
Il fine della politica è quello di governare gli affari umani o è un compito a termine, da svolgere in un tempo intermedio, nell'attesa del mondo a venire, quando giustizia e pace regneranno per sempre? Questa domanda - la matrice stessa della «teologia politica» - è divenuta possibile quando, nella storia è apparsa la categoria giudaica di «éschaton»: l'attesa di un «mondo a venire», il pieno realizzarsi di quanto, fin dall'inizio, era stato promesso. A partire da qui, l'idea di éschaton ha segnato l'intera storia dell'Occidente e la sua filosofia politica: dal giudaismo, tramite il cristianesimo, è giunta al moderno e qui si è secolarizzata nella forma delle filosofie del progresso e delle apocalittiche rivoluzionare. Oggi l'éschaton pare giunto al tramonto: nell'odierno tempo senza fine, la storia non deve raggiungere più alcun culmine e non ci resta che governare la contingenza del mondo, portarsi all'altezza della sua improbabilità. Natoli, in questo breve e denso libro, insegue nei segni della storia i mutamenti che questo concetto centrale ha avuto nei secoli. In origine un termine spaziale, denotante i limiti remoti, i luoghi lontani che si trovano oltre il confine identitario di un territorio, l'éschaton ha assunto nel cristianesimo il suo marcato significato temporale, divenendo il punto cui tendere, il ritorno messianico, il momento nel quale il Giudizio riunirà in una sola cosa giustizia e governo. Intanto, però, nella loro attesa sulla terra, gli uomini vivono una dilatata «epoca del frattanto». È in questo limbo temporale che il governo delle cose umane deve destreggiarsi, darsi un ordinamento, prepararsi al compimento della storia. Fino a quando, nella contemporaneità, l'éschaton perde progressivamente di significato, il tempo si dilata, infinito, e il fine della politica resta la politica stessa.
Leopardi ci è familiare, molto più di altri classici del canone letterario. Tuttavia - come a volte accade con gli affetti profondi - non sapremmo dire tutte le ragioni di questa consonanza. Le letture adolescenti, mediate dalla scuola, lasciano in quelle adulte dei sedimenti che alimentano suggestioni, ma creano anche velature: è il caso del pessimismo, il cui manto «doloristico» mette in ombra ambivalenze irriducibili a formule compendiose. Forse perché nessuna categoria critica, per quanto temperata dall'acume di generazioni di esegeti, sfugge a un certo sentore di convenzione se si espone alla parola leopardiana. Antonio Prete l'ha interpellata lungo un'intera esistenza di studioso e di poeta, ed è la sua ininterrotta prossimità ad aiutare la nostra ad articolarsi, a trovare espressione. Sfiorando i testi con rara grazia, Prete ci conduce là dove poesia e pensiero diventano una sola cognizione del mondo, siano i Canti, le Operette morali, lo sconfinato Zibaldone, gli interni d'anima dell'Epistolario. In prosa o in versi, un'identica lingua del sentire, del desiderare e del patire dà voce alla finitudine umana, rinuncia a ogni protezione trascendente e sfida la «spiritualizzazione delle cose» che scorpora la vita da se stessa. Continuano ad aggirarsi tra noi, ancora più temibili di allora, i fantasmi della modernità, che Leopardi teneva a bada con un pensiero poetante capace di prestare ascolto alla «singolarità senziente, rammemorante e fantasticante». Un antropologo del concreto, cantore del vivente, terrestre e cosmologico insieme, ci viene qui incontro, preso per mano da un grande interprete.
