
La Resistenza nella Venezia Giulia fu caratterizzata dalla coesistenza di diverse anime e contrapposte etnie. Un coacervo di interessi e spinte nazionalisti-che che resero esplosiva la situazione nella Venezia Giulia.
Nonostante l'Italia sia delimitata su tre lati da coste e spiagge, il rapporto degli italiani con il mare da "popolo di navigatori" si è attualizzato nel più domestico "navigatori della domenica", nel moderno rito estivo della vacanza al mare. A dispetto della collocazione geografica l'immaginario collettivo dell'Italia balneare si rivela riduttivo e mostra segni di una fragilità dalle origini lontane che risalgono all'essere l'Italia una società in larga parte agraria e urbana. Per molto tempo, quasi fino alla fine del '700, il mare è rimasto custode estraneo e, a volte, ostile della storia civile del Paese. I secoli successivi alla stagione d'oro del Mediterraneo cinquecentesco sono quelli che vedono l'eclissarsi dell'identità marittima del paese e del suo primato e conseguentemente del suo declino, in termini di lavoro, produzione e utilizzazione delle risorse. Nell'800 con l'apertura del canale di Suez lo Stato, facendo lievitare la fantasia e le ambizioni della sua borghesia e con l'opera di risanamento di uomini e ambienti, innescherà meccanismi decisivi per la riformulazione dei caratteri marittimi della società italiana. Ma, al di là delle apparenze, questo processo non riuscirà a elevare la consapevolezza di sé della nuova Italia marinara.
Perché gli alpini sono diventati un mito così popolare nell'immaginario degli italiani, passando indenni attraverso due guerre mondiali, la dittatura, la guerra civile, la guerra fredda, mentre il resto della forze armate perdeva molto del proprio prestigio e della propria capacità di attirare consenso? Le origini di questa straordinaria fortuna, unica in Europa, deve forse essere ricercata in una complessa interazione tra testi letterari di successo, capaci di riutilizzare il preesistente mito delle Alpi di origine romantica, e una potente rete associativa, l'Associazione Nazionale Alpini, capace di farsi promotrice del mito, collettore di consenso, e di mobilitare negli ultimi cinquant'anni decine di migliaia di persone in grandi feste pubbliche e patriottiche.
La Seconda guerra mondiale fu sicuramente un evento talmente traumatico che nel tempo breve di pochi anni lasciò segni profondi e provocò mutamenti repentini nella quotidianità, nella socialità, nell'immaginario, nelle mentalità e nelle culture di nazioni intere. Singoli individui e gruppi (famiglia, comunità di paese o di quartiere, generazioni diverse, gruppo professionale, classe sociale) dovettero, infatti, necessariamente e continuamente elaborare nuove strategie di sopravvivenza materiali e psicologiche per "andare avanti", per reagire o adattarsi a una realtà totalmente "altra" rispetto a quella nota e per dare un senso a ciò che stavano vivendo. Alcune di queste strategie furono assai diffuse e, spesso, anche condivise da buona parte degli italiani, ad esempio quelle che ebbero nella corrispondenza postale un modo o un mezzo assai importante, a volte unico, per innescarsi e compiersi. E questo nonostante la censura postale fascista, anzi a volte anche grazie alla presenza della censura.
"Bisogna sapere come questa Francia si è fatta o, meglio ancora, assistere da spettatori alla sua formazione". Questa formula è l'accenno più esplicito a quel progetto di storia totale a cui Taine si dedicò. Per un verso la sua mente è sistematica, inquisitiva, vuole scoprire le cause, ricostruire punto per punto come mai l'antico regime diede luogo alla mutazione rivoluzionaria, e poi al regime borghese. Ma per un altro verso Taine è un grande scrittore, incognito persino a se stesso: vuole dare forma, rappresentare, per il puro piacere della forma, come Flaubert. E nelle Origini i due poli si potenziano a vicenda, la tensione si esalta, spiccano sia la nervatura intellettuale che lo splendore della rappresentazione. Dall'Antico regime ci viene incontro, con imponente nettezza, la sensazione di un organismo che respira, desidera, odia, si abbandona alle sue cerimonie, ai suoi passi di danza, ai suoi capricci, ai suoi rancori. In breve, ciò che Taine ci offre è la fisiologia di una civiltà.
