
La nostra specie è solo l'ultimo ramoscello di un albero intricato di forme che si sono succedute e hanno convissuto negli ultimi sei milioni di anni. Ma quaranta millenni fa sulla Terra ancora coabitavano almeno cinque specie umane differenti, e con almeno due di queste Homo sapiens ha interagito e si è ibridato. Ma perché tutte queste specie umane in circolazione? Ciascuna era la discendente di una delle tante migrazioni di forme del genere Homo fuori dall'Africa. E va ricordato che tra 900 e 800.000 anni fa abbiamo rischiato anche di estinguerci quando un drammatico cambiamento climatico ridusse le popolazioni umane di più del 98%. Perché siamo rimasti, allora, l'unica specie umana sul pianeta? Due tra i migliori scrittori di scienza italiani, un evoluzionista e un medico, fanno il punto sulle scoperte che negli ultimi anni hanno profondamente cambiato quello che pensavamo di conoscere su di noi e raccontano la storia accidentata e imprevedibile di una specie cosciente e invadente che, forse per prima, si è interrogata sul senso del mondo. Capire l'unicità di Homo (non la sua superiorità) ci aiuta a leggere meglio anche le tendenze evolutive in atto, le sfide della salute e dell'ambiente, gli scenari futuri.
7 febbraio 1945, mercoledì, ore 14.30. Nelle malghe di Porzùs, in provincia di Udine, ha sede il comando Gruppo brigate est della divisione Osoppo, formata dai cosiddetti "fazzoletti verdi" della Resistenza: partigiani cattolici, azionisti, indipendenti. Giungono in zona cento partigiani comunisti, agli ordini di Mario Toffanin sotto le false spoglie di sbandati in cerca di rifugio dopo uno scontro con i nazifascisti. In realtà è una trappola. Ventidue partigiani della Osoppo - fra essi il comandante della Brigata, Francesco De Gregori - vengono assaliti e uccisi. Nel 1954 la Corte d'Assise di Lucca irrogherà tre ergastoli e 777 anni complessivi di prigionia ai responsabili. Ma i tre autori principali dell'eccidio sono già fuggiti, in Jugoslavia. Toffanin non rientrerà più: morirà là, coi suoi molti segreti. In occasione della recente discussione sull'attribuzione alle malghe di Porzùs dello status di monumento nazionale, i saggi contenuti nel volume inquadrano nel suo contesto storico quell'episodio, sin qui nella sua genesi parecchio oscuro. Il libro si apre con un contributo di Tommaso Piffer su "Strategia e politiche delle formazioni partigiane comuniste italiane", e in esso si segnalano i saggi "La controversa memoria di Porzùs", di Elena Aga Rossi, "Violenza politica e presa del potere in Jugoslavia", di Orietta Moscarda, "Il PCI fra via nazionale e modello jugoslavo", di Patrick Karisen, "La violenza del dopoguerra al confine fra due mondi", di Raoul Pupo.
Nel corso della seconda guerra mondiale gli angloamericani presero contatto con tutti i principali movimenti partigiani europei, per armarli, organizzarli e coordinarne le azioni contro le forze naziste. La natura sia politica sia militare della Resistenza determinò spesso duri scontri all'interno dello stesso campo alleato e accese polemiche storiografiche nel dopoguerra. Anche in Italia gli Alleati appoggiarono con decisione lo sviluppo della Resistenza italiana, contribuendo ad armare e addestrare i partigiani. Questo libro indaga i rapporti fra gli alleati e la Resistenza italiana, analizza le politiche stabilite dai vari livelli della catena decisionale alleata, per poi verificare come questa fu effettivamente applicata sul campo dagli agenti dei servizi segreti inviati dietro le linee nemiche per prendere contatto con le formazioni partigiane. Particolare attenzione è data ad alcuni aspetti controversi, quali la presunta discriminazione nei confronti delle formazioni garibaldine, la natura dei contrasti e della competizione tra americani e inglesi o le ragioni del proclama Alexander del novembre 1944.
«Con questo libro si è definitivamente aperta una nuova prospettiva storica» Piero Craveri Durante la seconda guerra mondiale, gli Alleati stabilirono contatti con i movimenti partigiani europei per armarli, organizzarli e coordinarne le azioni contro i nazisti. Americani e inglesi crearono strutture segrete e inviarono agenti nei territori occupati. I rapporti con la Resistenza sollevarono problemi politici e militari, generando tensioni interne e polemiche postbelliche. Tommaso Piffer analizza la politica alleata verso la Resistenza italiana con particolare attenzione ad aspetti controversi, quali la presunta discriminazione nei confronti delle formazioni di sinistra, l'accesa competizione che si sviluppò in campo alleato, gli accordi tra i servizi segreti americani e il partito comunista italiano.
Nel corso della prima Guerra Mondiale furono impiegate in trincea circa 33.000 unità tra Cappellani militari, preti– soldato e chierici. Si tratta di un pezzo di storia italiana poco conosciuta se non addirittura dimenticata su cui questo volume si propone di fare luce. Il libro, a cura di Mons. Vittorio Pignoloni, prosegue e approfondisce il discorso intrapreso con I Cappellani Militari d’Italia nella Grande Guerra. Relazioni e testimonianze (1915–1919) e raccoglie lettere, testimonianze e brevi diari recuperati dall’archivio dell’Ordinariato militare. Tra i documenti, particolarmente significativa è la lettera di don Angelo Giuseppe Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII, in qualità di Cappellano Militare presso l’ospedale militare di Bergamo.
Con la Prefazione di S. E. R. Mons. Santo Marcianò, Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia.
