Quando si perde un genitore, un compagno, un figlio, un lavoro, una sfida decisiva, quando si commette un errore, quando si va in pensione o ci si trasferisce, c'è sempre una mattina dopo. Un senso di vuoto, una vertigine. Che ci prende quando ci accorgiamo che qualcosa o qualcuno che avevamo da anni, e pensavamo avremmo avuto per sempre, improvvisamente non c'è più. Perché dopo una perdita o un cambiamento arriva sempre il momento in cui capiamo che la vita va avanti, sì, ma niente è più come prima, e noi non siamo più quelli di ieri. Un risveglio che è inevitabilmente un nuovo inizio. Una cesura dal passato, un da oggi in poi. A questo momento, delicato e cruciale, Mario Calabresi dedica il suo libro, partendo dal proprio vissuto personale e familiare, per poi aprirsi alle esperienze altrui. E racconta così prospettive e vite diverse, che hanno tutte in comune la lotta per ricominciare, a partire dalla mattina dopo. Storie di resilienza, di coraggio, di cambiamento, storie di persone che hanno trovato la forza di guardare oltre il dolore dell'oggi, per ricostruirsi un domani. Perché, realizza Calabresi, «il giorno dopo finisce quando i conti sono regolati, quando ti fai una ragione delle cose e puoi provare a guardare avanti, anche se quel davanti magari è molto diverso da quello che avevi immaginato».
Jena, nel 1800, è l'epicentro intellettuale e culturale della Germania. La città non conta neppure cinquemila abitanti, circa un quinto dei quali studenti. Una città che si trova al centro del ducato di Sassonia-Weimar, in una conca tra ripidi pendii di calcare conchilifero, e vive dell'Università, di artigianato e di commercio. Jena è dunque una piccola cittadina, eppure attira tutti coloro che hanno rango e nome oppure che sperano di ottenerli un giorno. Qui, come si sente dire in quasi tutta Europa, è la vera residenza dello spirito. L'Accademia di Platone oggi si trova sulla Saale, il fiume della città. Dal 1794 dimora qui Johann Gottlieb Fichte, un ardente seguace della nuova filosofia, la filosofia critica, Da Königsberg Kant ha suscitato non meno di un terremoto filosofico. La "Critica della ragion pura", apparsa a Riga nel 1781, è l'opera del momento. La critica kantiana della ragione scuote il mondo dello spirito. Tuttavia, per il momento, il libro si impolvera sugli scaffali. Soltanto a Jena, alla fine degli anni Ottanta, riceve l'attenzione che gli spetta: qui sarà letto, discusso e commentato, qui comincia la sua marcia trionfale. Come un'onda d'urto il pensiero critico afferra il continente europeo e getta lo spirito in una crisi dalla quale può liberarsi soltanto da sé. Ciò che lì, a Parigi, viene rovesciato dalla Rivoluzione reale, quella politica, qui viene violentemente scardinato dalla Rivoluzione ideale, quella filosofica: i vecchi sistemi di persuasione non valgono più. Kant è la nuova epoca. E Fichte il suo messia.
«Qualcuno è bravo con i nomi sa un nome per tutte le cose». Chandra Livia Candiani invece i nomi li confonde, li centrifuga, li riassegna dandogli piú forza. Essere in una stessa poesia cammello, seme di una mela, cane, fiamma e altre cose è rinominare il mondo con un'altra logica. La forte metaforicità di questa poetessa è tutt'uno con la ricerca di fermare in linguaggio il flusso incessante di sensazioni contrastanti ed entità che la attraversano, che ci attraversano. Se nell'atto del camminare dice di essere per metà uccello e per metà albero, non è solo un'analisi precisa della natura umana che tende contemporaneamente a staccarsi da terra e ad ancorarsi ad essa. Non è una semplice iperbole. È la condivisione della natura di uccello e di albero, che stanno dentro quella umana, perché tutte stanno insieme in un'«orchestra del mondo», fatta «di gridi e canti bisbigli e strepiti». Non sempre in perfetta armonia. I versi di Chandra, le sue parole, le sue metafore, vengono da quella partitura.