Oggi la parola Cabbalà evoca mistero, segreti millenari, verità cosmiche sussurrate nel buio di una stanza, angeli potenti, magie inspiegabili e tremende, e mondi ultraterreni. Questa visione esoterica ha una storia precisa e documentabile, che ha inizio nell'Italia del Rinascimento, dove vari personaggi erano stati attirati da certe antiche tradizioni ebraiche, che tuttavia reinterpretavano a modo loro. La Cabbalà (con la C) è la stessa che sta anche all'origine di una moda contemporanea, intrisa di New Age, talvolta al centro di scandali e di oscuri giri di denaro. La Kabbalah (con la K), invece, è una cosa ben più complessa, più antica e senza dubbio più affascinante. La storia che Harry Freedman racconta magistralmente in questo libro lascia intravedere la complessità della ricerca mistica del divino e del suo rapporto col mondo operata da generazioni e generazioni di pensatori ebrei e tramandata con sacralità e timore reverenziale nel corso di due millenni. È forse il più complesso tentativo intellettuale mai concepito per avvicinarsi il più possibile all'inconoscibile fonte di ogni cosa, allo scopo di sanare l'universo, curarne le imperfezioni e ricondurre il cosmo alla sua perfezione originale. La storia comincia con l'inizio stesso della Bibbia: «Che sia la luce. E la luce fu». In questi versi antichi si dice infatti che il mondo scaturì direttamente dalla voce di Dio; ma la voce è fatta di parole e le parole di lettere, e le lettere sono i mattoni del mondo. Per capire la creazione bisogna allora studiare a fondo le lettere e il loro significato più nascosto, soprattutto quello numerico, che ogni lettera ebraica racchiude in sé. Da questo studio deriveranno poteri immensi, come quello – reso famoso dalla letteratura yiddish – di creare un golem dall'argilla, che, sempre con l'uso sapiente delle lettere, può essere fermato. Dal «Libro della Creazione», composto tra I e IV secolo, allo splendore dello «Zohar», dalle comunità ebraiche del XII secolo tra Spagna e Provenza alla scuola di Safed, in Galilea, dai movimenti messianici del XVIII secolo ai saggi eruditi otto e novecenteschi: la storia della Kabbalah diventa in queste pagine avvolgenti una narrazione alternativa della storia dell'ebraismo, condotta con grande maestria da Harry Freedman in un libro al tempo stesso avvincente e documentato.
La sua immagine è dappertutto. Su tazze, magliette, sui muri delle città, su spille e borse; e le sue frasi e i suoi aforismi sulla scienza e sulla vita sono citati ogni giorno. Albert Einstein è il vero scienziato iconico del secolo scorso; il suo nome – anche per chi fatichi a masticare le teorie fisiche – è sinonimo di genio eccentrico (famoso l’aneddoto che vuole il suo guardaroba pieno di completi identici così da non perdere tempo al mattino a pensare come vestirsi); saggezza bonaria; ma anche risolutezza (si pensi a quando scrisse al presidente Roosevelt invitandolo a dare il via a quello che sarebbe stato il programma nucleare americano che portò alla prima bomba atomica). Il suo aspetto in apparenza trasandato ha ispirato decine di trasposizioni cinematografiche con al centro uno scienziato bizzarro (basti pensare al mitico Doc di Ritorno al futuro, il cui cane non a caso si chiama Einstein!). Con la sola forza della sua mente e delle sue idee Einstein ha rivoluzionato il modo in cui concepiamo e interpretiamo il mondo e l’universo, e se basta una sola formula dal potenziale dirompente – E=mc2 – per decretarne l’immensa eredità intellettuale, l’immagine che oggi percepiamo supera quella del semplice scienziato. Einstein è diventato una vera e propria icona pop, sinonimo di genialità assoluta, visionarietà, fonte di ispirazione e modello per milioni di persone. Un simbolo. È proprio da qui che prende le mosse Einstein Forever, il racconto appassionato di come un «semplice» fisico abbia cambiato il mondo e sia diventato un genio iconico e un personaggio universalmente riconosciuto. Con il suo stile personale e coinvolgente Gabriella Greison ci fa rivivere gli anni americani di Einstein, la sua vita e i suoi pensieri, ripercorrendo le tappe che lo hanno portato a stravolgere letteralmente la nostra concezione del mondo e dell’universo. A seguito di ricerche, interviste, incontri sul campo in America, e dopo la consultazione di materiale d’archivio nei centri di ricerca di tutto il mondo, Greison ci restituisce un Einstein quanto mai umano, immerso nel suo tempo, un sognatore instancabile preoccupato del destino dell’uomo e un divulgatore capace di incantare con le sue storie. Einstein Forever è una spudorata dichiarazione d’amore nei confronti di un uomo fuori dall’ordinario che ha insegnato – e continua a insegnare – a tutti noi a superare i limiti dell’immaginazione e del pensiero.
