Abbiamo diviso in modo netto carnefici e vittime, l’Occidente e il caos, abbiamo tranquillizzato la nostra coscienza con racconti semplici e consolanti. Siamo riusciti a tracciare un confine tra umano e disumano: abbiamo descritto il terrorismo, gli attentati, le torture come sinonimo di disumano, e l’abbiamo rimosso dal nostro vissuto. Così l’Isis era un mostro sconosciuto che andava annientato, e le terre su cui ha allignato solo delle terre guaste da lasciare al loro destino segnato. Eppure tutto questo vale fino a quando non proviamo ad avvicinare lo sguardo, per vedere quanto di irresistibilmente umano resti anche dove abbiamo pensato non ci fosse bisogno di guardare più nulla. Francesca Mannocchi, giornalista reporter, già autrice con Alessio Romenzi del documentario Isis Tomorrow. The lost souls of Mosul, acclamato al Festival del Cinema di Venezia, in questo libro mette a disposizione del lettore un racconto dalle sfumature inaspettate. Dopo aver visitato le prigioni dell’Isis, essere scampata alle pallottole dei cecchini, aver visto cadaveri di bambini appena bruciati, ha deciso di usare il suo rigore e il suo coraggio da reporter per trasformare una storia che nessuno vuole ascoltare in un grande romanzo dal vero del nostro tempo. Non c’è un solo ritratto di questo volume che non si incida nella nostra mente: le donne vedove di miliziani pronte a essere madri di altri martiri, i bambini dei carnefici dell’Isis accanto ai bambini delle vittime dell’Isis nello stesso campo profughi, i giovanissimi orfani del Califfato che speravano di immolarsi in un attentato e adesso senza una gamba guardano fisso il vuoto, gli adolescenti terroristi che sembrano dei ragazzi di una qualunque periferia del pianeta. Quale sarà il futuro che li attende e ci attende?
L’Italia si contende con il Giappone il primato di nazione con più elevate speranze di vita. Nel nostro Paese l’aspettativa di vita media alla nascita varia da 82,3 anni per gli uomini con alto livello di istruzione a 79,2 anni per i meno istruiti. Per le donne il dato è ancora più favorevole: 86 anni per chi è in più fortunate condizioni socio-economiche e culturali; 84,5 anni per chi vive in condizioni di minori opportunità. Questa è certo un’ottima notizia, di cui possiamo andare fieri. Tuttavia, il dilatarsi del tempo delle nostre vite apre scenari nuovi e preoccupanti: come affrontare nel giusto modo le ultime decadi dell’esistenza? Come accettare l’inevitabile deterioramento delle condizioni di salute? Come convivere con l’insorgere delle malattie croniche? E ancora, che senso dare alle proprie giornate quando si esce dalla vita attiva? Non esiste una sola vecchiaia: naturalmente in parte il nostro destino è segnato dai geni che abbiamo avuto in eredità dai nostri genitori. Moltissimo però dipende da noi, dal nostro stile di vita, dalla scelta di vivere al meglio una stagione che può anche dare molti frutti. Con l’avanzare dell’età, infatti, la nostra capacità di giudizio risente positivamente delle nostre esperienze, e si sviluppa un tipo di pensiero libero, davvero adulto perché privo dei lazzi dell’esuberanza giovanile. La plasticità mentale acquisita negli anni può donare competenze e capacità sorprendenti. Nelle pagine di questo libro si parlerà quindi sia delle problematiche che interessano tutti gli organi e gli apparati del nostro corpo già a partire dai 50 anni (ma di vecchiaia vera e propria nei Paesi avanzati si parla dai 75 anni in su) con l’indicazione delle buone pratiche da seguire, sia anche delle risorse da valorizzare.
Il ‘mito delle origini’ è quello che ci fa pensare che esista un punto magico della nostra storia in cui tutto prende forma, tutto comincia e tutto si spiega; il punto in cui si cela l’intimo segreto della nostra identità. Questo libro dimostra che sul piano storico un tale paradigma non funziona. E lo fa a partire da un piatto fumante di spaghetti al pomodoro. Ma perché il paradigma non funziona? Per due buoni motivi. Il primo è che le ‘origini’ di per sé non spiegano nulla. È celebre la metafora di Marc Bloch: all’origine di ogni quercia c’è una ghianda, ma non tutte le ghiande diventano querce, e ciò che veramente interessa lo storico è capire quali ‘condizioni ambientali’ (economiche, sociali, tecnologiche, politiche, culturali) hanno reso possibile quello sviluppo, consentendo alla ghianda di mettere radici. Il secondo motivo è che ricercare le ‘origini’ di ciò che siamo (ovvero la nostra identità) non ci porta quasi mai a ritrovare noi stessi (ciò che eravamo) bensì una complessità di situazioni storiche – altre culture, altri popoli, altre tradizioni – il cui incontro e la cui mescolanza ha prodotto ciò che siamo diventati. Con il risultato che nella ricerca delle radici, non troviamo solo noi stessi ma anche e soprattutto gli altri, che vivono in noi e danno corpo alla nostra identità. Basta un piatto di spaghetti al pomodoro, il nostro piatto identitario per eccellenza, per scoprirlo: le sue origini ci riconducono in queste pagine a tempi lontani (dall’età antica e medioevale sino all’epoca moderna e contemporanea), in luoghi distanti (dall’Asia all’America, dall’Africa all’Europa) e alla scoperta di abitudini alimentari, modalità e tecniche produttive diversissime da quelle che conosciamo e pratichiamo oggi.
