
Si fa un gran parlare, nei nostri tempi, di saggezza orientale, anzi diciamo pure che l'aggettivo si potrebbe persino eliminare: la saggezza arriva sempre da Oriente, ed è ormai diventato un luogo comune. Ed è questo luogo comune che ha decretato il successo di libri sapienziali arrivati da est, che hanno avuto grandissima diffusione nel vecchio mondo e che hanno divulgato la filosofia cinese del vincere i conflitti con l'astuzia... Ma anche l'Occidente conosce lo stratagemma quale mezzo alternativo alla forza nella soluzione dei conflitti. Vi fanno ricorso, oltre agli strateghi militari più geniali, anche imprenditori, manager, allenatori, formatori, educatori e quanti si propongono di superare dolcemente le resistenze al cambiamento nei sistemi umani. Questa raccolta di "altri" stratagemmi dimostra che a proposito dell'astuzia la parola definitiva non è stata ancora pronunciata.
A volte le parole paiono vuote, inutili, eccessive. Ma se sono poche ed efficaci, come nel caso dell'aforisma, possono diventare potenti e magiche. Non a caso tutta la tradizione orientale e occidentale di saggezza ha utilizzato l'aforisma per esprimere se stessa, per diffondersi, per creare consenso, per educare. Anche i nostri tempi, straripanti di informazioni, hanno bisogno di questo sapere conciso, dalla forma essenziale, lapidaria. Giorgio Nardone, psicologo e terapeuta, ha studiato a lungo l'effetto magico che una massima breve e folgorante può avere all'interno del colloquio terapeutico: tra le argomentazioni logiche e la comunicazione non verbale, una sentenza ben calibrata può portare a un'illuminazione improvvisa, una visione fino a quel momento nascosta agli occhi dell'interlocutore, proprio perché fa leva sia sull'intelligenza che sulle emozioni. Così l'aforisma, dopo esser stato per molto tempo un accessorio da salotto, ritorna in sede terapeutica al suo antico rango, quello sapienziale, curativo, magico.
Miracoli, oroscopi, superstizioni, numerologia, profezie... quanto c’è di vero in tutte queste manifestazioni più o meno «occulte»? Perché vi ricorriamo così spesso quando non riusciamo a chiarire un fatto apparentemente inspiegabile? Il più delle volte, non c’è motivo di cercare una spiegazione... semplicemente perché non c’è! Anziché scomodare poteri occulti, influssi astrali od oracoli quantomeno nebulosi, è sufficiente ammettere l’esistenza del caso e che, laddove crediamo di intuire un messaggio nascosto, si tratta solo di una coincidenza (o di un’abile manipolazione dell’imbroglione di turno).
Ennio Peres, con lo spirito arguto dell’enigmista – e ancor più del matematico – non si limita a sfatare leggende metropolitane, superstizioni e plateali fandonie, ma riconduce gli «scherzi del caso» a un gioco raffinato e stimolante: nelle loro infinite combinazioni, lettere, numeri e parole non sono solo un’ottima palestra per riconoscere e quindi difendersi dai capricci del caso, ma anche un’occasione insostituibile di divertimento e, perché no, di arricchimento intellettuale.
Guida pratica agli scherzi che ci tendono la nostra mente e il nostro modo di pensare, per sopravvivere nella giungla dei nostri pensieri e chiudere il libro sorridendo. Vi è mai successo di bloccarvi nell'inutile tentativo di ricordare un nome? Oppure di controllare più e più volte la valigia appena fatta nel dubbio di aver dimenticato qualcosa? O di dannarvi a rivangare un passato che non si può più cambiare? Siete in buona compagnia: come insegna l'autore di questo libro, chiunque prima o poi è caduto vittima delle cosiddette «trappole della mente». Molteplici e sempre pronte a scattare, queste abitudini a pensare in modo sbagliato non soltanto ci complicano l'esistenza, ma ci sottraggono tempo ed energia preziosi. Evitarle è possibile, basta imparare a riconoscerle: ad aiutarci in questa impresa è André Kukla, che ci guida alla scoperta dei nostri processi mentali e dei loro passaggi inutili, veri e propri vuoti di consapevolezza in cui spesso precipitiamo ma contro i quali possiamo adottare opportune strategie d'uscita.
