
In questa miscellanea di saggi e articoli, riproposti in ordine cronologico nella loro versione originale, in italiano o in tedesco, si ritrovano molti degli intellettuali tedeschi 'altri', il cui distintivo è quello di non essere in sintonia con il proprio tempo: giacobini tedeschi, scrittori antifascisti nella guerra civile spagnola, Bertolt Brecht, Egon Erwin Kisch, Kurt Tucholsky, Carl von Ossietzky, Heinz Czechowski, Daniela Dahn. Tra i vari temi affrontati, la letteratura e la storia tedesca del Novecento, la situazione politica contemporanea in Germania (il passato nazionalsocialista che non passa, l'antisemitismo e i problemi sociali e culturali derivati dall'unificazione nazionale del 1990), e quella dell'Italia contemporanea, che viene analizzata a partire dagli anni Ottanta, con particolare riguardo alla sinistra italiana.
Nell'ottobre 2007 si è commemorato il novantesimo anniversario della 'rotta di Caporetto': per i soldati italiani e austro-tedeschi e per la popolazione friulana fu un evento determinante che cambiò le modalità del conflitto, la società e l'economia del Friuli. Furono giorni che misero a nudo tutte le carenze dello Stato maggiore italiano, l'arroganza dei momentanei vincitori austro-tedeschi e la giustificata paura delle genti friulane. Una parte consistente della popolazione cercò scampo nella fuga, un vero e proprio esodo, e coloro che rimasero dovettero subire vessazioni, violenze e saccheggi che si protrassero per interminabili giorni. La pubblicazione si propone di testimoniare quella realtà attraverso un percorso, frutto di una ricerca decennale, di immagini fotografiche e documenti provenienti dalle principali riviste italiane e austro-tedesche e da album privati, e di costituire un contenitore culturale divulgativo e didattico per fare piena luce sui rapporti intercorsi tra soldati italiani, austro-tedeschi e popolazione friulana e veneta nei giorni di Caporetto.
Il nome di Giovanni Orcel non figura nei libri di storia della Sicilia più noti e diffusi. Eppure fu un dirigente sindacale (segretario dei metalmeccanici di Palermo) e politico di primo piano, impegnato nello scontro interno al movimento operaio con opportunisti e pseudosocialisti, aperto al dibattito che porterà alla nascita del partito comunista (1921), protagonista dell'azione di affrancamento dei lavoratori e degli strati popolari dal dominio mafioso e attore di esperienze unitarie tra città e campagna, condotte assieme a Nicolò Alongi, altro dirigente dimenticato, e come lui caduto per mano mafiosa nel 1920, quando già si profilava la minaccia fascista. Il libro delinea il contesto socio-politico e ricostruisce la vicenda umana e politica di Orcel con una documentazione inedita, basata sulla stampa dell'epoca e su atti d'archivio che ci offrono un'immagine sconvolgente ma prevedibile dell'inchiesta sull'assassinio, più intesa ad assicurare l'impunità agli assassini che a svelarne e perseguirne le responsabilità, con un armamentario già collaudato e destinato a replicarsi, all'insegna delle omissioni colpevoli e del despistaggio garantito. Come scrive Umberto Santino nel saggio introduttivo, questo lavoro si inserisce pienamente nel quadro dell'attività trentennale del Centro Impastato di Palermo, volta a dare un'immagine adeguata della realtà siciliana, ancora oggi mortificata da rappresentazioni dominate da generalizzazioni e stereotipi.
La civiltà occidentale attribuisce alla guerra il potere di generare le forme della politica, i valori della società, la materia dell'arte, di decidere la storia individuale e collettiva. Lo studio delle narrazioni belliche insegna che quest'idea deriva dal paradigma culturale in cui si coniugano guerra e visione. In conformità all'archetipo eroico, che prescriveva al guerriero di distinguersi entro la mischia in un duello a singolar tenzone, poi eternato dal canto del poeta, l'Occidente per millenni pensa la battaglia come evento fatidico, momento della verità in cui le controversie si decidono irrevocabilmente, gli individui mostrano il proprio valore, le identità dei contendenti si definiscono reciprocamente e, soprattutto, la vicenda umana trova il proprio senso entrando a far parte di un racconto memorabile. A questo modo, la visibilità fornisce alla guerra sia il criterio della sua rappresentazione, sia quello della sua motivazione, conduzione e legittimazione. Finalista al Premio Viareggio nel 2003, il libro si arricchisce di una postfazione in cui Scurati riflette sulla trasvalutazione delle rappresentazioni occidentali della guerra dopo l'11 settembre.
È difficile liberarsi dell'immaginario che si è ormai stratificato, quasi incrostato, intorno all'idea di medioevo: quello di una manciata di secoli oscuri compressi tra la fine dell'antichità e il Rinascimento, di un'epoca popolata da una galleria variopinta di personaggi, dame e cavalieri, monaci, contadini oppressi dalle corvée, signori feudali. Di rado ci si ricorda, ad esempio, che il medioevo è durato mille anni e che tra Gregorio di Tours e san Tommaso d'Aquino c'è più o meno lo stesso numero di secoli che separa quest'ultimo da Jean-Paul Sartre. Con una scrittura assolutamente piana e godibile, che tuttavia nulla toglie al rigore dell'argomentazione, Fossier riesce a fare piazza pulita di tanti errori e luoghi comuni. Salutato alla sua uscita in Francia come un nuovo capolavoro della storiografia d'oltralpe, questo libro non è né un'opera di erudizione, né uno sguardo d'insieme sulla società medievale, sulla sua economia, la cultura e l'arte. Fossier segue un percorso espositivo originale e particolarmente efficace: restituisce al medioevo la sua gente, raccontando le vicende quotidiane delle persone comuni, che si preoccupano della pioggia o del cane, di cosa mettere nel piatto, delle chiacchiere della vicina o delle scarpe che fanno male. Di tutti coloro che la storia spesso tende a lasciarsi alle spalle, quelli di cui non si parla mai, perché non parlano, ma di cui ognuno di noi può condividere gioie e dolori.