In un futuro non troppo lontano fatto di cyborg e veicoli volanti, la Chiesa cattolica è cambiata, trasformata da una riforma interreligiosa e umanitaria che ha vietato il segno della croce e la preghiera alla Madonna in nome dell’ecumenismo, della tolleranza e della fratellanza universale. La teologia è smart, proliferano i papi emeriti che si ritirano a vita privata, la basilica di San Pietro è divenuta il Tempio Numero Uno, i preti possono sposarsi con altri uomini e si sono visti riconosciuto canonicamente il diritto ad avere dei figli. Il nuovo corso della Chiesa del dialogo e della misericordia nasconde però un volto spietato e crudele: da qui nasce l’alleanza tra un monsignore, un giornalista e il comandante delle guardie svizzere per rovesciare una situazione ormai intollerabile. Riuscirà questo “piccolo gregge” di fedeli, alle soglie di un nuovo conclave, a combattere la buona battaglia e salvare la vera fede sulla terra?
Nel 1989 Franco Ferrarotti scriveva un saggio dedicato alla nascita di una società multiculturale e mutirazziale. Sono passati trent'anni e questo è un argomento ancora di fortissima attualità. La società è profondamente cambiata e gli italiani? Sono ancora razzisti? Abbiamo riproposto al pubblico questo saggio, con una nuova introduzione dell'Autore. Quella che sembrava ad attenti analisti sociali un'intuizione azzardata, si sta rivelando una previsione scientificamente fondata. Franco Ferrarotti, uno tra i maggiori sociologi italiani, è tornato su questo argomento con nuove e importanti riflessioni.
"Sulla scrittura, sull'amore, sulla colpa e altri piaceri" è un dialogo sulla vita e sulla scrittura, ma la voce di Shira Hadad, la editor di Amos Oz, è in fondo la coscienza del grande scrittore, che gli pone domande sul proprio passato, sui temi che l'hanno coinvolto, sulla sua intimità di uomo e scrittore. Ne scaturisce un ritratto a tutto tondo, una sorta di testamento artistico, spirituale e familiare. Un autoritratto di Amos Oz in forma di dialogo.
Viviamo nel paese della pseudoscienza? In Italia c'è più pseudoscienza che altrove? Il caso Di Bella e il metodo Stamina, due esempi di trattamenti fasulli, ma anche l'isteria che ha circondato gli ogm e persino i vaccini sono segni di un fenomeno tanto diffuso quanto pericoloso. Le pseudoscienze sono sempre fondate su dogmi e ideologie che non possono essere messi in discussione. Le teorie falsamente scientifiche non vengono mai formulate in modo tale da poter essere provate o smentite, i metodi sono segreti e rivendicano una straordinaria utilità pratica, come la capacità di curare malattie gravi. I resoconti sperimentali o clinici sono spesso incompleti e frammentari e, soprattutto, non finiscono mai sulle riviste scientifiche, ma sui social. E sui canali mediatici più potenti della nostra epoca gli pseudoscienziati non usano argomenti logici, bensì il linguaggio delle emozioni. Ma perché preferiamo credere alla pseudoscienza? Perché la troviamo più naturale della scienza? Gilberto Corbellini disegna una mappa dei pregiudizi più nocivi che colpiscono il nostro senso comune e, con la chiarezza e il rigore di un approccio naturalistico, ci guida nella scoperta delle origini e del modo di funzionare della pseudoscienza. Un fenomeno che minaccia profondamente la nostra società: la intossica, perché mette alla prova le basi cognitive che permettono la complessa costruzione del tessuto morale e politico di ogni democrazia liberale. Mentre "la scienza," spiega Corbellini, "favorisce la diffusione del pensiero critico e così produce libertà".
La guerra e il terrorismo sono una presenza quotidiana nelle notizie da tutto il mondo; ne siamo talmente avvolti da aver quasi eliminato dall'orizzonte del dibattito pubblico ogni possibile discorso sulla pace. Confrontandosi con la straordinaria risposta del popolo danese contro i nazisti, con il pericolo di una devastante guerra nucleare, con la brutalità del razzismo, Thomas Merton ci mostra concretamente la necessità di un mondo di pace, difficile da costruire ma possibile. E ci fa scoprire la potenza di una fede in grado di unire anziché dividere i popoli, e di infondere speranza in un futuro migliore.
