
Il potere di giudicare e condannare a una pena è ancora più assoluto di quello di uccidere, perché pretende di essere conforme al vero e al giusto. Per questo quasi mai le dittature più feroci rinunciano al dibattimento in aula, anche quando esso viene ridotto a messinscena o a caricatura. Una ragione di più per rammentare che il processo, simbolo estremo della tensione tra la libertà degli individui e i loro vincoli verso la comunità, si rivela puntualmente uno strumento capace di illuminare un’intera epoca. Dei grandi eventi nei tribunali rimangono spesso nella memoria collettiva solo i verdetti e una radicale semplificazione delle ragioni che li determinarono. Partendo dal racconto sintetico, rigoroso ed essenziale di dieci processi, riguardanti personaggi molto diversi tra loro, questo libro cerca di ricostruire cosa di volta in volta fosse veramente in gioco. E aiuta a capire, per esempio, come Socrate abbia costruito la coscienza occidentale, quale mistero potesse celarsi dietro l’identità di Gesù, perché gli Stati Uniti abbiano smentito spesso la loro vocazione di culla delle libertà, quali torti ebbe Galileo nel rivaleggiare teologicamente con la Chiesa, quanta carica rivoluzionaria possedesse Giovanna d’Arco, in che senso Norimberga abbia salvato il popolo tedesco. E perché Berlusconi meriti la definizione di ‘Antisocrate’.
Remo Bassetti è nato a Napoli nel 1961. Notaio e giornalista, è ideatore e direttore della rivista Giudizio Universale. È autore dei saggi Storia e storie dello sport in Italia (Marsilio), Derelitti e delle pene. Carcere e giustizia da Kant all’indultino (Editori Riuniti), Contro il target (Bollati Boringhieri), e del romanzo Stanno uccidendo i notai (Cairo Editore).
Con i suoi maestosi interni d’acciaio, la corazzata Roma è l’unità più temuta del Mediterraneo. Poco prima dell’alba del 9 settembre 1943 lascia il porto di La Spezia. A bordo ci sono oltre duemila uomini. Improvvisamente in cielo viene avvistato uno stormo di Dornier. Qualcuno urla: «Sono tedeschi!» È allarme aereo. Una prima bomba cade in mare. Pochi minuti dopo la Roma viene però colpita in pieno e comincia a sbandare. Una seconda bomba la ferisce a morte. Si sente un boato prolungato e in pochi secondi è l’inferno. Dal ponte torce umane si buttano in acqua prima che la nave si capovolga e le trascini con sé. Tra le 1393 vittime di quel drammatico pomeriggio di settembre c’è anche l’ammiraglio Carlo Bergamini, amatissimo dai suoi uomini, l’ufficiale più elevato in grado di tutte le forze armate caduto in combattimento.
Ma la storia della Roma non finisce con il suo affondamento. I naufraghi vengono trasportati alle Baleari. Qui le navi saranno internate e i superstiti trasformati in merce di scambio. La loro vita resterà a lungo come sospesa, in difficile equilibrio tra gli opposti interessi di un’Italia spaccata in due, la Spagna e gli anglo- americani. Eppure, incredibilmente, gli uomini della Roma ricominceranno a vivere, forti di un’amicizia inossidabile, quella che nasce tra chi sa di essere un sopravvissuto. Tra loro Italo Pizzo, autore di un diario che il nipote Andrea Amici ha integrato con rare testimonianze regalandoci un racconto in presa diretta di quel che accadde realmente a bordo, della vita da esuli tra amori e aneddoti intriganti, fino al ritorno a casa, in Liguria, dopo quasi due anni.
Il sangue di decine di migliaia di vittime
non può riposare in pace.
Ritorna in superficie.
