
Insegnanti annoiati, studenti annoiati, genitori annoiati: «una scuola dove la vita si annoia insegna solo la barbarie», è l'incisivo incipit di questo saggio. Il libro destinato agli studenti e alle loro cicliche contestazioni, ma anche a insegnanti e genitori, presenta uno stile aforistico, incisivo, illuminante e provocatorio al tempo stesso. Così Vaneigem lancia l'allarme e denuncia la deriva "produttivistica" della scuola in un mondo governato da una logica consumistica inquinante e folle. «Da come una società organizza la scuola si capisce il livello di libertà a cui sono destinati i suoi soggetti». Una scuola che insegna il conformismo, basata sul più superficiale nozionismo, disposta a tutto pur di creare studenti indifferenti è una scuola che risponde solo a interessi di natura economica più che umana, ed è capace solo di soffocare la spontanea creatività dei bambini e dei ragazzi. Chiude il volume il breve saggio "Terrorismo o rivoluzione", dove Vaneigem propone una critica laica e radicale del capitalismo ormai volto alla sua fase tirannica. La tesi è quella di un'autogestione generalizzata perchè l'uomo si possa riappropriare della vita e della vera felicità. L'uomo si deve liberare da un'esistenza trasformata in valore di scambio, da una società fondata sulla merce, dove la felicità si identifica con l'immediatezza del profitto, e la forza vitale si trasforma in forza lavoro, che vanamente viene spesa in oggetti di consumo.
«Oggi 5 maggio, alle ore 16, alla testa delle truppe vittoriose, sono entrato in Addis Abeba. » Con queste parole il Maresciallo Pietro Badoglio telegrafava a Mussolini la fine ufficiale delle ostilità in Etiopia, costate 4350 morti, 9000 feriti e 40 miliardi di lire. Ma la guerra era tutt’altro che finita. Meno di un quarto del territorio etiopico era stato occupato. Almeno centomila soldati dell’esercito di Hailé Selassié restavano in armi. Da quel giorno cominciò una guerra segreta, senza comunicati, nascosta dalla censura, nel corso della quale restarono uccisi dieci volte più soldati che nella guerra ufficiale.
Angelo Del Boca, che è stato il primo storico a dare una lettura molto critica del colonialismo italiano, in questo volume ricostruisce in modo dettagliato le varie fasi della campagna d’Etiopia, che fu il preludio alla pomposa proclamazione dell’Impero. Ma quel conclamato trionfo, che segnò il culmine del favore (e fervore) popolare verso Mussolini, segnò anche l’inizio di una guerra di resistenza locale che tenne impegnate le truppe italiane fino al 1941, anno in cui gli inglesi attaccarono la colonia e misero fine al sogno imperiale fascista. Un sogno breve e, nonostante le atrocità, oggi ben note dopo l’apertura degli archivi di Stato e la pubblicazione di montagne di documenti, persino «innocente». Afferma in proposito l’autore: Graziani fu «processato e condannato, ma non per le stragi in Etiopia e in Libia, ed oggi la sua tomba e il suo museo a Filettino sono meta di pellegrinaggi. Badoglio, poi, è morto di vecchiaia nel suo letto, carico di onori».