Quando nel 1989 crollano il Muro di Berlino e i regimi comunisti, la democrazia liberale e il libero mercato sembrano sul punto di trasformare il mondo. Ma la libertà non ha vinto e per la generazione che aveva scommesso sulla Storia il nuovo sogno europeo si è trasformato in un incubo: la Terza Via non ha attecchito, l’esplosione della crisi ha messo il liberismo sul banco degli accusati e nel Vecchio Continente ma anche in America la paura del cambiamento ha portato al successo di movimenti populisti e illiberali.
Antonio Polito racconta i giorni dell’89 a Berlino e ripercorre trent’anni della nostra storia, intrecciando una lucida analisi politica con la vicenda personale e di una generazione, prima comunista e poi liberale: dall’impegno politico negli anni Settanta al Capodanno sulle rovine del Muro, dall’Inghilterra di Blair all’Ungheria di Orbán, dal referendum della Brexit al minaccioso futuro tecnologico made in China.
Come siamo cambiati? Cosa è stato dei nostri ideali? Abbiamo sbagliato tutto o stiamo solo vivendo una fase di passaggio? Queste pagine descrivono le nostre incertezze ma illuminano anche i valori da difendere, interpretando provocatoriamente, e non senza ironia, gli eventi e le idee del nostro tempo.
In questo inizio di Terzo Millennio a molti pare che un ritorno al silenzio sarebbe necessario e auspicabile. Ma che tipo di silenzio? Remo Bassetti ci offre in questo breve libro una «grammatica del silenzio», come antidoto al frastuono imperante che ci circonda.
Quando il lavoro smette di essere una costruzione e diventa una esecuzione pedissequa di mansioni e protocolli è un orrore, credete. Perché è fatica noiosa e deprimente e i lavoratori perdono il gusto del lavoro, garantendo, al massimo, la mediocrità.
Per questo nasce questo libro, per capire se è possibile riconquistare l’arte dentro la routine, e la passione dentro la fatica attraverso le parole del lavoro.
Vengono presentate cinque categorie di lavoro che aprono all’analisi di oltre 200 parole: due categorie specificamente altruistiche (la scuola e la medicina), due professioni di estrema concretezza (l’economia e l’ingegneria), e una “strana” ma che ha migliaia di “impiegati”: il clero.
Occorre che il buon-lavoro rinasca, che risorga la passione e l’amore all’opera delle proprie mani che, attraverso il contatto con la realtà, fa l’opera massima: edifica noi stessi.
Il primo film che le nostre nonne e le nostre madri andarono a vedere dopo la guerra fu "Via col vento". Molte si identificarono in una scena: Rossella torna nella sua fattoria, la trova distrutta, e siccome non mangia da giorni strappa una piantina, ne rosicchia le radici, la leva al cielo e grida: «Giuro che non soffrirò mai più la fame!». Quel giuramento collettivo fu ripetuto da milioni di italiane e di italiani. Fu così che settant'anni fa venne ricostruito un Paese distrutto. Come scrive Aldo Cazzullo, «avevamo 16 milioni di mine inesplose nei campi. Oggi abbiamo in tasca 65 milioni di telefonini, più di uno a testa, record mondiale. Solo un italiano su 50 possedeva un'automobile. Oggi sono 37 milioni, oltre uno su due. Eppure eravamo più felici di adesso». Ora l'Italia è di nuovo un Paese da ricostruire. La lunga crisi ha fatto i danni di una guerra. Per questo dovremmo ritrovare l'energia e la fiducia in noi stessi di cui siamo stati capaci allora. Cazzullo racconta l'anno-chiave della Ricostruzione, il 1948. Lo scontro del 18 aprile tra democristiani e comunisti. L'attentato a Togliatti e l'insurrezione che seguì. La vittoria al Tour di Bartali e l'era dei campioni poveri: Coppi e il Grande Torino, cui restava un anno di vita. Le figure dei Ricostruttori, da Valletta a Mattei, da Olivetti a Einaudi. Il ruolo fondamentale delle donne, da Lina Merlin, che si batte contro le case chiuse, ad Anna Magnani, che porta al cinema la vita vera. L'epoca della rivista: Wanda Osiris e Totò, Macario e Govi, il giovane Sordi e Nilla Pizzi. Ma i veri protagonisti del libro sono le nostre madri e i nostri padri. La loro straordinaria capacità di lavorare e anche di tornare a ridere. Il racconto di un tempo in cui a Natale si regalavano i mandarini, ci si spostava in bicicletta, la sera si ascoltava tutti insieme la radio; e intanto si faceva dell'Italia un Paese moderno.