“Rajchman è un sopravvissuto di Treblinka. Ha visto tutto, sentito tutto, provato tutto. Ha il coraggio di deporre per la Storia. Il suo racconto è di una densità che dà i brividi. Credo di aver letto molte opere su questo stesso soggetto. E tutte sono dolorose. Alcune sollecitano dei dubbi sull’uomo, altre sul suo creatore. Quella di Rajchman, con la sua semplicità commovente, apre degli orizzonti nuovi nell’immaginario del Male.[...] Il viaggio angosciante verso l’Ignoto. L’arrivo. L’abbandono delle ultime proprietà. La separazione delle famiglie. Le urla. Il sadismo degli ‘assassini’ e la tortura umiliante delle vittime. Il sistema funziona alla perfezione. Tutto è previsto, programmato. Gli uccisori uccidono e gli ebrei muoiono. Rajchman è restato un anno a Treblinka: dal 1942 al 1943, fino alla rivolta eroica dei disperati, cui aveva partecipato. In questo lasso di tempo, nell’odore pestilenziale permanente, ha conosciuto ciò che nessuno dovrebbe vedere: lavorava lì dove le vittime, uomini, donne e bambini, andavano verso la morte. Era lui l’ultimo essere umano che le donne vedevano prima di soffocare nelle camere a gas.[...] Come ha fatto Rajchamnn a vivere e sopravvivere con i morti adattandosi così velocemente a situazioni così pietrificanti? Nel giro di ventiquattro ore, è colui che taglia i capelli ai condannati. Poi quello che smista i loro vestiti, frugando nelle tasche segrete. A un certo punto si gira verso un suo compagno e dice: “Ieri, a questa stessa ora, mia sorella era ancora viva.” Poco dopo, trova il suo vestito. Ne strappa un lembo, che tiene con sé fino alla fine.”
Fossoli, frazione di Carpi, fu lo scenario "inconsapevole" di una delle pagine più cupe della nostra storia: qui fu attivo, tra il dicembre 1943 e i primi giorni dell'agosto 1944, un campo di concentramento in cui vennero reclusi 2844 ebrei arrestati in tutta l'Italia centrosettentrionale sotto l'occupazione nazista.
In quel periodo nel nostro paese giunse al culmine l'offensiva fascista contro gli ebrei che, iniziata con le leggi razziali del 1938, conobbe una brutale accelerazione con la Repubblica sociale. I governanti italiani scelsero infatti di adeguare la propria politica antiebraica a quella dell'alleato-occupante, che aveva già messo in atto autonomamente una serie di retate in diverse città nell'autunno del 1943. Il 30 novembre emanarono dunque un provvedimento che prescriveva l'arresto degli ebrei, cui sarebbe stato confiscato ogni bene, e il loro trasferimento in un unico luogo, individuato nel complesso di Fossoli, in precedenza utilizzato come campo per prigionieri di guerra e destinato anche ad altri internati, come i detenuti politici.
Le autorità di Salò e quelle del Terzo Reich definirono una sorta di divisione dei compiti: gli italiani si occuparono dell'arresto e dell'internamento degli ebrei; i tedeschi, che dal marzo 1944 assunsero anche formalmente il comando del campo di concentramento, ne organizzarono la progressiva deportazione verso i lager in Germania e Polonia, attuata con modalità disumane.
Liliana Picciotto, studiosa della persecuzione antiebraica, avvalendosi di un ricco apparato di documenti, in parte inediti, fa rivivere questa terribile vicenda attraverso le voci delle vittime, dei carnefici e degli "spettatori". Alle testimonianze angosciate dei prigionieri fanno da contrappunto l'impassibilità burocratica dei funzionari italiani e l'indifferenza interessata dei fornitori di autobus e vettovagliamento, che non si fanno scrupoli nel concludere affari persino in occasione di quello che per la maggior parte dei deportati sarà il viaggio senza ritorno verso le camere a gas.
L'alba ci colse come un tradimento, oltre a rendere un omaggio ai deportati di Fossoli, di cui si ricordano tutti i nomi e la sorte, mette in risalto una tragica verità: nella persecuzione degli ebrei italiani le autorità della Repubblica sociale non ebbero il ruolo di riluttanti comprimari, ma quello di consapevoli e zelanti protagonisti.
Nonostante sia trascorso più di mezzo secolo dal crollo del fascismo e dalla fine del secondo conflitto mondiale, siamo davvero convinti di sapere come andarono effettivamente le cose? Il tanto discusso dopoguerra italiano può considerarsi concluso? Piero Buscaroli, critico musicale, scrittore e giornalista non ne è affatto convinto e ha deciso di aprire la sua valigia di carte, documenti inediti e ricordi troppo a lungo taciuti per raccontarci il suo Novecento.