La famiglia è - caso più unico che raro - una struttura primaria che esiste in tutte le società. Qui si assolvono le funzioni della riproduzione, della crescita e della socializzazione dei bambini e al contempo quella della stabilizzazione della personalità degli adulti. Da sempre al suo interno si giocano dinamiche cruciali che tornano ciclicamente al centro del dibattito pubblico: il confronto e la relazione tra i sessi, la gerarchia e la costrizione dei ruoli, la costruzione dell'identità e il senso di appartenenza. Simbolo del calore umano, luogo di consuetudini complici e di un vocabolario intimo, la famiglia vive di un equilibrio costante tra ricerca di fusione e bisogno di autonomia. Capace di creare alleanze per la vita ma anche di alimentare rivalità distruttive, la famiglia può proteggere i suoi membri, aiutandoli a costruire identità serene e sicure, oppure controllarli e costringerli in ruoli estranei e dolorosi. Con il ricorso esemplare a film e romanzi che fanno parte del nostro comune immaginario, Anna Oliverio Ferraris - esperta delle dinamiche famigliari con alle spalle una lunga e solida esperienza accademica e psicoterapeutica - ripercorre, nel tempo e nello spazio, l'evoluzione di questo strano costrutto sociale che è la famiglia, per mostrarcene la natura permeabile, flessibile e plastica.
La storiografia e l'analisi economica dell'Italia contemporanea si sono ampiamente rinnovate. Questo libro propone una interpretazione di sintesi criticamente fondata sui risultati di ricerca più aggiornati. Fra le alterne vicende dell'Ottocento e del Novecento il benessere materiale degli italiani si è innalzato. Eppure, dopo il ristagno seguito alla recessione del 1992, la società italiana è sospesa, preoccupata per il futuro. Vive una crisi profonda, di orientamenti e di identità, oltre che economica. Può risolverla in positivo, oppure regredire come altre volte nel passato le è accaduto. La retrospettiva storica offre elementi indispensabili alla comprensione delle radici della crisi, alla ricerca della via d'uscita.
"Dimostrerò che esiste una tecnica psicologica che consente di interpretare i sogni, e che, applicando questo metodo, ogni sogno si rivela come una formazione psichica resa di significato [...]. Tenterò inoltre di chiarire i processi da cui derivano la stranezza e l'oscurità del sogno e di dedurre la natura delle forze psichiche dalla cui cooperazione o dal cui contrasto il sogno trae origine".
Il Polo si sta inesorabilmente sciogliendo. È un fatto col quale dobbiamo confrontarci. Lo scioglimento dei ghiacci è andato aumentando drammaticamente negli ultimi trent’anni. E i ghiacci del Polo sono la cartina al tornasole dello stato di salute del clima del pianeta e tanto più diminuiscono, tanto meno calore viene riflesso verso lo spazio dal loro candore, peggiorando ulteriormente la situazione in un circolo vizioso. L’accelerazione del fenomeno è impressionante, ma le autorità politiche non sembrano aver ancora realizzato l’enorme pericolo che ciò comporta , ovvero che il destino dell’Artico è la miccia che potrebbe innescare una spirale che finirebbe col coinvolgere il mondo intero. Addio ai ghiacci, uscito per la prima volta nel 2017 e ora aggiornato agli ultimissimi dati, contiene tutti i fatti incontrovertibili dell’evidenza scientifica, minuziosamente raccolti, spiegati e argomentati in maniera estremamente comprensibile per chiunque: non dà scampo. È un appello accorato e competente che non deve cadere nel vuoto.
Tra i principi portanti della modernità, che per secoli ha ispirato pensieri e azioni di interi popoli, è stata l'idea architrave di ricondurre alla ragione il caos del mondo, ordinare, classificare, calcolare, sottoporre a controllo, e identificare l'indistinto, bandire l'ambiguo. Tale idea conteneva un progetto di costruzione sociale e una promessa di felicità. Il primo ha lasciato dietro di sé delle macerie, la seconda non è mai stata adempiuta. Zygmunt Bauman dichiara qui il fallimento di un'epoca della storia umana, misurandolo sulla insostenibilità della pretesa iniziale. È l'ambivalenza, infatti, e non l'univocità, la condizione normale in cui ci tocca vivere. Noi esseri finiti ci condanniamo alla perenne inadeguatezza se ammettiamo soltanto l'alternativa rigida tra l'ordine e l'informe, tra le entità (cose, persone, collettività, situazioni, categorie della mente) che il linguaggio riesce a nominare in modo trasparente e l'imprevedibile, l'indeterminato, l'incontrollabile, di cui avvertiamo la presenza minacciosa. Modernità e ambivalenza rimane, come scrive Donatella Di Cesare nella sua Postfazione, un'opera decisiva che ha segnato la svolta del percorso intellettuale del sociologo che più di ogni altro ha saputo definire la contemporaneità.