Mentre Three Pines è travolta da piogge e inondazioni senza precedenti, Armand Gamache, in procinto di tornare a capo della Sûreté du Québec dopo essere stato sospeso, deve gestire una duplice emergenza: quella meteorologica, con fiumi in piena e dighe che rischiano di cedere in tutta la zona; e quella legata all'improvvisa sparizione di una ragazza, Vivienne Godin. Ha venticinque anni, è incinta e tra i sospettati della sua scomparsa c'è il marito violento e alcolizzato. Ma con i media che attaccano Gamache per la gestione della calamità e lo stato di allerta nella provincia, le indagini procedono a rilento. Eppure Gamache, che ha una figlia della stessa età di Vivienne, non può fare a meno di immedesimarsi nel padre, soprattutto perché qualcosa lo porta a credere che si tratti di omicidio.
Nello scenario post Covid si apre il terzo decennio del XXI secolo. L'Italia, in questo primo tratto, ha mostrato di non poter dare alle nuove generazioni l'occasione di contribuire in modo qualificato ai processi di crescita e di realizzare in modo pieno i propri progetti di vita. Dopo la recessione economica, che ha condizionato il decennio scorso, anziché ritrovare un nuovo slancio aprendo spazi e opportunità alle componenti più innovative e dinamiche, il Paese ha continuato a tenere i giovani ai margini. Cosa accadrà ora, dopo l'emergenza sanitaria? I segnali positivi non mancano e la voglia di rilancio è presente in molte componenti della società e in molti settori dell'economia. Possono, questi segnali, essere considerati come anticipatori del percorso che l'Italia saprà intraprendere nel nuovo decennio? O rimarranno spinte deboli e minoritarie verso un irreversibile declino? È certo che, se anche questa terza decade sarà simile alle prime due, risulterà difficile per i giovani italiani immaginare di raggiungere obiettivi professionali e di vita comparabili a quelli delle aree di più avanzato sviluppo in Europa e nel mondo. Per converso, è anche certo che questo decennio sarà diverso se il ruolo delle nuove generazioni nella società e nell'economia potrà essere diverso. Il Rapporto Giovani 2020 presenta un bilancio sulla condizione giovanile e sulle dinamiche dell'ultimo decennio, con particolare attenzione alle diseguaglianze che si intrecciano con la questione generazionale, ma approfondisce anche alcuni aspetti cruciali delle prospettive dei giovani (sul versante del lavoro, dell'impatto dell'innovazione tecnologica, dei temi ambientali, della partecipazione sociale e politica, dei consumi culturali).
Lettera
Samaritanus bonus
sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita
Introduzione
Il Buon Samaritano che lascia il suo cammino per soccorrere l’uomo ammalato (cfr. Lc 10, 30-37) è l’immagine di Gesù Cristo che incontra l’uomo bisognoso di salvezza e si prende cura delle sue ferite e del suo dolore con «l’olio della consolazione e il vino della speranza».[1] Egli è il medico delle anime e dei corpi e «il testimone fedele» (Ap 3, 14) della presenza salvifica di Dio nel mondo. Ma come rendere oggi questo messaggio concreto? Come tradurlo in una capacità di accompagnamento della persona malata nelle fasi terminali della vita in modo da assisterla rispettando e promuovendo sempre la sua inalienabile dignità umana, la sua chiamata alla santità e, dunque, il valore supremo della sua stessa esistenza?
Lo straordinario e progressivo sviluppo delle tecnologie biomediche ha accresciuto in maniera esponenziale le capacità cliniche della medicina nella diagnostica, nella terapia e nella cura dei pazienti. La Chiesa guarda con speranza alla ricerca scientifica e tecnologica, e vede in esse una favorevole opportunità di servizio al bene integrale della vita e della dignità di ogni essere umano.[2] Tuttavia, questi progressi della tecnologia medica, benché preziosi, non sono di per sé determinanti per qualificare il senso proprio ed il valore della vita umana. Infatti, ogni progresso nelle abilità degli operatori sanitari richiede una crescente e sapiente capacità di discernimento morale[3] per evitare un utilizzo sproporzionato e disumanizzante delle tecnologie, soprattutto nelle fasi critiche o terminali della vita umana.