«L'inclinazione al commercio, al baratto e allo scambio di una cosa per un'altra, è propria di tutti gli uomini, e non si ritrova in nessuna altra razza di animali». Così Adam Smith, in La ricchezza delle nazioni. Quello del commercio è il grande romanzo dell'uomo, che si mette in viaggio con l'animo incerto, tra il desiderio della scoperta e quello del ritorno. Una storia epica e drammatica, che comincia agli albori della civiltà, in Mesopotamia, dove i primi mercanti, carichi di orzo, rame e avorio, iniziarono a discendere e risalire il corso del Tigri e dell'Eufrate. Che si rinnova sulle rotte che dall'Oriente a Roma, attraverso le tempeste monsoniche, portavano la seta nel cuore del l'Impero. Che si afferma nel monopolio portoghese sulle spezie nel Cinquecento; nei tentativi della Spagna di aggirare i presidi di una potentissima Venezia; nella corsa allo zucchero della Giamaica, su cui l'Inghilterra fonderà il suo impero mercantile; nelle tecniche finanziarie che permisero alla fiorente e libera Olanda di costruire le sue fortune nel Seicento, mentre milioni di nativi africani erano deportati verso un destino di schiavitù. È però con l'era moderna che il commercio diventa materia di studio scientifico. Gli stati nazionali si dotano di ministri e tecnocrati, sorgono le banche centrali, Londra diventa la prima piazza di scambio; i commerci, per effetto dell'espansione imperialista e della Rivoluzione industriale, conoscono un'impennata straordinaria, mentre a inizio Novecento il mondo si contrae sotto la spinta di traffici sempre più frenetici, e lentamente si avvicina il momento del collasso. Dall'antichità a oggi, nell'era dell'interdipendenza globale, in questo percorso ricco e avvincente, con una narrazione scientifica stesso tempo fluida e unica nel suo genere, Bernstein ci fa rivivere l'avventura millenaria del commercio mondiale, e attraverso un mosaico fatto di storie, oggetti, uomini, culture e naturalmente guerre“, ci fornisce allo stesso tempo gli strumenti per comprendere presente.
In breve
Perché ancora un libro sull’Italia e la Seconda guerra mondiale? Perché nuovi strumenti interpretativi e documenti finora inediti gettano una luce nuova sulle relazioni fra Italia e Usa, l’influenza sovietica, il passaggio dal fascismo alla democrazia. In questo volume «gli autori non si sono proposti di cambiare gli ‘eroi’ e i protagonisti del pantheon degli italiani che guidarono il paese dalla crisi del fascismo e della guerra sino alla ripresa democratica. È cambiato il modo in cui essi sono investiti da luci diverse, che mettono in ombra alcuni aspetti e ne illuminano altri, prima meno visibili. Nelle pagine del libro poco spazio hanno trovato le masse, le loro lotte, le loro sofferenze, le loro speranze. Si doveva cambiare registro e cercare di comprendere come e perché la gente comune fosse costretta a subire le regole di una gabbia costruita attorno a sé e di capire come questo involucro prendesse forma sino a diventare un limite invalicabile se non sporadicamente, con ripetuti tentativi per allentare le maglie della rete o di uscire dalla ‘muraglia cinese’ costruita attorno. Perciò in queste pagine ha trovato posto quasi soltanto l’azione di uomini: alcuni geniali, molti normali, altri mediocri, altri ancora pessimi». Ma tutti protagonisti della continuità strutturale dell’Italia in quegli anni che vanta un’anomalia: il fascismo, la guerra e la monarchia passarono lasciando meno cicatrici, e meno profonde, che in altre parti d’Europa, a dimostrazione che lo Stato nazionale era pronto a cambiare forma, non a dissolversi.
Indice
Introduzione - Parte prima La gabbia alleata: I. Usa e Italia: dalla «non guerra» ai progetti di «pace separata» - II. Equivoci e inganni di un armistizio - III. La carta sovietica - IV. Riscossa diplomatica - V. La leggenda della «svolta di Salerno» - Parte seconda Il ritorno dell’Italia sulla scena internazionale - VI. Il governo Bonomi e gli Stati Uniti - VII. Liberazione o resa tedesca? - VIII. La tentazione neutralista e Trieste italiana - Note - Indice dei nomi
Nel 1905, anno cruciale per la Russia moderna, l'ammutinamento della corazzata Potëmkin fu un evento di portata epocale perché mostrò al mondo la debolezza dell'impero zarista, ormai entrato in una crisi irreversibile, e perché fu il primo passo verso quella rivoluzione che dodici anni dopo avrebbe modificato il corso del XX secolo. È forse per questo che il clamoroso gesto di ribellione a bordo della più potente e moderna nave da guerra dello zar diede ben presto vita a un'epopea in cui l'esaltazione delle virtù eroiche e del fervore rivoluzionario di chi lo compì finì per oscurarne le cause profonde e la reale dinamica.