Il linguaggio è un'arma potente: non solo descrive la realtà, ma la può anche cambiare. Se le parole non sono realtà "concrete", sicuramente lo sono i loro effetti. A volte il modo di parlare si traduce in blocchi, disfunzioni, sofferenza: è il caso di frasi come "Non so decidere", "Sono timido", "Mi sento sempre in colpa", che possono scaturire da situazioni reali, ma che diventano la "prova" e la giustificazione dell'impossibilità di cambiare. In questo libro, Matteo Rampin ne raccoglie una nutrita antologia tratta dalla sua attività clinica, mostrando come sia possibile, attraverso la ridefinizione e la ristrutturazione di quelle stesse parole, ribaltare gli effetti paralizzanti del linguaggio, e usare proprio quest'ultimo come una sorta di formidabile antidoto contro se stesso, spalancando così la strada al cambiamento, ridando al disagio proporzioni più adeguate e portando ad accettare il fatto che problemi e crisi fanno parte dell'esistenza. In questo modo, quasi magicamente, ciò che avvelena l'esistenza degli individui è visto da una prospettiva nuova, che svela come grano e zizzania siano due facce della stessa medaglia. Frasi come le precedenti perdono allora la loro connotazione negativa: "Non so decidere", "E come l'ha deciso?".
Per vivere pienamente la nostra vita, dobbiamo prima liberarci dell'eredità emotiva che la nostra famiglia esercita su di noi da generazioni. In questo libro-autobiografia, Jodorowsky racconta del suo cammino a ritroso nella storia della sua genealogia e degli incontri magici con sciamani, asceti, artisti, monaci con l'aiuto dei quali è diventato una delle più famose figure dello sciamanesimo contemporaneo. La modernità ha bisogno di ritrovare i suoi miti, e l'uomo contemporaneo le sue radici primitive. I riti sciamanici, con la loro simbologia forte e la loro corporeità quasi violenta, restituiscono emozioni e autenticità perdute.
Nel 1988 usciva L'arte del cambiamento, il testo con il quale Giorgio Nardone introduceva quell'attività ventennale i cui risultati e successi sono raccolti e spiegati nel presente volume. Vent'anni durante i quali, mediante un sempre più consapevole uso terapeutico del paradosso, della credenza e della contraddizione - ossia delle logiche non ordinarie -, Nardone è giunto a individuare quelle costanti che permettono, caso per caso, di scegliere la strategia più adatta per affrontare e risolvere le più importanti patologie su scala individuale, di gruppo o aziendale. Un percorso in cui non si parte dall'astrattezza lineare di una teoria per procedere alle sue applicazioni, ma si opera nel modo esattamente opposto grazie a quella che Nardone definisce "consapevolezza operativa": è attraverso la soluzione che si perviene alla conoscenza di un problema. Alla base di ciò vi è l'accettazione della realtà come mutamento e della credenza, della contraddizione e del paradosso come dati di fatto sempre operanti nei processi mentali e quindi nei comportamenti; e sono proprio questi dati che, una volta riconosciuti, ci suggeriscono la strada più consona per la risoluzione dei problemi. La verità di una teoria si deduce dai suoi risultati; una psicoterapia che funziona è una buona psicoterapia.