Inoltre, la gestione organizzativa e l’elevata articolazione e complessità dei sistemi sanitari contemporanei possono ridurre la relazione di fiducia tra medico e paziente ad un rapporto meramente tecnico e contrattuale, un rischio che incombe soprattutto nei Paesi dove si stanno approvando leggi che legittimano forme di suicidio assistito ed eutanasia volontaria dei malati più vulnerabili. Esse negano i confini etici e giuridici dell’autodeterminazione del soggetto malato, oscurando in maniera preoccupante il valore della vita umana nella malattia, il senso della sofferenza e il significato del tempo che precede la morte. Il dolore e la morte, infatti, non possono essere i criteri ultimi che misurano la dignità umana, la quale è propria di ogni persona, per il solo fatto che è un “essere umano”.
Dinnanzi a tali sfide, capaci di mettere in gioco il nostro modo di pensare la medicina, il significato della cura della persona malata e la responsabilità sociale nei confronti dei più vulnerabili, il presente documento intende illuminare i pastori e i fedeli nelle loro preoccupazioni e nei loro dubbi circa l’assistenza medica, spirituale e pastorale dovuta ai malati nelle fasi critiche e terminali della vita. Tutti sono chiamati a dare testimonianza accanto al malato e diventare “comunità sanante” perché il desiderio di Gesù, che tutti siano una sola carne, a partire dai più deboli e vulnerabili, si attui concretamente.[4] Si percepisce ovunque, infatti, il bisogno di un chiarimento morale e di indirizzo pratico su come assistere queste persone, giacché «è necessaria una unità di dottrina e di prassi»[5] rispetto ad un tema così delicato, che riguarda i malati più deboli negli stadi maggiormente delicati e decisivi della vita di una persona.
Diverse Conferenze Episcopali nel mondo hanno pubblicato documenti e lettere pastorali, con le quali hanno cercato di dare una risposta alle sfide poste dal suicidio assistito e dall’eutanasia volontaria ‒ legittimati da alcune normative nazionali ‒ con particolare riferimento a quanti lavorano o sono ricoverati all’interno delle strutture ospedaliere, anche cattoliche. Ma l’assistenza spirituale e i dubbi emergenti, in determinate circostanze e particolari contesti, circa la celebrazione dei Sacramenti per coloro che intendono porre fine alla propria vita, richiedono oggi un intervento più chiaro e puntuale da parte della Chiesa, al fine di:
‒ ribadire il messaggio del Vangelo e le sue espressioni come fondamenti dottrinali proposti dal Magistero, richiamando la missione di quanti sono a contatto con i malati nelle fasi critiche e terminali (i familiari o i tutori legali, i cappellani ospedalieri, i ministri straordinari dell’Eucaristia e gli operatori pastorali, i volontari ospedalieri e il personale sanitario), oltre che dei malati stessi;
‒ fornire orientamenti pastorali precisi e concreti, affinché a livello locale si possa affrontare e gestire queste complesse situazioni per favorire l’incontro personale del paziente con l’Amore misericordioso di Dio.
Gli interventi più significativi pronunciati da Papa Francesco sui temi riguardanti l'educazione: una documentazione che offre spunti utili per orientare le istituzioni educative e per aprire, nel contesto culturale odierno, orizzonti di un nuovo umanesimo. I testi scelti toccano vari aspetti dell'educazione: dal ruolo dei diversi soggetti coinvolti al compito delle istituzioni, dai contenuti ai linguaggi dell'educazione, dal rapporto di questa con la missione evangelizzatrice della Chiesa alla sua capacità di illuminare la ricerca della verità, fino al tema tanto caro al Papa: il patto educativo globale. Un gesto che Papa Francesco vuole condividere con tutti per affidare all'educazione un compito trasversale e inclusivo di tutte le espressioni della vita personale, culturale e sociale dell'uomo.
Dom Hélder Câmara è stato certamente una delle figure più significative della Chiesa universale e della società del secolo scorso.
Cresciuto alla scuola dei poveri e dei perseguitati, di cui divenne ben presto la voce, predicò un Vangelo di pace e di giustizia, indicando la strada della conversione e della nonviolenza. Fortemente contrastato dal potere politico-militare del suo Paese e guardato con sospetto anche da ampi settori della Chiesa e dei dicasteri vaticani, dom Hélder, con il sostegno e la stima di Paolo VI, cercò di tradurre in realtà il sogno di un altro mondo possibile, basato sulla giustizia, sulla fraternità e sulla pace, e quello di una Chiesa aperta allo Spirito, povera e serva del Regno.