A ristabilire la verità storica attraverso una scrupolosa ricostruzione dei fatti, e a una loro efficace drammatizzazione in un intreccio appassionante, provvede ora il documentato libro di Neal Bascomb. Pur non sottacendo l'abnegazione e l'audacia delle centinaia di semplici marinai e delle poche decine di rivoluzionari convinti di aver sposato una "causa sacrosanta ", scopo dichiarato dell'autore è radicare la loro vicenda nel variegato contesto sociale e politico in cui si svolse. Innanzitutto, il graduale disfacimento del potere autocratico russo, sconfitto qualche settimana prima, proprio sui mari, dai giapponesi e minacciato dalle insurrezioni del proletariato di contadini inurbati. Ma anche i tormenti del tentennante zar Nicola II che, spaventato dal nuovo, reprimeva nel sangue le istanze di un popolo che aveva ancora fiducia in lui. E, sull'altro versante, il settarismo dei leader socialdemocratici, esiliati in varie città europee e futuri bolscevichi, che lasciarono soli gli ammutinati salvo cercare poi di fregiarsi delle loro gesta.
Animati da sincero spirito rivoluzionario e in nome della lotta all'oppressore, i marinai della Potëmkin tentarono l'"assalto al cielo", strappando agli ufficiali il controllo della corazzata e affrontando per undici giorni a viso aperto la potente flotta del Mar Nero, in una sfida che i loro nuovi comandanti avrebbero voluto estendere a tutto l'impero. Dopo effimere vittorie e il massacro della popolazione di Odessa che sosteneva i rivoltosi, l'amaro epilogo: tradimenti e voltafaccia, catture ed esecuzioni capitali, il mancato o inefficace appoggio del "braccio politico" in terraferma, il peregrinare braccati lungo le coste e sul mare, la resa in Romania.
A più di un secolo di distanza dell'ammutinamento della Potëmkin - immortalato dalla celebre pellicola di Sergej Ejzenstejn - e ormai svanita la grande illusione che contribuì ad alimentare, ciò che colpisce ancor oggi è l'insopprimibile desiderio di dignità e di libertà manifestato dai suoi protagonisti nei confronti di un potere assoluto e brutale. È per questo, conclude Bascomb, che la verità sulle loro vite, e sulle ragioni per cui le sacrificarono, merita di essere raccontata.
Durante la Guerra Fredda nessuno avrebbe immaginato che il crollo dell’Unione Sovietica sarebbe stato scatenato da dinamiche interne, e nemmeno che sarebbe avvenuto in relativa calma, senza grandi conflitti.
Il lavoro di Stephen Kotkin mostra che la prima causa del collasso sovietico non è stata la competizione militare ma, paradossalmente, il nucleo ideale dell’ideologia comunista: il sogno di un socialismo dal volto umano capace di migliorare la vita dei cittadini senza rinunciare ai principi di giustizia e uguaglianza. Le riforme neo-liberali non sono mai state davvero messe in atto nella Russia post-sovietica, né avrebbero potuto esserlo, considerato il fardello dell’eredità sovietica in ambito istituzionale, politico, economico e sociale.
Il libro ricostruisce in modo chiaro e conciso il dramma di una superpotenza di 285 milioni di abitanti che si è sgretolata pur avendo a disposizione un immenso esercito, sostanzialmente fedele allo Stato, e uno spaventoso arsenale di armi nucleari e chimiche. E lo ha fatto evitando non solo l’Apocalisse, ma anche esplosioni di violenza potenzialmente destabilizzanti per l’intero scenario geopolitico internazionale.
Stephen Kotkin insegna Storia moderna e contemporanea all’Università di Princeton, dove ha diretto dal 1996 al 2009 il Program in Russian and Eurasian Studies. È considerato uno dei più autorevoli studiosi di storia dell’Unione Sovietica.
Tra il giovane pittore, attento studioso dell’arte italiana, e l’insoddisfatto vizioso che cerca consolazione nell’alcol e nella droga è racchiusa la mirabile parentesi della ricerca solitaria, unica e rigorosissima di Amedeo Modigliani.
