
Nel secentenario della morte di Giotto, dal 27 aprile 1937 gli Uffizi ospitarono la Mostra giottesca, la prima retrospettiva dedicata alla pittura italiana delle origini. L’esposizione, in cui erano presentate oltre trecento opere del maestro toscano, dei pre cursori e dei seguaci, sancì il ruolo di Giotto come pater dell’«arte nostra». L’evento fu anche terreno di confronto, e scontro, tra il rigore scientifico dell’intelligencija critica dell’epoca – da Ojetti a Carena, da Offner a Salmi, da Michelucci a Longhi – che si interrogava sul valore della pittura giottesca e l’intento propagandistico dei gerarchi fascisti di nazionalizzare lo spirito della mostra. Testimonianze, lettere e cronache, insieme alle immagini delle opere e le preziose foto d’epoca, ci raccontano la genesi del progetto, le ingerenze governative, le fasi dell’allestimento e l’intenso dibattito critico che ne seguì.
A distanza di settant’anni, Alessio Monciatti sottrae la Giottesca alla dimensione acritica cui era stata relegata e rivendica il ruolo decisivo da essa ricoperto nella storia della critica d’arte, e nel contempo nella storia culturale, sociale e degli allestimenti museali.
Le vicende della Sindone sono da sempre un rebus irrisolvibile per gli storici e gli scienziati di fama mondiale che si sono dedicati, con passione e competenza, a ricostruire la storia del sudario che avrebbe avvolto il corpo morto di Gesù dopo la deposizione. Ci sono stati secoli di vero e proprio buio, durante i quali non sono state rinvenute tracce della enigmatica reliquia. Finché essa non ricompare al tempo delle crociate, quando i luoghi santi sono minacciati dagli infedeli e la cristianità teme per i tesori e le testimonianze più preziose della propria fede e della propria storia. È in questo contesto che, dice la tradizione, lo stesso Gran Maestro dell’Ordine del Tempio, Jacques de Molay, avrebbe affidato ad alcuni fedelissimi cavalieri il compito di proteggere a costo della vita il Santo Graal e la Sindone. E, proprio in questo frangente, il mistero si infittisce ancor più, legandosi alle trame, agli intrighi e alle oscure vicende dell’Ordine dei Templari.
Massimo Centini ci trascina con la sua scrittura coinvolgente in una vera e propria avventura alla scoperta di documenti e testimonianze inedite facendoci rivivere in tutto il suo mistero il rapporto tra la Sindone e i Cavalieri dal mantello crociato.
La cultura è il prodotto di una precisa contingenza storica: la presa di coscienza della modernità. Al trauma provocato dall'apparizione di un tempo illimitato e perennemente in progressione, dunque destinato prima o poi a dimenticarsi di noi e di tutto ciò che per noi è importante, si reagì feticizzando la storia, l'origine, fondando su di esse l'identità - ciò che resta identico. Soprattutto, si reagì attivando un discorso sul passato, in cui interpretazione e commento fossero, programmaticamente, più importanti di creazione e innovazione. In questo senso cultura è un concetto abbastanza recente, come del resto la parola che usiamo per esprimerlo: esiste più o meno da un secolo e mezzo. La sua forza gravitazionale è enorme: nulla sfugge alla sua attrazione. Si parla infatti di cultura scientifica, di cultura nazionale, di cultura di massa, di cultura popolare. Ma questa forza è anche la sua condanna. Perché un sistema che include ogni cosa è inevitabilmente chiuso, autoreferenziale, bloccato. Consente solo riciclaggi, rimescolamenti di materiali già a disposizione, investigazioni del già noto. Questo libro intende mostrare che tale visione nostalgica e totalizzante non fa bene alla cultura: invece di renderla onnipotente ne limita l'impatto e ne inibisce le ambizioni. Ne fa uno strumento reazionario, che oggettivamente favorisce i movimenti conservatori, da sempre esperti nell'incanalare le paure del nuovo e della libertà.
A dieci anni di distanza dai drammatici fatti del 1999, un Paese giovane, che deve fare i conti con la pesante eredità di una guerra che ha lasciato segni profondi e non facilmente cancellabili.
In questo volume l'autore chiude strappi e colma lacune, suggerisce con discrezione la rete delle relazioni, le reali e le istituzionali, tra i soggetti coinvolti. E disegna le coordinate dell'ambizioso progetto di chiudere il circolo tra il Gymnasium e la comunità cittadina, nei limiti e negli eccessi ricostruendo la vicenda travagliata del 'privilegio' che perde in estensione mentre cerca miglior fondamento nella qualità, specie laddove come nella medicina e nell'economia più acuto è lo scontro, diretto a promuovere in diritti i bisogni, e più tenace l'interposizione ora ideologica, ora corporativa dei filtri.
L’immagine della “donna orientale”, le esotiche narrazioni di primitivi sensualismi e barbare segregazioni accompagnarono la nascita dei movimenti femminili europei tra Otto e Novecento. L’Oriente era l’altro da sé che illuminava i progressi intellettuali, sociali e civili delle donne occidentali, ma dall’Oriente veniva anche la conferma di una “schiavitù femminile” universalmente condivisa.
Intorno al tema della donna ridotta a oggetto sessuale l’emancipazionismo femminile italiano dei primi decenni postunitari costruì la sua critica ai modelli di genere, alla minorità giuridica femminile, all’esclusione delle donne dalla cittadinanza. Una critica alle ambiguità del progresso occidentale che favorì il delinearsi di una posizione fermamente anticoloniale, sorda alla retorica della civilizzazione tanto più se portata con le armi.
Questo libro intende fornire un contributo alla conoscenza della cultura femminista italiana ricollocandola nel contesto coloniale in cui nacque e si diffuse, nella convinzione che anche in Italia l’espansione africana abbia influito sulle modalità culturali e associative del movimento delle donne.
Le radici dell’anticolonialismo femminista, la campagna per il ritiro dall’Africa all’indomani di Adua, ma anche i cambiamenti di rotta, le diverse strategie di legittimazione culturale e sociale maturate a inizio Novecento, i silenzi e gli entusiasmi di fronte all’impresa di Libia costituiscono i diversi capitoli di questa “storia coloniale” del primo femminismo italiano.
descrizione
Catia Papa è assegnista di ricerca all’Università degli Studi Roma Tre e svolge attività di ricerca presso la Fondazione Lelio e Lisli Basso. È autrice di vari articoli sulle culture giovanili e femminili nell’Italia liberale e del volume Intellettuali in guerra. «L’Azione» 1914-16 (Milano 2006)
Il volume ricostruisce i tentativi di realizzare una bibliografia locale nel Trentino del Settecento. Quella che a prima vista potrebbe sembrare una vicenda per molti versi marginale assume, invece, una certa rilevanza in quanto si intreccia con la riscoperta e la definizione di un'identità territoriale prima che politica, linguistica e culturale. Protagonista di queste pagine è il roveretano Jacopo Tartarotti (1708-1737), fratello minore del più celebre Girolamo, che, pubblicando nel 1733 il suo Saggio della Biblioteca Tirolese, propose agli studiosi locali, e non solo, un primo abbozzo di una bibliografia di scrittori trentini che rimase al centro (con riferimenti anche fortemente polemici) del dibattito culturale fino ai primi dell'Ottocento. Ecco dunque il significato di riprodurre le pagine del saggio in edizione anastatica. Se il Trentino del Settecento ha già offerto numerosi e interessanti spunti per la ricerca storica e per la ricostruzione di fondi librari antichi, è la prima volta, invece, che viene indagato da un punto di vista prettamente bibliografico.