A sette secoli dalla sua morte Dante sorprende ancora per l'originalità e la complessità della sua opera, né cessa di attirare lettori e studiosi. Le sue opere, che si affermano e rimangono come straordinari unica nella nostra tradizione culturale, rifondono in una dimensione al tempo stesso autobiografica e universale certezze e contraddizioni dell'uomo medievale. Ma la ragione prima del fascino e della perdurante attualità dell'invenzione dantesca sta nella sua prodigiosa capacità di trascendere tale alterità e imporsi nella coscienza del lettore di ogni tempo. Scritti da alcuni dei massimi specialisti nell'ambito della filologia e della critica dantesca, i saggi compresi nel volume presentano sia una lettura incisiva e autorevole di ognuna delle opere di Dante, dalle Rime alla Commedia, sia un attraversamento critico delle principali questioni e delle tradizioni culturali che ne sono a fondamento. Nell'insieme il volume disegna quindi, e rende accessibile a tutti i lettori, un quadro ampio e rigoroso dei migliori risultati degli attuali studi danteschi.
Ardito ha tredici anni e un grande sogno: diventare un calciatore famoso e finire su una figurina. Ecco perché (dopo aver rotto un vetro a scuola con una pallonata), quando i suoi genitori per punizione gli impediscono di giocare a calcio, è disposto a tutto pur di farsi perdonare. Nello specifico, deve prendere un Dadieci, voto supremo mai assegnato in carriera dal prof di italiano, nel tema su un nonno. Peccato che nonna Emma sia sempre troppo indaffarata e che nonno Marzio passi il tempo su una carrozzina o a letto, non mangi ma sbavi, non parli ma blateri di un brillante mai esistito. Non certo materiale per un Dadieci! Ardito però non si dà per vinto, e quella che sembra una missione impossibile si trasforma in un'avventura destinata a far rivivere il passato del nonno e a dare senso al proprio presente. Età di lettura: da 10 anni.
Nicolai Lilin ricostruisce la vita sorprendente e la folgorante ascesa politica di Vladimir Putin, da una misera casa popolare nel quartiere criminale di Leningrado alla poltrona presidenziale del Cremlino. Lilin indaga non solo la storia ma anche l'animo di Putin. Come in un romanzo ne racconta le origini, ne descrive le trasformazioni, ne ricorda i talenti che lo hanno portato a diventare il personaggio che conosciamo: temuto, amato, discusso e divisivo. Un ragazzo a cui la strada ha insegnato a essere spietato e ambizioso. Un giovane uomo affascinato dalle avventure delle spie sovietiche che sogna di lavorare nel KGB. Un uomo che vive dal di dentro la carneficina politica degli anni di Eltzin e che il vecchio Boris chiama all'ultimo accanto a sé. Un presidente che, giunto al Cremlino, deve fare i conti con un Paese in ginocchio e un apparato amministrativo obsoleto e corrotto. Intanto, i terroristi islamici occupano una parte del Daghestan, proclamando il "califfato islamico del Caucaso". Santificato o detestato, Putin è comunque oggetto di un culto della personalità che non ha eguali nel mondo contemporaneo. Ma chi è davvero il nuovo zar di tutte le Russie?
C'è un senso alla storia? I fatti hanno un senso e rispondono a un disegno provvidenziale? Se molti pensano che tutto sia frutto del caso o che la storia sia il grande palcoscenico sul quale si realizza l'opera dell'uomo, il cristiano è invece invitato a pensare diversamente. Infatti, tutto quello che accade è la realizzazione di un progetto divino, al cui centro sta l'avvenimento più grande che l'umanità conosca: l'Incarnazione del Verbo, la venuta del Figlio di Dio, il Cristo. La storia si realizza quindi attraverso personaggi che testimoniano le insidie del diavolo (le eresie e le aberrazioni) e la sollecitudine divina (i santi e i miracoli). Compito dello storico cristiano è quello di illuminare i credenti sulla corretta interpretazione senza cedimenti o concessioni, in nome della verità.