Adolescente romagnolo con la passione per il pianoforte, assiste con stupore a fianco del padre Côrso, insigne latinista, al naufragio "non casuale" del 1943-45, che precipitò l'Italia in una spirale di guerra e violenze. L'interpretazione di eventi come la "congiura" del 25 luglio contro Mussolini, la dissoluzione militare e civile dell'8 settembre, l'occupazione tedesca e i "crimini dei vincitori" ci restituisce l'immagine di un Buscaroli "schierato a vita", cittadino coatto di una "ex nazione".
Le sue "passeggiate fuori dalle solite strade della storiografia dominante" lo portano poi a visitare luoghi simbolo del Novecento come il Giappone e la Germania del dopoguerra, il Vietnam del 1966, la Praga del 1968, senza rinunciare agli incontri, che si susseguono in questi anni, con personaggi altrettanto significativi, da Ezra Pound a Dino Grandi, dall'ambasciatore giapponese Hidaka - l'ultima persona che ebbe un colloquio con Mussolini prima dell'arresto ordinato dal re - al dittatore portoghese Salazar.
Come in una rapsodia a lungo studiata, gli argomenti e gli spunti polemici "disperatamente difformi " disegnano i confini via via più precisi di una tragedia insieme personale e collettiva, che ha segnato nel profondo la coscienza contemporanea. Per Buscaroli, il revisionismo delle verità osteggiate e sepolte dal pregiudizio ideologico si è fatto imperativo morale, mentre lo spirito di contraddizione da cui si sente mosso diventa strumento essenziale di libertà.
In una felice mescolanza di cronaca giornalistica e documento storico, Dalla parte dei vinti riesce a unire alla scrupolosa e talvolta inedita ricostruzione di fatti decisivi dell'ultimo cinquantennio il ritmo appassionato e mai pretestuoso del feroce pamphlet politico. Che farà discutere.
Mosca, 1937. Un regista italiano specializzato in documentari di propaganda socialista, Gino De Marchi, viene prelevato dalla polizia segreta e di lui non si sa più nulla. La moglie Vera, all'oscuro di quanto sta avvenendo, viene convocata alla Lubjanka e, terrorizzata dalle minacce degli inquirenti, decide di prenderne le distanze e in seguito di divorziare. Luciana, la figlia tredicenne, molto legata al padre, compie invece la scelta opposta: lo aspetterà per anni, dedicando l'intera esistenza alla sua ricerca e, una volta informata della sua morte, nel 1956, alla difesa della sua memoria. Gabriele Nissim, che ha incontrato Luciana De Marchi numerose volte e ha potuto leggere le lettere e le carte private da lei conservate, ricostruisce con dovizia di particolari una straordinaria vicenda umana che la storiografia ufficiale ha finora ignorato, affrontando una realtà per molti aspetti ancora poco conosciuta, quella dei comunisti italiani in Unione Sovietica durante il regime staliniano.
L'8 ottobre 1931 Mussolini impone ai professori universitari il giuramento di fedeltà al fascismo. Su un migliaio di ordinari soltanto dodici si rifiutano di piegarsi al duce, perdendo la cattedra e, subendo, nell'Italia massicciamente sottomessa al regime, un raggelante isolamento. Dodici uomini, differenti per origine, carattere, modi di pensare, attitudini sociali; in quell'autunno del 1931 impartiscono la piú magistrale delle lezioni insegnando che dire no è una scelta dovuta prima di tutto a se stessi.
Ernesto Buonaiuti, Mario Carrara, Gaetano De Sanctis, Giorgio Errera, Giorgio Levi Della Vida, Fabio Luzzatto, Piero Martinetti, Bartolo Nigrisoli, Francesco ed Edoardo Ruffini, Lionello Venturi, Vito Volterra - questi i nomi di coloro che compiono un gesto essenziale in nome di quegli «ideali di libertà, dignità e coerenza interiore» nei quali erano cresciuti.
Preferirei di no è un libro che, con rigore e affetto, ripercorre il tragitto di questi isolati viaggiatori che scelsero la terra del no e attraverso l'intreccio delle loro vite riscopre mondi di umanità e semplicità che sanno ancora oggi parlare con forza e efficacia.
