
Dai 9 maggio 1978, il giorno nel quale in via Caetani, a Roma, venne ritrovato il corpo senza vita di Aldo Moro, sono passati trent'anni. Trent'anni di omissioni e reticenze, di ricostruzioni da fantapolitica e di declinazioni di responsabilità. Marco Clementi ha ricostruito quello che è stato il punto di non ritorno della vita politica e sociale dell'Italia contemporanea, il suo trauma irrisolto, e l'ha fatto scegliendo dì dare la parola ai documenti. Alle lettere di Moro, quindi, ma anche al suo memoriale, ai comunicati delle Br, ai giornali, alle memorie dei politici e dei brigatisti, agli esiti delle commissioni di inchiesta parlamentari e dei processi. Un frammento dopo l'altro, l'autore ricompone il quadro al contempo tragico e contrastato degli anni più bui del nostro paese.
Il genere "paesaggio" è sostanzialmente estraneo alla cultura figurativa greca e romana. I paesaggi raffigurati sulle pareti delle case romane sono paesaggi tipizzati, con un continuo ripetersi degli stessi motivi, e con una noncuranza per un qualsivoglia sistema prospettico costruito secondo una logica matematica unitaria. Ogni pittura è composta da oggetti che vivono più o meno isolatamente dagli altri in uno spazio continuamente negato come elemento unificante. Era diffusa, invece, la pittura cartografica che voleva la mano di veri pittori di paesaggi, detti "topographoi", i quali, pur adottando le medesime tecniche e formulazioni prospettiche della grande pittura di fantasia, producevano vere e proprie carte "corografiche", come la Città dipinta dal Colle Oppio o la Zuffa tra Pompeiani e Nucerini presso l'anfiteatro da Pompei, simili per molti versi a quelle moderne prodotte lungo la Galleria delle Carte Geografiche nei Palazzi Vaticani.
In "Guerra e Pace", la contessa Natasha ascoltando una melodia popolare, riconosce d'istinto il ritmo e i passi e comincia a ballare. Da questo episodio l'autore trae spunto per un'esplorazione attraverso le contraddizioni e le sensibilità condivise della cultura russa. L'identità russa appare incarnata nella sua cultura: non soltanto nella letteratura, nella poesia, nella musica o nella pittura, ma anche nelle idee, abitudini e credenze più comuni. Un singolare temperamento che ha tenuto insieme una popolazione sparsa tra Europa e Asia, permettendole di sopravvivere anche nei momenti più drammatici. Questo studio è l'affermazione della grandezza della cultura russa e delle vite di coloro che l'hanno modellata.
Per più di tre secoli, da un capo all'altro d'Europa, donne e uomini accusati di stregoneria raccontarono di essersi recati al sabba: il raduno notturno in cui, alla presenza del diavolo, si celebravano banchetti, orge sessuali, cerimonie antropofagiche, profanazioni di riti cristiani. In queste descrizioni, spesso estorte con la tortura, oggi si tende a riconoscere il frutto delle ossessioni di inquisitori e giudici. Questo libro, attraverso l'analisi di processi, trattati di demonologia, prediche, documenti iconografici, materiale folklorico, propone un'interpretazione diversa. In essa eventi e strutture, storia e morfologia si susseguono, contrappongono, si intrecciano. Dietro l'immagine enigmatica del sabba vediamo affiorare a poco a poco uno strato antichissimo, con ogni probabilità più che millenario, di miti e riti eurasiatici a sfondo sciamanico.