Nel basso Medioevo una parte importante della popolazione urbana era costituita da manodopera dipendente, impegnata nelle manifatture tessili, nei cantieri edili, nella metallurgia, nelle attività portuali, nelle botteghe artigiane. Conoscere meglio quali furono l'organizzazione del lavoro, la tipologia della manodopera impiegata, le competenze e le abilità richieste, i contratti di ingaggio, i salari corrisposti, i regimi alimentari, gli istituti e le confraternite destinati all'assistenza dei lavoratori, significa far luce su aspetti non secondari della società e dell'economia medievale.
La battaglia di Mosca, tra l'ottobre 1941 e l'aprile del 1942, fu il punto di svolta nella Seconda guerra mondiale, la prima sconfitta strategica della Germania. Nel giugno del 1941 Hitler ha conquistato quasi tutta l'Europa continentale: l'unica potenza in grado di contrastarlo, con l'Inghilterra sottoposta a un bombardamento martellante, è l'Unione Sovietica, con cui è stato stipulato un trattato di non aggressione. Per eliminare ogni minaccia alla sua supremazia, il Fuhrer prende la decisione fatale: occupare i territori sovietici. In pochi mesi la Wehrmacht arriva alle porte di Mosca, in una campagna fulminea e vittoriosa, ma quello che sembra il culmine della gloria si trasformerà nell'inizio della sconfitta. In una lotta dove sette milioni di uomini e donne si trovarono impegnati a combattere, e in cui morirono circa novecentomila soldati russi, l'esercito sovietico e il popolo di Mosca riuscirono in quella che sembrava un'impresa impossibile: fermare l'esercito di Hitler. Il diplomatico inglese Rodric Braithwaite, ambasciatore in Russia dal 1988 al 1992, ricostruisce i fatti di quei mesi dal punto di vista dei sovietici, raccontando le storie di soldati e intellettuali, contadini e politici, e offrendo il ritratto di Stalin e dei suoi generali mentre gettano le basi per la vittoria finale, che arriverà solo dopo altri quattro anni di guerra.
Poche città al mondo vantano caratteristiche simili a quelle di Pechino, capitale quasi ininterrottamente per più di mille anni, sede dell'impero mongolo, degli imperatori delle dinastie Ming e Qing e palcoscenico degli avvenimenti salienti dell'era comunista; una metropoli di più di quindici milioni di abitanti, al centro di un immenso e caotico sviluppo economico e commerciale. Questo volume ne offre per la prima volta una storia completa dai tempi della fondazione a oggi. Mette a fuoco la vita quotidiana, le istituzioni e gli apparati di potere e considera la controversa distruzione di interi quartieri e la febbrile costruzione di nuove zone residenziali e commerciali: intense mutazioni urbanistiche imposte dalle accelerazioni dell'economia e in vista delle prossime Olimpiadi. Il volume è accompagnato da riproduzioni artistiche e fotografie assai originali, che documentano aspetti particolari del passato e del presente della città.
Tra il 1938 e il 1945 l'Europa ha conosciuto una devastazione senza precedenti. Per la seconda volta nell'arco di una sola generazione la Germania attuava una campagna di conquista che già nel 1941 la vedeva ormai in guerra contro l'impero britannico, l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti. E tre anni e mezzo dopo l'Europa e la parte occidentale dell'Unione Sovietica erano ridotte a un cumulo fumante di macerie. Ma come è potuto accadere? Come è stato possibile il ripetersi di una tragedia simile a distanza di pochi anni da quella precedente? A differenza di quanto ci è sempre stato insegnato, Adam Tooze cerca di dare una risposta cambiando la prospettiva: se la tragedia vissuta dall'Europa nel XX secolo avesse avuto le sue radici nella debolezza della Germania, anziché nella sua forza? L'attenzione si sposta dunque sull'economia tedesca, oltre che sulla questione razziale e sulla politica. Con un imponente lavoro di ricerca e una documentazione minuziosa, "Il prezzo dello sterminio" cambia radicalmente la visione della Germania nazista e in buona parte anche la storia della seconda guerra mondiale, e forse dell'intero XX secolo.
