
La libertà politica, secondo Benjamin Constant, permette ai membri di una comunità di influenzarne i modi di governo, di elevare proteste per qualcosa che è giudicato contrario al bene comune, di porre qualcuno nella posizione di guida e di sostituirlo se necessario. Sembra il minimo. Eppure attualmente neanche metà degli Stati del mondo possono dirsi pienamente liberi. Perché la libertà politica si perde. La storia ne offre molti esempi: dai tiranni di Atene fino a Mussolini, è possibile verificare quanta libertà politica sia stata conculcata o addirittura eclissata per anni, decenni o secoli. Gli stessi rischi si ripropongono agli attuali sistemi politici e lasciano aperta una domanda di fondo alla quale occorre sempre tornare: oggi stiamo davvero esercitando la nostra libertà politica?
A partire dalla fine del XV secolo l'Occidente europeo cambia radicalmente il modo di combattere. Le armi da fuoco diventano finalmente efficienti. Si passa rapidamente dall'archibugio al moschetto, al fucile a baionetta. Le fortificazioni si trasformano: i bastioni a punta di freccia sostituiscono le mura alte e merlate. Nel frattempo si rinnova l'organizzazione delle forze armate. La dimensione degli eserciti cresce enormemente e muta anche la loro composizione: la fanteria diventa la regina delle armi e la cavalleria la specialità dei giovani gentiluomini. Si tratta di ordinamenti sempre più professionalizzati. Dai mercenari del Seicento, accompagnati in guerra anche da donne e bambini, ai reparti ben allineati e disciplinati del Settecento. Nella guerra sul mare dominano le acque i grandi vascelli, che montano a bordo fino a 120 cannoni. Ovunque servono equipaggi addestrati, materiali, pezzi da fuoco e munizioni: cioè denaro, denaro, denaro. Così la guerra diventa un costosissimo affare di Stato. Insomma, finita l'era 'romantica' dei combattimenti faccia a faccia con la spada, i nuovi protagonisti sono un nuovo genere di soldati, addestrati e specializzati. In questo libro li vedremo in azione e ne riascolteremo le esperienze e le emozioni.
Il Novecento rimarrà come il secolo dei genocidi. Non che stermini di massa non ci siano sempre stati, ma solo nel Novecento la miscela avvelenata di razionalità totalitaria, nazionalismo e modernità ha generato la sanguinosa "specialità" del genocidio. Dopo aver fatto il punto del problema, ancora molto controverso, di come sia esattamente definibile come genocidio, Bruneteau spiega le origini ideologiche e storiche del comportamento genocida, che affondano nei massacri delle guerre di conquista coloniale, nella diffusione di un malinteso darwinismo sociale, nella pedagogia della violenza estrema nella Grande Guerra, e dedica un capitolo a raccontare ognuno dei grandi genocidi del secolo.
Se l'Italia come stato unitario non ha che centocinquanta anni, il nome e l'idea o anzi le idee di Italia sono molto più antichi. Questo libro inconsueto vuole raccontare la storia di quel complesso di idee: l'Italia prima dell'Italia. Dagli Italòi - abitanti della Calabria meridionale secondo Antioco di Siracusa (V secolo a.C.) - all'Italia descritta da Plinio e celebrata da Virgilio in lode di Augusto, all'Italia unificata nella lingua dall'audacia di Dante, il libro ricostruisce il tessuto, insieme variegato e compatto, di un paese che riesce ad alimentare, anche se privo di uno stato, la grandezza non solo culturale e artistica del Rinascimento e delle età successive: una nella lingua e nella letteratura, l'Italia offre alla civiltà occidentale un comune orizzonte diplomatico, umanistico, religioso, che garantisce dignità alla dimensione municipale della piccola patria e insieme a quella, più grande, della cultura internazionale.
Francesco Bruni insegna Storia della lingua italiana nell'Università di Venezia. Per il Mulino ha pubblicato "Boccaccio. L'invenzione della letteratura mezzana" (1990), "La città divisa. Le parti e il bene comune da Dante a Guicciardini" (2003) e "L'italiano letterario nella storia" (2007) nella serie da lui curata "Storia della lingua italiana".
L'ultimo Medioevo ha generato il grande codice dell'economia di mercato, che con la Riforma protestante si biforcherà in un capitalismo nordico, erede di Lutero e Calvino, e in uno meridiano, figlio dei mercatores toscani e di san Francesco. Un capitalismo dunque che in qualcosa ha continuato l'Umanesimo civile dei secoli precedenti e in altro di importante se ne è invece allontanato. Questo libro ne racconta la genesi evidenziandone gli aspetti comunitari, meticci e relazionali, maschili ma con inaspettate presenze femminili; con uno sguardo speciale all'intreccio tra lo spirito dei mercanti e quello dei frati mendicanti. Un viaggio attraverso il primo capitalismo europeo animato e ispirato da qualcosa di molto più grande, vasto e potente del puro interesse economico delle merci.
