La democrazia ibrida che stiamo attraversando denuncia la crisi della democrazia rappresentativa, apertamente sfidata dalla democrazia diretta. Diventa difficile capire quel che succederà domani. Perché i segni dell'ibridazione si riproducono, senza soluzione di continuità. Ma insieme agli spazi politici e comunicativi, è cambiata anche la società. Al suo interno avanzano i 'cittadini ibridi', che sperimentano forme di partecipazione e parlano linguaggi di segno diverso. Fra televisione, piazza e rete. A loro è affidato il compito (la speranza?) di restituire un futuro alla democrazia rappresentativa. Che è ibrida per 'costituzione'. Crocevia fra governo e partecipazione, efficienza e passione, istituzione e mobilitazione. Diventare ibridi: non è un vizio, ma una virtù (e una necessità) democratica.
In questi anni abbiamo fronteggiato complesse crisi economiche, ambientali e finanziarie che ci hanno fatto capire di essere più vulnerabili di quanto pensavamo. Per affrontare le sfide del futuro servono modelli affidabili su cui fare previsioni e simulare scenari alternativi per passare dall'accettazione supina dell'incertezza alla gestione consapevole del rischio. Ma il "diluvio di dati" cui siamo sottoposti rende difficile distinguere tra notizie false e fenomeni reali, cosicché i cittadini rischiano di prendere decisioni sbagliate o di essere ridotti a spettatori di una politica che persegue obiettivi poco trasparenti. Ricostruire la catena che lega informazione, conoscenza e scelte politiche, così da selezionare in modo più consapevole anche la classe politica, diventa un obiettivo fondamentale della democrazia al tempo dei Big Data.
Il mondo non cambia da sé e di per sé. Eppure ogni giorno, ossessivamente, ci sentiamo ripetere che alcune scelte economiche sono obbligate, che costi sociali pesanti e ingiusti sono necessari, che perfino i provvedimenti politici da adottare non possono che seguire linee già tracciate. Quasi che i cambiamenti, i rapporti e le logiche di cui si parla siano privi di autori e costituiscano una sorta di stato di natura. Per contrastare questa logica dobbiamo capire gli interessi che hanno guidato i cambiamenti degli ultimi trenta anni e i motivi per cui essi hanno prevalso. Dobbiamo capire come delocalizzazione, impiego di informatica e robotica, spostamento dei capitali verso i mercati finanziari abbiano portato i profitti a un punto mai raggiunto in un recente passato spostando i livelli di forza a danno del lavoro. E che il risultato di questa vera e propria controffensiva è stata la riduzione dei diritti senza che ad essa siano seguiti progressi sia economici che sociali.
Questo libro parla del ventesimo secolo che "comincia con una guerra mondiale catastrofica e finisce con il crollo della maggior parte dei sistemi di credenze dell'epoca: non può certo attendersi un trattamento affettuoso a posteriori. Dai massacri degli armeni alla Bosnia, dall'ascesa di Stalin alla caduta di Hitler, dal fronte occidentale alla Corea, il ventesimo secolo è un incessante susseguirsi di sventure umane e sofferenze collettive dalle quali siamo emersi più tristi, ma più saggi". Questa è una storia delle idee politiche moderne in Europa e negli Stati Uniti, di parole come potere e giustizia, così come sono state intese dalla fine del diciannovesimo secolo all'inizio del ventunesimo. È una riflessione sui limiti (e sulla capacità di rinnovamento) delle idee politiche, e sulle carenze (e sugli obblighi) morali degli intellettuali. È anche il racconto del secolo che ha incrociato la vita e il percorso intellettuale di Tom Judt, un suo narratore.
"L'interesse nazionale italiano e l'interesse comune europeo: è questo che, in definitiva, ha contato e conta per me più di ogni altra cosa." A parlare così è il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano; e le sue parole aiutano a comprendere meglio il suo pensiero sui principali argomenti all'ordine del giorno nel dibattito politico interno e, soprattutto, internazionale. In questa frase c'è la chiave più semplice per interpretare la funzione svolta dal capo dello Stato durante la crisi economica e istituzionale attraversata dal nostro paese e più specificamente sul piano delle relazioni tra l'Italia e il resto del mondo. Il dialogo con Rampini consente di ripercorrere le fasi salienti del settennato 2006-2013 e le idee guida dell'azione del presidente sul versante internazionale, incentrata su due scelte fondamentali di politica estera. La prima è quella del dare nuovo vigore alla prospettiva europeista. La seconda scelta è una decisa visione transatlantica. Napolitano sottolinea che valori, concezioni e impegni essenziali legano indissolubilmente l'Europa agli Stati Uniti. Un legame da salvaguardare e rinnovare malgrado ogni difficoltà.
C'è differenza tra l'individuo e la persona: la persona è quell'entità morale che è dotata di autonomia e relazionalità con l'altro, l'individuo massimizza invece l'utilità personale. Mettere al centro la persona vuol dire mettere al centro un'antropologia positiva. Comprendere il contesto attuale e individuare le opportunità per dare vita a una rinascita umana e culturale è la strada obbligata per guardare al futuro dell'Europa senza l'incubo di un fallimento epocale. Che cosa sta accadendo nel Vecchio continente dopo la crisi degli ultimi anni? Quali cambiamenti comporta in termini di governance delle istituzioni nazionali e transnazionali? Riflettendo sui fattori finanziari, sociali e politici che hanno portato alla crisi, gli interventi raccolti nel volume individuano le strade che possono restituire fiducia al tessuto economico e culturale che costituisce la forza del nostro Paese e che può rappresentare un modello per gli altri partner europei: dal ruolo che le famiglie possono avere nella ripresa ai modi più efficaci di investire in istruzione e capitale umano, fino alle strategie per costruire equilibri più solidi in Italia e in Europa. Esperti provenienti da diversi campi si cimentano in un dialogo ricco e stimolante e ci guidano attraverso i segni di novità e cambiamento che già oggi emergono nel nostro tessuto civile.
