
L'arte indiana ha le sue origini in un passato remoto che vede la nascita nel III millennio a.C. della civiltà dell'Indo (Pakistan). La discesa degli "Indoeuropei" porterà in seguito alla nascita della civiltà dei "Veda", che prende il nome dai testi sacri che saranno prodotti durante molti secoli. Una civiltà costruita attorno alla parola, ricca di ritualità ma priva di immagini create dall'uomo e basata sui simboli, come la luce, di ordine naturale. Con la crisi della società brahamanica nasce il buddhismo (fine del VI secolo a.C.), che porterà nuove simbologie, come la ruota o il loto. Nascerà infine l'arte indiana, con architetture e sculture, intorno alla nostra epoca, inizialmente buddhista, espandendosi in tutta l'India e in Sri Lanka. L'arte classica indiana vedrà il suo splendore tra il IV e l'VIII secolo e sarà buddhista e induista. Da allora sarà espressione di entrambe le religioni, sino alla compresenza dell'islam, che nell'India si acculturerà in forma peculiare. L'impronta artistica indiana darà vita nel Tibet a quella tibetana, ma si espanderà anzitutto nel Sud-Est asiatico, dove possiamo, pur nel matrimonio con culture e civiltà differenti, parlare sempre di arte indiana.
Lo spirito familiare nello Stato e nella società apparso nel 1910 a Lille con il titolo L'Esprit Familial dans la Maison, dans la Cité et dans l'Etat, è tratto dal secondo volume de Il problema dell'ora presente: Antagonismo di due civiltà, una grande opera che espone la teologia della storia di mons. Delassus, pubblicata nel 1904, con una lettera di elogio del cardinale Rafael Merry del Val.
Nel quadro dell'attacco crescente alla famiglia e alla società intera, le Edizioni Fiducia propongono un'edizione critica dell'opera di mons. Delassus, curata da Fabio Fuiano e preceduta da un'introduzione di Roberto de Mattei, per mettere a disposizione dei lettori un vero e proprio tesoro della letteratura cattolica del XX secolo.
Una testimonianza vibrante dell'esperienza trascorsa ad Auschwitz. L'arrivo dei treni della morte, l'illusione di un riposo impossibile, i bambini strappati alle madri, il freddo, i corpi senza vita gettati nella neve, e, tra loro, qualcuno che ancora si muove tende disperato le braccia. La fame, la disperazione, la morte, compagne inseparabili come il fumo di quei camini che non smettono di fumare. In un susseguirsi di scene lucide e terribili, si delineano gli orrori di quell'esperienza dalla quale 'nessuno sarebbe dovuto tornare'.
Codificate sulla base della Scrittura e divulgate attraverso una pluralità di testi e immagini, le opere di misericordia fornirono a istituzioni e città un riferimento fondamentale nell’individuare bisogni primari e interventi esemplari della carità pubblica. I saggi raccolti in questo volume si interrogano sulla trasformazione delle politiche di misericordia tra medieovo e prima età moderna. Grazie a un approccio multidisciplinare, il volume indaga come la misericordia venne declinata quale virtù politica, tesa a rendere meno feroce la società, mitigando il vivere comune in nome dell’ideale evangelico. La riflessione teologica e la retorica della carità servirono – non senza ambiguità – a catalizzare energie, a elaborare progetti sociali, a rendere riconoscibili e credibili antiche e recenti istituzioni, a sostenere politiche di soccorso e, anche, di controllo e disciplinamento. In nome della medesima carità si poteva infatti sia elargire un aiuto generalizzato, sia attuare un’attenta selezione, basata sull’idea che l’assistenza era un diritto riservato ad alcuni ma precluso a molti, giudicati indesiderati, pericolosi e viziosi.
Tra i vari temi che percorrono come un fil rouge tutta la cultura greca e latina, quello del vino è tra i più affascinanti. Dalla sua origine mitica, legata al dio che i Greci chiamavano Dioniso e i Romani Bacco o Libero, fino alle soglie del Medioevo, quando la ritualità cristiana prende definitivamente il sopravvento sui significati pagani, il vino è celebrato dai poeti e studiato dagli eruditi e in primo luogo è presenza costante durante le feste pubbliche, nei simposi greci e nelle cene romane. La grandezza del suo significato incide tanto sull'età più remota del mito quanto sulle ricerche degli scienziati, segnando fortemente soprattutto la lirica, l'epigramma e l'elegia, mentre il sapore della quotidianità è conservato dalla commedia e dagli aneddoti sui più forti bevitori.
