. Anselmo a sua volta lo chiamerà «figlio carissimo, bastone della mia vecchiaia», «al quale - egli afferma - i miei amici sono debitori tanto quanto mi amano». L’autore ha potuto stendere il suo racconto o per aver ascoltato le effusive rievocazioni di Anselmo stesso e le testimonianze di persone affidabili, o per aver fatto constatazioni di persona nell’assidua comunione di vita. Vi troviamo il monaco amante della riflessione lucida e sottile, l’educatore illuminato e profondamente amato, il vescovo retto e tribolato, tenace difensore della «libertà della Chiesa», il pastore premuroso e umile del popolo di Dio, talora accompagnato da segni miracolosi straordinari. Autore della seconda Vita di sant’Anselmo è il colto e raffinato Giovanni di Salisbury - specialmente celebre per il Metalogicon -, il quale la redige su invito di Thomas Becket, che mirava a ottenere da papa Alessandro III la canonizzazione del suo predecessore nella sede di Canterbury. La sua fonte sono i «grossi volumi» - come egli li chiama - della Vita redatta da Eadmero: egli ne ha fatto la sintesi, al fine di offrire «un po’ di conforto a dei pellegrini». Non mancano tuttavia nella narrazione di Giovanni di Salisbury dati o parole anselmiani nuovi, che egli poté raccogliere a Canterbury e soprattutto, pur nella identità fondamentale della figura e delle sue vicissitudini, si trova elaborato e proposto un profilo di Anselmo che porta con chiarezza i segni esegetici del suo autore. Anselmo - secondo Giovanni di Salisbury - si pone nella linea della figliolanza degli apostoli e dei profeti, quale successore della loro fede ed erede della loro virtù e delle loro opere: egli è «un uomo apostolico», un vero seguace degli apostoli». Giovanni di Salisbury scorge nella vita di Anselmo, come in filigrana, lo spirito e le azioni degli apostoli, la loro santità e il loro stile. In aggiunta alle due Vite, il volume contiene una serie di altri testi Vita brevior, Epitaffi, Miracoli... relativi alla figura di Anselmo.
Documento di straordinario interesse, la "Vita di Costantino" offre testimonianze di prima mano su avvenimenti che segnarono la nascita dell'impero bizantino come il Concilio di Nicea, e coglie gli aspetti innovativi della politica del fondatore della "nuova Roma". In questa opera composita, che si pone tra diversi generi letterari, la storiografia, la biografia e l'encomio, Eusebio di Cesarea celebra il primo imperatore cristiano, Costantino, di cui intuisce il carattere quasi rivoluzionario della condotta politica. Dall'inedito connubio tra religione cristiana e potere imperiale nascerà la nuova teologia politica, destinata a divenire il cardine dell'ideologia imperiale dell'intero millennio bizantino. Nell'introduzione Laura Franco offre un quadro storico dell'opera e ne sottolinea le principali caratteristiche letterarie.
Perché presentare nuovamente al pubblico la Didachè, che sin dalla sua scoperta (1873) e prima pubblicazione (1883) è stata oggetto di numerose traduzioni, studi e commenti? La risposta è una sola: l’esigenza di osservare il testo sotto una luce nuova. La Didachè veniva considerata come la più antica opera della Patristica Cristiana, e, giustamente, era vista come una straordinaria testimonianza della vita di una Comunità alla fine del I sec., nel particolarissimo momento della prima elaborazione di un cammino di fede attraverso cui si sarebbe operato il progressivo sviluppo di tutta la Chiesa. Abbiamo cercato qui quanto più possibile di metterne in luce i profondi legami con l’ambiente ebraico di origine, cercando di intravedere, attraverso il greco della koinè, parole ed espressioni che permettessero di risalire al contesto culturale e spirituale dell’ebraismo. Del resto siamo di fronte ad un’opera che certamente si è avvalsa di testi precedenti composti sia in ebraico che in aramaico. Lo stesso titolo dell’opera viene reso con Torah, termine ebraico corrispondente ad “insegnamento”, in greco Didachè. Quando il testo venne pubblicato gli studiosi ebbero l’impressione di essere trasportati sulla scena delle origini cristiane, all’epoca in cui i membri della Comunità ebraica messianica erano assidui nell’ascoltare la didachè degli apostoli (At 2,42) e la Comunità si apriva all’ingresso dei goyim, dei pagani che decidevano di convertirsi. Un ebreo e una cristiana rileggono e commentano quello che alcuni considerano il più antico testo cristiano, che forse precede anche le Lettere di Paolo e i Vangeli.