Negli scenari organizzativi attuali chi si occupa di produzione e gestione della conoscenza è chiamato ad affrontare molteplici livelli e a interagire con una pluralità di stakeholders, considerando differenti interessi, letture e posizioni. Il volume propone innovative indicazioni per la realizzazione di processi e operazioni di costruzione di conoscenza in ambito manageriale, in termini di fattibilità e applicabilità alla vita reale, qualità della collaborazione, rilevanza e sostenibilità della ricerca. Il valore della Collaborative Research viene evidenziato nella possibilità di sviluppare un approccio sensibile alla conoscenza in azione, in cui le pratiche e le teorie di management entrano in dialogo. Un aspetto distintivo risiede nella costante tensione a individuare modalità di connessione tra dimensioni situate della conoscenza e aspetti di trasferibilità e generalizzabilità della stessa. Nel volume, il riferimento a casi e a esperienze applicative offre al lettore un repertorio articolato per un efficace dialogo tra teoria e pratica.
Il nostro è il tempo grigio del nichilismo, non quello colorato della politica. Paralisi della rappresentanza, congelamento della competizione politica, perdita di significanza delle promesse e dei programmi elettorali, condivisione e larghi incontri, predominio del governo nella sua versione tecnica ed esecutiva di volontà altrui e sovrastanti: tutto ciò è quanto può riassumersi nell'espressione, ormai d'uso corrente, di 'post-democrazia', parola che può assumersi nel significato di 'divieto di discorso sui fini'.
Com'è possibile che l'umanità, che ha raggiunto un progresso tecnologico senza precedenti, non riesca a fare in modo che ogni uomo sul pianeta possa disporre di una casa, di cibo, degli indumenti essenziali, di cure adeguate, di un lavoro dignitoso commisurato alle sue possibilità? A questa domanda fondamentale - e sempre più urgente visti il degrado della nostra società e l'acuirsi delle disuguaglianze fra poveri e ricchi - la lettura di questo libro fornisce alcune risposte. Per l'autore la società potrà cambiare soltanto quando un'etica diversa guiderà le nostre azioni, sapremo instaurare un nuovo rapporto con la natura e abbandoneremo l'odierna "logica della crescita e della produttività", che si è rivelata rovinosa e incapace di risolvere i problemi, per una logica economica alternativa, davvero a misura d'uomo (con la creazione di fattorie e di piccoli centri abitati in cui si pratichi un'agricoltura di sussistenza, ad esempio, e una produzione industriale limitata ai beni veramente necessari). Con il suo stile semplice e diretto, Pierre Rabhi trasmette ai lettori una profonda simpatia per la terra e per il suo ideale di una sobrietà felice.
A partire da una sofisticata rielaborazione della tradizione politica americana, in cui si fondono tensioni individualiste e istanze comunitarie, il "jeffersoniano" Goodman affronta già alla metà del Novecento alcuni dei problemi cruciali delle società tardo-industriali, gli stessi con i quali facciamo i conti ancora oggi: crisi della democrazia rappresentativa, degrado urbano, marginalizzazione dei giovani, crescita della burocrazia, massificazione di bisogni, consumi e valori, crisi della ragione. E lo fa ricorrendo all'armamentario analitico del pensiero libertario, con soluzioni radicate nel qui e ora basate sul decentramento, la descolarizzazione, la disobbedienza civile, lo sviluppo della personalità, il potenziamento dei valori comunitari, la sperimentazione sessuale e familiare... Una miscela esplosiva che combina slancio utopico e progettualità pratica per rimodellare dal basso e in modo nonviolento la società.
Traffico, trasporti, strade e piazze, scuole e centri per gli anziani. Su tutto questo si concentra l'attività di comuni e province. Nel volume si spiega come funziona e come si va trasformando il governo locale, dopo gli effetti della crisi economica e delle manovre per contenere i costi e razionalizzare il funzionamento delle istituzioni.
Non c'è sinistra senza cambiamento. Se appare conservatrice - e succede troppo spesso - la sinistra smette di assolvere il suo compito storico che è sempre stato quello di trasformare, innovare. Non si è sinistra se non si disegna, specie in un momento così drammatico, un'idea di società nuova, una visione capace di riaccendere entusiasmi. Walter Veltroni muove dal profondo disagio nel paese e indica tre parole chiave per dare senso a un progetto riformista: responsabilità, comunità, opportunità. Analizza la crisi della democrazia italiana e apre un dibattito sul sistema semipresidenziale e sulla ridefinizione del rapporto tra società e politica. Contro l'egoismo sociale dominante, formula la proposta, mai così esplicita, di un patto tra i produttori, tra i lavoratori senza lavoro e gli imprenditori senza impresa, un patto per una "crescita felice" fondata sulla qualità e su nuove forme di partecipazione dal basso. In questo senso vanno le proposte sull'immigrazione (con la cittadinanza ai figli degli immigrati) o quelle sui diritti civili (per il riconoscimento legale del matrimonio fra persone che si amano, a prescindere dal loro sesso). Il libro mette in discussione alcune parole d'ordine divenute luoghi comuni, da "senza se e senza ma" a "non nel mio giardino": parole d'ordine che hanno contribuito a indebolire proprio l'idea di una sinistra aperta e inclusiva.