Frutto di un decennio di ricerche, il libro ricostruisce per la prima volta integralmente l’itinerario biografico e intellettuale del filosofo e storico delle idee Isaiah Berlin (1909-1997) e svela, grazie anche a fonti inedite, l’importanza che vi ebbero gli eventi e i confronti con alcune tra le maggiori personalità del Novecento: da Weizmann a Ben-Gurion, da Churchill a Thatcher, da T.S. Eliot a Wittgenstein. Emergono così l’attenzione verso la dimensione dell’appartenenza e l’impegno sionista, la critica ai nazionalismi aggressivi e l’interesse per il pluralismo culturale, che rendono ancora attuale la proposta filosofica berliniana. La rilettura finale delle riflessioni di Berlin sul liberalismo e sul pluralismo fa dell’opera una rigorosa, ma accessibile, introduzione al suo pensiero.
Prima di dire, prima di analizzare, prima di spiegare, di scrivere, di leggere, c'è la parola, la parola cantata, musicata, musicabile, del cantastorie, del poeta, del griot, del teatrante, del recitare, del poetare, del cantare, dell'affabulare. Prima del leggere c'è l'ascoltare. Le cantate qui raccolte costituiscono un diario dei più recenti avvenimenti simbolo per più di una generazione, dalla caduta del muro di Berlino alla seconda guerra del Golfo. Ogni cantata è preceduta da alcune note che brevemente ricordano il fatto.
I protagonisti della narrazione, tratti dal mondo reale, illustrano le vicissitudini che hanno segnato il percorso sociale di un paesino rurale della Carnia negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. In una comunità chiusa e ancorata al campanile, alle tradizioni, alla fede e a un modo di vivere semplice e genuino, tutti in paese recitavano la propria parte, mettendo al servizio della collettività le abilità e l’ingegno che non erano mai mancati nelle famiglie, costrette a fronteggiare quotidianamente, con scarsissime risorse, le difficoltà che il vivere in montagna allora comportava. Così ciascuno s’incamminava, fin da bambino, lungo il sentiero già tracciato dagli avi, cercando prima di tutto di ricalcare le impronte di quanti l’avevano preceduto e migliorando dove possibile con i mezzi e le nuove possibilità che in quei decenni il progresso portava in ogni settore, anche nelle più remote località della valle. Soprattutto i più giovani sentivano questo vento, quest’aria nuova e fresca che prometteva di scompigliare tutto quanto odorava di stantio, facendo voltare di scatto le pagine troppo consunte del libro di scuola.
Note sull'autore
Eddo Della Pietra vive a Cercivento (UD), dove è nato nel 1953. Perito industriale, è stato impiegato tecnico comunale per oltre un quarantennio nella propria comunità. Interessato fin da giovane alle attività culturali in zona, è tra i soci fondatori del Circolo culturale “La Dalbide” (1980). Scrive per riviste e periodici locali e ha già pubblicato la monografia Cercivento 76-96 (1996) e il romanzo Il sogno di Andrei (2016).
Come può il Sessantotto aiutarci a pensare e ad agire nel 2018? L'anno ribelle capitava in un momento di crescita economica e di espansione del benessere comune. Da allora il mondo è cambiato. Oggi, dopo una crisi finanziaria che ha colpito tutto l'Occidente e di fronte a una pericolosa degenerazione del discorso pubblico, alcuni aspetti di quella rivolta ritornano però attuali. Questo libro non celebra quell'anno, ma ne misura la memoria nella politica contemporanea, nei suoi temi e nei suoi conflitti. La memoria, la crisi e la trasformazione sono le lenti attraverso le quali i grandi pensatori del nostro tempo pesano il lascito del passato nel presente. Nel cinquantesimo anniversario dell'anno della rivolta il Sessantotto esiste infatti come eredità simbolica nei movimenti della politica europea e globale. "Anziché riconsiderare gli effetti dell'anno ribelle, questo volume affronta la sua presenza negli anni dieci di questo secolo, partendo dalla convinzione che la memoria di quegli eventi possa sembrare oggi più vicina." Di quelle vicende che cosa ricordiamo? Ma soprattutto, che cosa abbiamo rimosso? A queste domande rispondono intellettuali e politici da tutto il mondo, da Colin Crouch a Pablo Iglesias, in un dialogo sulle debolezze ma anche sulle opportunità per la sinistra, sulla base sociale necessaria a costruire un discorso politico inclusivo e sulla ricerca di identità collettive.