Emanuele Pacifici ha dedicato tutta l’esistenza alla ricerca dei Giusti, cioè di coloro che, a rischio della propria vita, ne salvarono molte fra quelle destinate alla deportazione e alla morte nei campi di sterminio.
In breve
Molto si è scritto sull’epopea dell’emigrazione che dall’ultimo scorcio dell’Ottocento allo scoppio della prima guerra mondiale ha svuotato le campagne e dislocato oltreoceano milioni di nostri connazionali. Minore attenzione ha riscosso l’esodo del secondo dopoguerra, forse meno spettacolare e certo meno mitizzato dell’altro. Identico fenomeno, molte analogie, ma anche molte differenze. Andreina De Clementi descrive la nuova mappa delle mete dell’emigrazione italiana nei primi dieci anni del secondo dopoguerra, la trasformazione da avventura individuale a impresa controllata dalle burocrazie statali, l’inedita domanda di mano d’opera femminile. Discostandosi da un approccio storiografico consolidato, l’autrice delinea una vicenda complessa e problematica, che affonda le sue radici nel più generale contesto economico-politico dell’epoca.
Indice
I. Introduzione - II. Le molte vie dell’emigrazione - III. I paesi emergenti - IV. Giovani e sole - V. Protezionismi - VI. ...ma a tutto c’è un limite - VII. Smottamenti - Conclusioni - Bibliografia
In breve
Dai racconti sulla nascita di Milano al suo divenire una delle capitali dell’impero romano; dalla fine dell’indipendenza del ducato milanese - sotto il dominio prima spagnolo, poi austriaco e francese - alla vivacità della cultura milanese testimoniata da “Il Caffè”, il più prestigioso periodico dell’Illuminismo italiano, e all’incoronazione di Napoleone Bonaparte nel Duomo; dalle Cinque Giornate del marzo 1848, anno di rivolte e di speranze, fino al 25 aprile 1945, la Liberazione, con Milano che insorge contro il nazifascismo, memore di sé e della sua storia.
Indice
Nota dell’editore - 1. I miti di fondazione di Eva Cantarella - 2. 7 dicembre 374 Ambrogio vescovo di Milano di Franco Cardini - 3. 29 maggio 1176 Barbarossa sconfitto a Legnano di Alessandro Barbero - 4. 9 febbraio 1498: Il «Cenacolo» svelato di Pietro C. Marani - 5. 1° novembre 1535-19 dicembre 1548: Dagli Sforza agli Asburgo di Spagna di Giuseppe Galasso - 6. 1° giugno 1764: La nascita del «Caffè» di Marco Meriggi - 7. 26 maggio 1805: Bonaparte incoronato in Duomo di Antonino De Francesco - 8. 18-22 marzo 1848: Le Cinque Giornate di Ernesto Galli della Loggia - 9. 28 aprile 1906: L’Esposizione internazionale di Giuseppe Berta - 10. 25 aprile 1945: La Liberazione di Sergio Luzzatto - Gli autori
In breve
Il regime fascista, ci racconta Emilio Gentile in questo nuovo e avvincente saggio, non era soltanto retorica, ma anche pittura, scultura, architettura, urbanistica. Gentile si conferma il vero erede italiano di Gorge Mosse, attento, come lo fu lo storico tedesco, agli aspetti dell’estetica del potere.
Dino Messina, “Corriere della Sera”
Si aprì l’era del ‘piccone risanatore’. Per Mussolini attrezzo-simbolo di un attivismo frenetico che finiva per considerare Roma e la sua architettura passata e futura – come spiega molto bene Emilio Gentile – come arsenale di miti, deposito di destini imperiali, ma anche bersaglio di risentimenti che il duce nutriva fin dalla giovinezza nei confronti della città eterna.
Filippo Ceccarelli, “la Repubblica”
Indice
Prologo. Parole, pietre, miti - 1. Porca Roma - 2. Mussolini antiromano - 3. Nuova romanità - 4. Il rigeneratore - 5. Roma mussolinea - 6. Sui colli fatali - 7. Duce imperiale - 8. La capitale del futuro - 9. I Romani della modernità - 10. Gli italiani non sono Romani - Epilogo. Quel che resta del mito - Note - Fonti delle illustrazioni - Referenze iconografiche