L'Ispettorato generale per la razza venne creato da Mussolini nel marzo 1944, col compito di intensificare le campagne antiebraica, razzista in genere, antimassonica. Il dittatore nominò Ispettore generale per la razza Giovanni Preziosi, decano degli antisemiti italiani. L'Ispettorato ebbe sede nel comune di Desenzano del Carda e fu attivo fino all'aprile 1945. Questo volume contiene le relazioni presentate all'omonimo Convegno di studi, tenutosi a Desenzano il 27 gennaio 2007, "Giorno della Memoria", e organizzato dal Comune di Desenzano del Garda e dalla Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea Cdec di Milano, mossi dal desiderio di conservare memoria e sviluppare le conoscenze sull'Ispettorato e su Preziosi. Il volume contiene saggi di Gaetano Agnini, Francesco Cassata, Francesco Germinano, Liliana Picciotto, Mauro Raspanti, Marino Ruzzenenti e Michele Sarfatti, che trattano temi quali la politica antiebraica della Repubblica sociale italiana, l'attuazione in provincia di Brescia, l'attività dell'Ispettorato generale per la razza nel 1944-1945, il pensiero e gli scritti antisemiti di Preziosi, la sua collocazione nel contesto dell'antisemitismo italiano. Per oltre dodici mesi Preziosi e l'Ispettorato incrementarono la propaganda e l'elaborazione antiebraica della Repubblica sociale italiana, fornendo un retroterra importante e necessario alle parallele azioni di arresto e deportazione degli ebrei.
In questo volume si raccolgono studi e riflessioni concernenti la galassia della Shoah considerata sia dal punto di vista del ritorno alla vita dei deportati, sia dal punto di vista della testimonianza di questa drammatica esperienza. La testimonianza è così indagata nei suoi molteplici aspetti: come fonte per la ricostruzione storica, documentazione di un'esperienza esistenziale estrema, strumento per la conoscenza e lo studio della Shoah. Indagando questi diversi aspetti emerge il rapporto profondo, ma anche conflittuale, che può instaurarsi tra la memoria e la storia, nella convinzione che dai vissuti occorra poi pervenire ad un approfondimento critico della conoscenza storica. In secondo luogo, il volume affronta il problema del ritorno alla vita dei sopravvissuti alla Shoah, prendendo in considerazione, in particolare, alcuni casi nazionali: dall'Unione Sovietica alla Polonia, dalla Germania all'Italia, precisando anche il ruolo dei sopravvissuti nella nascita di Israele. La considerazione di questi diversi temi consente di enucleare una serie di problemi aperti sui quali la riflessione storica, culturale e filosofica contemporanea sta approfondendo la percezione del paradigma dell'annientamento nazista.
Valerio Evangelisti, il celebre creatore del personaggio dell'inquisitore Eymerich, e Antonio Moresco, una tra le voci più innovative della letteratura italiana contemporanea, hanno unito i loro talenti per esplorare l'evento storico che è stato l'atto di fondazione di un paese, l'Italia, che sembra averlo dimenticato se non tradito: il Risorgimento. Nelle due storie (una ambientata negli ultimi giorni della Repubblica Romana del 1849, l'altra che si svolge durante il cruciale anno 1848) Evangelisti e Moresco fanno rivivere il rumore e il colore delle lotte risorgimentali. Eroismi folli, lampi di ferocia, lunghe attese nelle barricate, feriti rantolanti, malinconia, paura, amore: una verità fatta di carne e sangue che lo storico non può permettersi, e che solo la narrativa può far rivivere.
Nelle immagini di quest'opera sono immortalati, da fotografi di prima grandezza, non solo i cosiddetti "giorni epocali" e le personalità di spicco dal 1851 ad oggi, ma anche episodi meno famosi che però hanno portato a cambiamenti determinanti per il corso della storia. Immagini strazianti che ci portano a teatri di guerra e di sofferenza, a sconfitte e vittorie, a perdite e nascite, ci parlano del passato, e ci fanno vedere il futuro.