Oriana Fallaci ebbe pochi amici. Fra questi Riccardo Nencini, protagonista della politica toscana e da tempo apprezzato scrittore. Nencini passò con la grande giornalista, poco prima della sua morte, un'intera giornata. Fumarono molto, soli in una piccola camera a Firenze. Si dissero molte cose, ma soprattutto fu la Fallaci a parlare. Nencini ripercorre quel loro ultimo incontro, momento dopo momento, senza tradire nulla di quello che gli fu detto. La Fallaci ci parla del suo rapporto con l'Alieno, come lei stessa chiamava il cancro che poi la uccise, del desiderio di morire a Firenze, in quella stanza da cui si vede l'Arno e dove durante la Seconda Guerra Mondiale era rimasta con suo padre partigiano. Discutono di tutti quei temi che sempre infiammarono l'anima di questa "meravigliosa, temibile e vanitosa creatura" come la definì Giuliano Ferrara: l'Occidente, l'Islam, le moschee, il ruolo degli Usa e dell'Europa. Nei suoi ultimi giorni la Fallaci appare come sempre è stata: tagliente, austera, decisa. Eppure, capace al contempo anche di sorprendenti tenerezze, di toccanti, inaspettati momenti di fragilità. Nencini ci rivela una Fallaci per molti aspetti ancora inedita, privata, il ritratto di una donna corrosa dalla malattia eppure, come sempre, libera e spavalda: "Sono alla fine, Riccardo, e voglio morire a Firenze. Ed ora ci siamo. Ma morirò in piedi, come Emily Brontë".
Ventisei lettere, scritte un giorno sì e un giorno no, dal 23 settembre al 27 novembre 1954. Il mittente è Leone Piccioni, il destinatario suo fratello Piero, recluso nel carcere romano di Regina Coeli, accusato dell'omicidio di Wilma Montesi. In realtà, come fu poi dimostrato, l'unica sua "colpa", oltre a quella di essere un musicista che amava il jazz, fu di essere il figlio di Attilio Piccioni, tra gli ultimi rappresentanti del Partito Popolare, padre fondatore della Repubblica italiana oltreché della Democrazia Cristiana. Il carteggio, pur filtrato dalla censura carceraria, aggiunge un nuovo tassello nell'intricato mosaico dei fatti relativi al "caso Montesi", uno scandalo che travolse la politica italiana negli anni Cinquanta e che lascia ferite aperte ancora oggi.
Giorgio La Pira non fu un clericale, né venne mai clericalizzato. Spesso s’ignorano i motivi per cui il “sindaco santo” non abbia mai chiesto, desiderato o ottenuto una tessera che attestasse formalmente la sua appartenenza all’Azione Cattolica, organizzazione fortemente raccomandata – se non addirittura imposta – da Papi, vescovi, semplici sacerdoti.
I saggi qui raccolti documentano come il Venerabile visse e operò da laico in un ambiente in cui non era ancora presente quel pesante clericalismo che traduceva nella pratica alcune direttive magisteriali riconducibili all’insegnamento di Pio X. Dalla lettura dei testi di La Pira, ma soprattutto dalla sua azione nel sociale, emerge il suo modo originale di essere “laico cristiano”, caratterizzato sia da una notevole preparazione culturale, sia da un forte senso della libertà educata alla responsabilità. Seppe infatti lavorare in comunione con la gerarchia ecclesiastica, ma senza dipendere da essa; senza metterne in dubbio il magistero, ma adattandolo al momento storico e alle particolari circostanze in cui si trovò a esercitare la propria missione.
Sono più di 900 le lettere tra Giorgio La Pira ed Amintore Fanfani conservate presso la Fondazione La Pira. Ne vengono qui pubblicate 394, oltre a 48 appunti di La Pira ad esse collegati. Accuratamente trascritte e annotate da Federico Perini, permettono di ripercorrere, per la prima volta in modo completo, le vicende di uno dei sodalizi più significativi nella storia politica dell'Italia repubblicana, durato più di trent'anni e fondato su una amicizia sincera quanto travagliata. Il carteggio offre uno spaccato senza filtri su molte importanti questioni di politica fiorentina, italiana ed internazionale. Per La Pira «il problema storico e politico fondamentale per un cristiano è prendere coscienza del 'tempo storico' in cui si trova», leggendo i «segni dei tempi». Le vicende della Guerra fredda, della decolonizzazione, del Medio Oriente, dell'Africa, del Vietnam, dell'America Latina, del processo di integrazione europea e della politica italiana