Chi erano i profeti e che funzione aveva la profezia nel cristianesimo antico? Quali ipotesi possono essere formulate sul cosiddetto declino della profezia nel II secolo? Fu l´affermarsi della grande Chiesa a monopolizzare la profezia e a relegare i profeti in una posizione marginale? Alla luce di un rinnovato approccio alle fonti e di nuova documentazione presa in considerazione, si rivela oggi indispensabile riconsiderare alcune questioni centrali: le differenze che si riscontrano nelle Chiese: i rapporti del profetismo cristiano con quello israelitico-giudaico e con quello greco-romano; il tipo di profezia che si esprimeva nei gruppi minoritari e marginali, il ruolo della profezia femminile e dei martiri cristiani, il rapporto tra vescovi e profeti. Il volume raccoglie contributi su queste tematiche di attenti ricercatori e di alcuni tra i più autorevoli studiosi italiani di cristianesimo antico e giudaismo e apre nuove e interessanti prospettive di ricerca.
Il volume si prefigge lo scopo di chiarire come debba intendersi "la mistica cristiana", e a tal scopo l'autore la analizza in modo sistematico, come un aspetto principale della teologia. Del resto come si può leggere nella Presentazione del volume, scritta da S.E. Mons. Luis F. Ladaria, Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, "non basta parlare dell'esperienza mistica, c'è altresì bisogno di affrontare teologicamente la mistica in sé, e di trovare il metodo adatto per farlo coerentemente con i contenuti della nostra fede. L'autore ha trovato giustamente il punto di partenza dall'esperienza di Gesù, il Dio fatto uomo, che nella sua relazione con Dio-Padre... ci offre i criteri fondamentali per ogni vera esperienza spirituale cristiana."
Il tema della socialità dell'uomo occupa un posto rilevante nella riflessione agostiniana. Per il vescovo di Ippona nessun vivente è così portato alla discordia per vizio e, nello stesso tempo, è così socievole per natura, come l'uomo. In forza della comune origine dall'unico progenitore, Dio ha voluto esortarci alla concordia fra molti. L'unità del genere umano da un solo uomo è perciò invito a costruire l'unità nella molteplicità. Proprio per la complessità e la vastità del tema, l'Autore ha ricondotto l'indagine sull'argomento principalmente al Commento al Vangelo e alla Prima lettera di Giovanni. Nella lettura e commento degli scritti agostiniani, Ceriotti mette in luce la centralità di Cristo, artefice e centro d'unità.
Commento dei Padri della Chiesa su Levitico-Giobbe
Duplice è la novità assoluta di questo libro, a livello mondiale: prima traduzione in lingua moderna di queste due opere di Eliseo l’Armeno e prima edizione critica del testo. Per la prima volta si portano alla luce i tesori della letteratura armena, testimone di una spiritualità e di un’impostazione teologica originali.
In età patristica i commenti ai libri biblici di Giosuè e Giudici sono piuttosto rari. Spiccano quelli di Origene, a cui si rifanno più o meno direttamente tutti gli altri. Questi commenti di Eliseo sembrano ignorare l’opera di Origene. Riprendono piuttosto il metodo esegetico di Filone di Alessandria del quale Eliseo, come profondo conoscitore, assimila e rielabora il pensiero facendone mirabile esempio di esegesi cristiana. L’interesse di questi commenti sta proprio nella straordinaria originalità e autonomia rispetto ai coevi. Passi biblici del tutto o quasi ignorati dalla tradizione trovano in Eliseo un’attenzione inaspettata. A torto gli studiosi hanno trascurato queste opere ritenute “minori”: da questa parte del corpus eliseano emerge infatti una personalità di rara profondità teologica e grande spessore spirituale.
Il volume raccoglie alcuni scritti ciprianei: A Donato, invito rivolto ad un amico battezzato ad abbandonare per sempre i beni terreni. Gli idoli non sono dèi: si tratta di uno scritto sull'esistenza dell'unico Dio. La condotta delle vergini, una dura condanna del lassismo che ha colpito l'ordine delle vergini. A Quirino: una raccolta di passi scritturistici che evidenziano la novità del messaggio cristiano. Gli apostati della fede sul problema dei lapsi.