Ancora oggi alcuni credono che il dominio dell'Occidente sia il risultato di una particolare "cultura" che sarebbe superiore a quella degli altri continenti; ma come spiegare allora che alla fine del Settecento l'India e la Cina fabbricavano più manufatti ed editavano più giornali che Italia, Francia, Inghilterra e Germania? Al termine di un'investigazione storica che attraversa i cinque continenti, incrociando dati economici, politici, artistici e religiosi, Bayly dimostra che la dominazione occidentale sul mondo non ha veri effetti che a partire dal XIX secolo. Alla fine del Settecento un'aspirazione alla libertà e all'uguaglianza si diffonde nell'intero pianeta e mette in discussione i diversi regimi. L'egemonia delle nazioni occidentali si manifesta qualche decennio più tardi, grazie a eserciti più agguerriti, alla padronanza delle regole del commercio e allo sviluppo interno di una società civile più indipendente dal potere politico.
Redatto da una gruppo di studiosi del Centre d'histoire et civilisation de Bysance (CNRS-Collège de France) e curato da un'importante bizantinista italiana, questo primo volume, di una serie di tre, è dedicato al periodo fondativo dell'Impero: dall'inaugurazione della capitale di Costantino sul sito dell'antica Bisanzio nel 330 fino ai primi anni della conquista araba che definisce i limiti territoriali ridotti dell'Impero (termine del regno di Eraclio nel 641, arrivo degli eserciti arabi in Siria e Palestina e inizio del Medioevo bizantino). Negli ultimi trent'anni molte prospettive e numerosi dati storici sono stati messi in discussione dai progressi avvenuti in campo archeologico, epigrafico, numismatico e papirologico. Questi nuovi risultati sono qui affiancati alle testimonianze delle fonti tradizionali in modo da fornire una sintesi concisa, il più possibile completa, della storia politica e militare, religiosa, culturale e sociale bizantina. Una serie di capitoli è poi dedicata alle principali regioni dell'Impero, dai Balcani all'Egitto. Evitando le semplificazioni legate alla "decadenza" e al dirigismo statale, vengono delineate con chiarezza le cause della prosperità dell'Oriente romano, ma anche quelle della regressione che si avvia nel 550.
"Una storia nota quella di Vincent, forse la più famosa vita d'artista di tutti i tempi, apparentemente raccontata qui nella sua versione più lineare e semplice, complicata invece perché piena di riflessi. (...) La biografia di Vincent scritta da Johanna è una biografia della ricerca della serenità, una appassionante sequenza di momenti tranquilli e di crisi in qualche modo risolte, bellissima sequenza di momenti tranquilli e di crisi in qualche modo risolte, bellissima sequenza di delusioni d'amore, che Johanna racconta con comprensione e dolcezza." (dalla postfazione di Elio Grazioli)
Il libro raccoglie i testi delle nove lezioni tenute all'Auditorium di Roma, tra ottobre 2006 e marzo 2007, da alcuni dei più noti storici italiani. Salutato da un grande successo di pubblico, il primo ciclo delle 'Lezioni di Storia - I giorni di Roma' ha tenuto lungamente banco sui quotidiani. Dalla fondazione all'incendio di Nerone, dall'incoronazione di Carlo Magno al rogo di Giordano Bruno, dalla breccia di Porta Pia alle Fosse Ardeatine, in queste pagine scorre il racconto di eventi che hanno segnato indelebilmente la storia e che sono legati insieme dal filo rosso della loro geografia: dall'antichità alla più recente contemporaneità, i giorni di Roma acquistano un significato che travalica le mura cittadine e coinvolge l'intera umanità.
Lo scopo principale di questo volume è la ricostruzione storica delle lente trasformazioni e dei bruschi mutamenti delle teorie e delle pratiche mediche nelle civiltà cosiddette occidentali, a partire dal V secolo avanti Cristo. La seconda metà del V secolo costituisce, infatti, una tappa decisiva nel pensiero medico dell'Occidente: data da questo momento quella che per molti è la nascita della letteratura medica e dell'arte della medicina. Si parla di nascita della letteratura medica nel senso che i primi scritti conservati dei medici greci che sono stati tramandati con il nome di Ippocrate, risalgono, se si considerano i più antichi di essi, a questo periodo. Ippocrate, infatti, viene considerato il Padre della medicina anche se appartiene a una lunga progenie di medici che si proclamano discendenti di Asclepio. È questo l'ambito cronologico del volume, che si spinge nella trattazione fino alla Peste Nera del Basso Medioevo, frontiera di un profondo rivolgimento del pensiero medico.