Il suo ideale artistico nasce e prende forma nella Livorno di fine Ottocento, alla scuola dei macchiaioli, sotto lo sguardo di Giovanni Fattori. Impara a penetrare la struttura intima delle cose, e da qui si rivolge al passato, custodito a Firenze, a Napoli, a Venezia: Masaccio, Tino di Camaino, Carpaccio, Tiziano... Dai viaggi, dal confronto con l’arte italiana prorompe la volontà di dedicarsi a un’«opera nuova», dal confronto con gli altri pittori la rivelazione della grande arte del nuovo secolo che sta nascendo in quegli anni a Parigi.
Oggi Modigliani è uno degli artisti più amati dal pubblico, dai giovani, da tutti coloro che si mettono in coda per vedere le mostre. Il suo catalogo raccoglie l’opera di uno dei maggiori artisti che l’Italia abbia avuto. I nudi sono forme severe su cui il colore accende la vita di un nuovo sistema pittorico che ha scosso la raffigurazione nel Novecento.
Ha inventato il ritratto moderno, inquieto e interrogativo, ha rappresentato poeti e cameriere, bambini e mercanti, mendicanti e donne. Lo ha fatto in una maniera unica, con una visione indipendente che Beatrice Buscaroli ricostruisce con uno sguardo critico innovativo, che scrosta dalla vita e dal lavoro di Amedeo Modigliani le leggende e i cliché nati il giorno stesso della sua morte. Rigorosa nel ricreare l’ambiente italiano e parigino a cavallo tra Ottocento e Novecento, aperta e acuta nella lettura dei gesti della tecnica artistica, la voce dell’autrice diventa trascinante nel racconto biografico, nel restituire l’intensità con cui Amedeo Modigliani visse, dipinse, scolpì.
Beatrice Buscaroli insegna Storia dell’arte alla facoltà di Conservazione dei beni culturali presso l’Università degli Studi di Bologna-Ravenna. Nel 2009 ha curato il Padiglione Italia alla 53a Biennale d’Arte di Venezia. Tra le pubblicazioni ricordiamo: Max Klinger (Ferrara Arte, 1996), Pinacoteca nazionale, Bologna (Il Sole 24 Ore – Electa, 2005), I colori nelle mani (Marietti 1820, 2009).
«Sir John Elliott, Regius Professor Emeritus di Storia Moderna a Oxford, è uno dei maggiori storici viventi, autore di magistrali ricerche sulla storia della Spagna moderna, della sua cultura politica e della sua espansione mondiale. In questo libro, frutto di lunghi anni di studio, racconta la storia parallela dei due imperi atlantici della prima età moderna, l'America spagnola e quella inglese.
Quegli imperi nacquero dalla volontà di trapiantare nella vastità degli spazi americani due culture diverse, per molti aspetti antitetiche e a lungo ferocemente ostili: quella latina, cattolica e assolutista della Spagna e quella anglosassone, protestante e liberale dell'Inghilterra. Due culture concordi solo nel concepire le terre d'America come uno spazio sacro, come un'offerta della Provvidenza divina per realizzare finalmente nel mondo l'ideale cristiano del regno di Dio.
In un continente vastissimo e scarsamente abitato da popoli diversi per lingue e culture, vennero allora a confronto due modelli di dominio coloniale, quello centralistico e burocratico della Spagna e quello disseminato e individualistico dell'Inghilterra. E quelle due realtà, che in Europa si combattevano, trovarono nel continente americano sorprendenti forme di interazione e di scambio.
Lo sguardo che Elliott posa su di una materia di straordinaria complessità è attento ai particolari e ricco di acute e rivelatrici osservazioni ma non perde mai di vista il problema fondamentale: confrontare in una prospettiva di ampio respiro i due maggiori modelli imperiali prodotti dall'Europa moderna. Il suo bilancio è quindi destinato a nutrire le riflessioni e le conoscenze di chi, nel mondo globalizzato di oggi, si interroga sull'interazione di civiltà diverse su scala planetaria, perché riesce a fornire, con un lavoro di comparazione di altissimo livello, una visione d'insieme del più imponente tentativo di unificazione culturale delle società umane: quello dei "secoli lunghi" del dominio europeo in America».