Conosciamo l'antica Grecia e i sumeri, ma che cosa sappiamo di altre grandi civiltà ritenute secondarie? Molte culture del passato sono rimaste avvolte dall'oblio, altre invece hanno lasciato tracce che, se percorse, dischiudono mondi inimmaginabili. Grazie a recenti ritrovamenti archeologici e a nuovi studi genetici e linguistici, Harald Haarmann ci fa scoprire venticinque culture dimenticate o trascurate dalla storiografia tradizionale. L'autore va alla ricerca di insediamenti preistorici sul Lago Bajkal, getta nuova luce sulle popolazioni pelasgiche e svela il mistero delle guerriere del Mar Nero. Dalle mummie bionde ritrovate a Xinjiang, nel deserto cinese, alla sofisticata civiltà della valle del Danubio, dotata di una scrittura fra le più antiche al mondo, fino agli abitanti dell'Isola di Pasqua, decimati da una crisi ecologica che essi stessi avevano provocato. Questa esplorazione alternativa nella storia dell'uomo ci introduce anche a sensazionali scoperte, come quella di antichi insediamenti urbani in una regione dell'Amazzonia da sempre creduta semi-spopolata. Percorrendo i possibili sviluppi dell'umanità e le sue strade scartate, Haarmann non solo restituisce voce a chi l'aveva persa, ma esorta anche a riflettere sulla nostra civiltà, perché soltanto il riconoscimento del diverso ne dispiega il vero potenziale.
In "Come sfasciare un paese in sette mosse" Ece Temelkuran è riuscita a farci percepire, con dolorosa consapevolezza, l'estrema pericolosità del tempo che stiamo vivendo, un tempo che sta virando nuovamente verso un nuovo tipo di fascismo, con un cambio di passo evidente rispetto alla società che era uscita stravolta dalla seconda guerra mondiale. Di nuovo ci troviamo di fronte alla questione del male radicale e come allora torniamo a domandarci «da dove viene tutto questo odio?». Ovunque nel mondo vediamo una disuguaglianza inaccettabile, nel discorso politico le persone sono tornate a essere sacrificabili, c'è un chiaro attacco globale ai movimenti antifascisti e si è persino giunti a criminalizzare i ragazzi che scioperano per il clima. Leggiamo accuse agli scienziati, sperimentiamo in molti paesi un terrificante passo indietro sui diritti delle donne e non possiamo non constatare che la spietatezza è ormai diventata un'identità culturale e politica. È ora di ripristinare la fede nel genere umano. La fiducia e la dignità vuole offrire un nuovo linguaggio, che vada oltre il discorso politico. Nell'epoca della polarizzazione estrema e dell'odio, Temelkuran costruisce in queste pagine appassionate un vocabolario fatto di parole di cui riappropriarsi, parole accoglienti come «dignità», «attenzione», «partecipazione», «gesto umano». È necessario che sempre più persone sostengano l'idea di un mondo giusto e dignitoso, recuperando la parola «fede», riscattandola dal suo contesto religioso. Perché da decenni, ormai, proprio la fede è stata distrutta, soprattutto da una frase che è diventata inattaccabile a forza di ripeterla: «Non c'è alternativa». Invece un'alternativa deve esserci: abbiamo fatto piramidi e rivoluzioni, sinfonie e viaggi spaziali, fisica quantistica e millenni di evoluzione e ci troviamo ora, all'inizio del XXI secolo, a un punto morto della storia umana. È veramente questo tutto ciò che possiamo essere? Tutto quello che possiamo fare?
Un quadro suggestivo dell'evento epocale che ha già segnato il ventunesimo secolo. Dalla questione ecologica al governo degli esperti, dallo stato d'eccezione alla democrazia immunitaria, dal dominio della paura al contagio del complotto, dalla distanza imposta al controllo digitale: come sta già cambiando l'esistenza, quali potranno essere gli effetti politici nel futuro. Il coronavirus è un virus sovrano che aggira i muri patriottici, le boriose frontiere dei sovranisti. E rivela in tutta la sua terribile crudezza la logica immunitaria che esclude i più deboli. La disparità tra protetti e indifesi, che sfida ogni idea di giustizia, non è mai stata così sfrontata. Il virus ha messo allo scoperto la spietatezza del capitalismo e mostra l'impossibilità di salvarsi, se non con l'aiuto reciproco, costringendo a pensare un nuovo modo di coabitare.