"Se Dossetti avesse continuato a fare politica, la DC si sarebbe spezzata". È l'explicit lapidario che Gianni Baget Bozzo appose nel 1977 a una storia iniziata quattro decenni prima e conclusa da tempo. Quando venivano scritte queste parole, Giuseppe Dossetti era ormai un monaco di sessantaquattro anni votato allo studio e alla preghiera. Ma nell'immediato dopoguerra, da laico, fu il protagonista di una stagione di rinnovamento che coinvolse le forze più vive del cattolicesimo politico italiano e il partito in cui cercarono rappresentanza. Sembrava che di quel tentativo si conoscesse ogni singola mossa, ogni retroscena. Non è così. Lo si scopre nel saggio di Fernando Bruno, che ha il merito di guardare all'intera vicenda da un punto di osservazione finora non abbastanza messo a profitto: la rivista "Cronache Sociali" (1947-51), organo politico quindicinale del gruppo dossettiano, ossia della sinistra democristiana nella sua espressione più alta e sognoficativa. Gli articoli di Dossetti, Lazzati, La Pira, Caffè, le grandi inchieste, l'osservatorio interno e internazionale erano modelli di un giornalismo civile, colto e incalzante, dove veniva allo scoperto l'alternativa alla leadership di De Gasperi. Al tatticismo degasperiano risucchiato nella "manovra governativa" e nel "patteggiamento di gabinetto", e sospinto a destra, Dossetti contrappose un'azione "formativa e suscitatrice, in strati sempre più vasti, di uno slancio collettivo vitale".
"Una riflessione suggestiva e penetrante di uno dei maggiori storici del mondo antico; una sintesi efficacissima, dove la caduta della Repubblica è spiegata attraverso le vicende di una lotta di classe senza sbocchi e senza ideologie; i protagonisti sono un esercito potente ma privo di legami con lo Stato, un ceto contadino disgregato e miserabile, una nobiltà ormai incapace di governare e una plebe urbana resa turbolenta e oziosa da un secolare avvicendarsi di fame, di guerre e di frustrazioni." (Emanuele Narducci)
L'approccio allo studio dell'antica Mesopotamia - la "terra tra i due fiumi" che tanto ha contribuito al progresso dell'umanità intera - diventa oggi particolarmente significativo nel clima di sconvolgimento politico e sociale e di guerra al terrorismo mediorientale. Confutando la visone eurocentrica e neocolonialista di gran parte dell'archeologia corrente e la sua dipendenza dalle fonti scritte, il volume rivaluta l'importanza dei dati materiali e archeologici e la loro centralità nella creazione dell'identità nazionale dei vari popoli e della loro sociologia. Attraverso l'impiego di modelli sociologici e antropologici, l'autore ripercorre quindi la storia politica e l'archeologia dell'antica Mesopotamia nei suoi snodi fondamentali.
La Shoah occupa un posto centrale nella memoria comune. C'è però un abisso fra come la studiano gli storici e come ne parla il grande pubblico. Per questo Tal Bruttmann e Christophe Tarricone si propongono di definire con il più grande rigore scientifico termini e nozioni che, sotto vari aspetti, sono "fuorvianti". Chi sa per esempio che, da diversi decenni, gli storici utilizzano l'espressione "centro di messa a morte" piuttosto che "campo di sterminio"? "Shoah" e "Olocausto" sono strettamente dei sinonimi? Che cosa implica realmente il concetto di Lebensraum (spazio vitale)? Facendo il punto sul vocabolario, ma anche sui protagonisti, i luoghi e le fonti, queste 100 parole tentano di approfondire una realtà che nessuna parola può esprimere.
La storia non è soltanto il racconto del passato, più o meno fedele, ma una vera e propria scienza, coi suoi "ritmi" e le sue leggi! È quanto ci dimostra l'autore, il quale - alla luce delle intuizioni di G.B. Vico e di Oswald Spengler - ha esaminato scrupolosamente le sei grandi civiltà succedutesi nei millenni a partire dall'invenzione della scrittura, arrivando alla conclusione che tutte hanno avuto la stessa durata e gli stessi cicli evolutivi, dalla nascita al declino, con stupefacenti parallelismi ed impensabili "coincidenze" nei loro aspetti più svariati: economico, politico, artistico, culturale, spirituale.