«Il carattere nazionale è stato un elemento centrale delle riflessioni di una parte importante del mondo intellettuale e politico dal Risorgimento alla Repubblica, e il discorso sui vizi degli italiani è stato anche parte integrante della lotta politica, nel senso che è stato regolarmente messo in campo e utilizzato come strumento nella battaglia per la definizione della nazione».
Dai patrioti risorgimentali che volevano che gli italiani prendessero in mano il loro destino, al fascismo che voleva trasformarli in una massa disciplinata e militarizzata, fino all’Italia postbellica, in ogni epoca il discorso sul carattere nazionale ha assunto toni e contenuti differenti. Nel corso del tempo le analisi dell’ ‘italianità’ hanno contribuito a richiamare l’attenzione sulla vita pubblica e la qualità della cittadinanza, ma sono anche state utilizzate dai nazionalisti per i loro scopi sciovinistici, oppure sono servite da alibi per nascondere responsabilità precise. Ricorrenti autostereotipi negativi hanno continuato a circolare anche quando si inventavano le narrazioni dei ‘primati’ o della ‘brava gente’. Ma può esserci davvero una speranza di cambiamento se il carattere di un popolo si percepisce in questo modo e se il passato ha lasciato su di esso un’impronta quasi ‘genetica’ ? Come ben ricostruisce Silvana Patriarca, «l’idea del carattere nazionale ha un fardello ideologico troppo pesante ed è troppo semplicistica per essere il veicolo di considerazioni critiche. In ogni comunità, e specialmente nelle nostre società sempre più globalizzate, il lavoro di autocritica e di esame di coscienza collettivo richiede un vocabolario diverso e più complesso. Le sfide dell’Italia multiculturale che viene emergendo richiedono nuove forme di discorso pubblico, meno autoreferenziali e più aperte al mondo esterno. La creazione di una società più inclusiva e più aperta non sarà possibile senza una riconsiderazione critica di vecchi miti nazionali e abitudini discorsive».
Indice
Introduzione - Ringraziamenti - I Ozio e rigenerazione - II Formare cittadini di carattere - III Individualismo latino: il carattere nazionale nell’età dell’imperialismo - IV Tra «prove» e «rivelazioni»: virtù della guerra - V «Una sostanza difficile da modificare» - VI «Autobiografie» della nazione - VII «Brava gente»? - VIII «Gli italiani sono fatti così» - Conclusioni - Bibliografia - Indice dei nomi
«La storia – si dice – la scrivono i vincitori, ma il problema è capire chi sono i vincitori». Anche se questo è un campo che si presta ai paradossi, è ben vero che molto dipende dalla periodizzazione che si adotta: cioè dal senso che si attribuisce a determinati eventi, dalla lettura che se ne dà nonché dalla comparazione di differenti, possibili, analogie. L’analogia come strumento principe della conoscenza storica è al centro di questo libro, il cui tema dominante è come si pensano i fatti storici, ed il cui interlocutore costante è il revisionismo storiografico. Perciò il lettore si imbatte dal principio alla fine nei due eventi archetipici della nostra storia, la Rivoluzione francese e la Rivoluzione russa, posti sul banco di prova della comprensione analogica e degli andirivieni mentali del revisionismo.
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Prefazione Trent’anni dopo - Nota - I. L’analogia come forma della comprensione storica - II. Macroanalogia, microanalogia, narrazione «orientata» - III. Analogia e politica: l’analogia diagnostica - IV. «Pensare» la Rivoluzione francese: la tolleranza e la virtù - V. Tra i barbari e l’impero: analogia o cliofilia? - VI. Il filantropo e il politico - Appendice - Conclusione L’inquietante mestiere dello storico - Indice dei nomi