Il 25 ottobre 1854, durante la guerra di Crimea, la Brigata leggera della Divisione di cavalleria britannica, in difesa della base di Balaklava, fu protagonista della più celebre carica della storia militare. Seicentosessantaquattro uomini si lanciarono per quasi due chilometri contro le bocche da fuoco dei cannoni russi, piazzati di fronte a loro e su entrambi i fianchi. Cavalcarono dentro la bocca di un vulcano. Molti di loro caddero, ma, come disse un ufficiale russo, "neppure un solo uomo si arrese". Nel resoconto particolareggiato della carica e della sanguinosa mischia che seguì, Terry Brighton si è basato su anni di ricerche per raccontare per la prima volta la drammatica vicenda attraverso le parole dei superstiti. E rivela che la carica non fu quel che avrebbe voluto Lord Raglan, comandante dell'esercito britannico in Crimea. Il suo ordine scritto fu portato da un aiutante di campo a Lord Lucan, comandante della Divisione di cavalleria, che lo trasmise poi a voce a Lord Cardigan, comandante della Brigata leggera. Nel passaggio da Raglan a Cardigan, il significato dell'ordine venne frainteso. L'autore sgombra il campo da molti miti popolari riguardanti l'evento, dimostrando come la carica sia stata in realtà uno stupefacente successo perché, pur "nelle mandibole della Morte, nella bocca dell'Inferno", secondo le parole di una celebre poesia di Tennyson, la Brigata leggera catturò infine la batteria e la cavalleria russa fuggì.
Il Sessantotto italiano è nato un po’ prematuro e da padre incerto, però molto cattolico. Cattolici infatti furono i suoi primi leader, la Cattolica fu la prima università a essere occupata (il 17 novembre 1967) e il primo indumento-simbolo della contestazione non fu l’eskimo bensì un impermeabile da prete.
Perché, lungo quell’anno per alcuni «formidabile», i giovani cattolici rivestirono spesso una parte da protagonisti: nel bene e nel male. Ben quattro volte occuparono l’università fondata da padre Gemelli, «inventando» anche la guerriglia urbana. A Roma manifestarono in piazza San Pietro, duellando a distanza col Vaticano. A Trento organizzarono un clamoroso «controquaresimale» che riempì a lungo le cronache. A Parma occuparono la cattedrale. A Taranto contestarono Paolo VI (che pure all’inizio avrebbe voluto andare di persona a parlare con gli studenti in assemblea).
E poi le polemiche sul cosiddetto «Catechismo olandese», le critiche pesantissime all’enciclica Humanae Vitae, lo sviluppo delle comunità del dissenso, la contestazione nei seminari e nelle parrocchie, la predicazione della «teologia della rivoluzione», l’esplosione del caso Isolotto a Firenze. Ma anche la nascita del volontariato, le marce contro la fame nel mondo, la comunità monastica di Bose e quella di Sant’Egidio…
Una rilettura originale del Sessantotto che, attraverso un’ampia messe di documenti e interviste, non teme di far emergere anche verità scomode e di smentire molti dei miti su quegli anni. Un’analisi lucida che ripercorre, sull’onda del Concilio Vaticano II, i legami sotterranei ma profondi tra le ragioni della contestazione cattolica e di quella laica (compresi i rapporti tra cattolici e terrorismo), così come gli sviluppi di una «rivoluzione» interna alla Chiesa i cui influssi e contraccolpi si sentono tuttora, nel mondo cattolico e nella società.