"Questo libro vuol essere un contributo a una cultura politica di ampio respiro, non appiattita sull'emozione del momento o sugli archetipi del nemico, nomade e straniero. È una rimeditazione di un dramma - quello dello sterminio degli zingari a opera dei nazisti, dopo una secolare persecuzione la discussione di un caso, ma anche la proposta di un ripensamento delle politiche per gli zingari a partire dalla scuola, cioè dall'investimento sui più giovani. È, anche, un richiamo al pericolo dell'antigitanismo, che viene da una storia antica e si fa disprezzo verso un intero popolo. L'antigitanismo ci rassicura che il nemico della nostra sicurezza è lì, davanti a noi, nei campi, sudicio, accattone, infido, ma in fondo debole, facilmente schiacciabile. L'antigitanismo è un prodotto della paura delle nostre società e si alimenta di stereotipi antichi oltre che dell'esperienza di un contatto, non sempre facile, molto particolare, con gli zingari". (Dall'introduzione di Andrea Riccardi)
La caduta dell'impero romano è da sempre uno dei più affascinanti enigmi della storia. Roma disponeva di una formidabile forza militare ed economica, su un territorio immenso, che si estendeva dal Vallo di Adriano ai confini con la Scozia fino all'Eufrate, dall'Africa settentrionale al Reno e al Danubio. Era una macchina perfetta e collaudata, con una rete capillare di strade e di fortezze, ricche città e una organizzazione amministrativa per certi versi insuperata. Tra la battaglia di Adrianopoli nel 378 d.C. e la deposizione dell'ultimo imperatore Romolo Augustolo nel 476 d.C., la superpotenza più longeva della storia venne sconfitta e occupata da bande di invasori "primitivi", distrutta da barbari ritenuti quasi incapaci di organizzazione e di pensiero razionale. Come è potuto accadere? Le ricostruzioni più diffuse hanno dipinto una civiltà decadente e corrotta, troppo "civilizzata" e magari indebolita dal cristianesimo. Ma a giocare un ruolo determinante furono anche semplici dettagli, come gli archi degli unni, più lunghi e potenti di quelli dei nemici, e il carico fiscale imposto dalla capitale alle province. Con una narrazione ricca di episodi e personaggi memorabili, Peter Heather confuta i luoghi comuni, mettendo a frutto le sue competenze economico-militari e le sue approfondite conoscenze sui barbari, ricostruendo in maniera brillante e persuasiva gli scontri e le battaglie, ma anche i tentativi di integrazione alle frontiere dell'impero.
Nel corso della storia d'Italia il confine orientale ha sempre costituito una zona di frizione e scontro: prima luogo simbolico dove doveva compiersi l'azione risorgimentale con il raggiungimento della piena unificazione del territorio nazionale e l'affermarsi dell'Italia come grande potenza, poi confine fra mondi e ideologie negli anni della guerra fredda. A partire dalla disastrosa guerra del 1866, che nonostante le sconfitte portò il Veneto al neonato Regno d'Italia, per arrivare alla situazione attuale, l'autrice ricostruisce con puntualità la storia di questo confine contestato e conteso: lo sviluppo dell'irredentismo, l'intervento nella Grande Guerra, la sistemazione postbellica del territorio sulle ceneri dell'impero austro-ungarico (con la clamorosa protesta dell'occupazione di Fiume), l'aggressiva politica fascista, la durissima e violenta contesa con la Jugoslavia, la spartizione del territorio nel dopoguerra sancita dal trattato di pace del febbraio 1947, il ritorno di Trieste all'Italia nel 1954 dopo anni di governo alleato, da ultimo i lunghi decenni della guerra fredda. Centocinquant'anni di storia d'Italia visti dalla sua periferia più turbolenta.
La cultura europea incomincia con l'Iliade e l'Odissea, i due poemi epici in ventiquattro canti che la tradizione consolidatasi nel mondo greco attribuiva a un autore chiamato Omero. E incomincia con la rissa per il possesso di una schiava. Dalle prime espressioni poetiche dell'epica omerica alla chiusura della Scuola di Atene nel 529 d.C.: uno dei più celebri storici dell'antichità ripropone le opere e gli autori della letteratura più famosa del mondo in un racconto unitario, in una vasta ricostruzione di insieme che esce dai canoni tradizionali e restituisce alla storia lo straordinario lascito della letteratura greca. Canfora racconta l'intero processo storico-culturale che ha determinato la grandezza e la varietà della cultura greca. Pensiero scientifico, filosofico, politico si intrecciano alla creazione letteraria consegnandoci tutti i contenuti della civiltà ellenica. Emergono così sullo sfondo della loro storia le individualità poetiche, i tragici, gli storici, che hanno fatto quella letteratura della quale siamo tutti debitori.