Il 19 settembre 1940 durante un rastrellamento nazista a Varsavia, Witold Pilecki prende la direzione opposta a tutti gli altri e si fa arrestare volontariamente per essere mandato ad Auschwitz. Il nome non è ancora sinonimo di inferno, come sarebbe diventato, tuttavia chiunque avrebbe considerato quel gesto folle. Ma Pilecki non è uno qualunque, è un militare dell'Armata polacca e membro della resistenza contro i nazisti. La sua missione è infiltrarsi nel campo, raccogliere informazioni e organizzare una rete clandestina pronta a ribellarsi e a prendere il controllo al momento giusto. Sin dall'arrivo, Pilecki si rende conto che qualsiasi idea i cittadini liberi si fossero fatti di quel luogo, era drammaticamente ingenua. Ciò che trova oltre il cancello con la scritta "Arbeit macht frei" non ha nulla a che vedere con qualunque cosa avesse conosciuto nel mondo reale. Ogni regola del vivere civile è calpestata e sovvertita, ci sono prigionieri con diritto di vita e di morte su altri prigionieri. Fame, freddo, malattie, lavori forzati sono usati dai nazisti come strumenti di decimazione. L'arbitrarietà assoluta è l'unica legge applicata e ciò che distingue i carcerieri l'uno dall'altro sono solo diversi gradi di crudeltà. A poco a poco Pilecki tesse la sua rete clandestina, in attesa del segnale di rivolta, che però non arriva mai. Dopo tre anni, e dopo aver visto sparire molti dei suoi amici, Pilecki decide di fuggire, per continuare la resistenza da fuori.
Il 26 maggio 1805, nel corso di una fastosa cerimonia nel Duomo di Milano, Napoleone si faceva incoronare re d'Italia. Ancora dopo due secoli, l'avventura italiana di Napoleone è oggetto di vivaci controversie tra chi vi vede l'occasione positiva di una prima emancipazione e modernizzazione dell'Italia e chi la considera una brutale occupazione straniera. Sia come sia, gli anni francesi iniziati con l'invasione del 1796 e la Repubblica Cisalpina, proseguiti con la Repubblica e il Regno d'Italia dal 1802 e terminati nella primavera del 1814, costituiscono uno dei periodi più ricchi e importanti nella storia d'Italia, un'autentica cerniera fra età moderna e contemporanea.
Dal 1420, quando papa Martino V fece il suo ingresso in una Roma spopolata e con i maggiori monumenti in abbandono, mise in moto un grandioso processo di rinascita della città esemplato sull'aureo modello dell'antica Roma. Ma questa "renovatio Urbis" covava al suo interno un'insanabile contraddizione. La venalità della corte pontificia, il nepotismo, i grandiosi programmi edilizi, se erano indispensabili al rafforzamento del primato del papa, ne minavano la credibilità spirituale, alimentando quella critica radicale che sfociò nello scisma protestante.
Antonio Pinelli insegna Storia dell'arte moderna all'Università di Pisa. Ha pubblicato, fra l'altro, "La Bella maniera. Artisti del Cinquecento tra regola e licenza", "Nel segno di Giano. Passato e presente nell'arte europea tra Sette e Ottocento", "Roma instaurata. Arte del Quattrocento alla corte di papi e cardinali". In questo volume analizza il difficile rapporto tra arte e potere, sempre in bilico tra mecenatismo e asservimento, committenza e manipolazione.
L'opera d'arte riflette in sé una somma di fattori: la personalità dell'artista, le richieste del committente, il peso della tradizione, il riflesso della cultura contemporanea. A volte i colori possono incarnare un particolare significato, diverso da epoca a epoca e da luogo a luogo (per esempio in Occidente il colore del lutto è il nero, mentre in Cina è il bianco), e perfino i gesti non hanno una lettura univoca: ciò che da noi esprime dileggio, può risultare incomprensibile ad altri popoli. Ricostruire il contesto cronologico e territoriale di un'opera d'arte, e apprezzarne appieno il significato, può dunque voler dire decifrare codici divenuti per noi incomprensibili. Compito dello storico dell'arte è attivare tutti i canali conoscitivi - documentari, storico-filologici, iconologici, di analisi del contesto e della committenza, di storia del gusto e della fortuna critica per approssimarsi il più possibile all'interpretazione autentica dell'opera. Questo libro, che si avvale di una sezione iconografica, si propone di far acquisire al lettore uno sguardo critico e metodologicamente aggiornato sulla storia dell'arte, collocando le opere sullo sfondo di questioni più ampie, quali il ruolo sociale dell'artista nelle diverse epoche - misurato anche sulla base del valore attribuito all'opera in termini di prezzo - o il significato e i limiti delle cosiddette "etichette storico-critiche", come Gotico, Manierismo, Barocco o Rococò.
Dopo aver analizzato moventi, caratteristiche e protagonisti del cosiddetto Neoclassicismo, questo libro passa ad indagare tutti quei movimenti artistici che radicalizzarono il ritorno all'antico prescritto dall'estetica neoclassica, opponendogli modelli ancor più arcaici o comunque diversi, ma altrettanto remoti dal presente. Si passano così in rassegna i "Primitifs", cresciuti in seno alla Scuola di David ma che ne estremizzarono i precetti, i Nazareni, i Puristi, i Preraffaelliti e tutte quelle tendenze che trovarono un comun denominatore nella teoria e nella pratica dell'"avanzare regredendo", nel mescolare l'arte alla vita, e, da ultimo, nel rifiuto della società industriale, percepita come minaccia alla sopravvivenza stessa dell'arte.