
Questo libro raccoglie un ventennio di ricordi,
di happening, un pezzo di storia del nostro paese,
restituito in un itinerario curioso e trasversale,
da ripercorrere in tempo reale
e anche sull’onda della memoria.
Alain Elkann ci ha abituati, ormai da tempo, ai suoi garbati ed eleganti appuntamenti con i più noti protagonisti del nostro tempo. Come ama egli stesso ricordare: “L’intervista è una visita che si fa a qualcuno, è un piacere che ha lo scopo di fissare in uno schema quel momento”. Così le parole, le idee, i gesti e i sentimenti rivelati quasi en passant si cristallizzano, e in un unico e coinvolgente racconto ci parlano delle abitudini, delle passioni, della carriera e degli amori di uomini e donne straordinari e conosciuti. I volti più noti del giornalismo italiano – da Indro Montanelli a Enzo Biagi – della moda e dello spettacolo – da Miuccia Prada a Alberto Sordi e Sophia Loren – si alternano ai nomi più illustri della scienza – Umberto Veronesi – e della letteratura mondiale – da Alberto Moravia a Josif Brodskij. L’autore parla con loro delle loro vite, collezionando le migliori interviste, edite e inedite, dall’inizio degli anni novanta ai giorni nostri.
“Non possiamo imparare
a conoscere le persone
quando vengono da noi;
dobbiamo noi andare da loro
per vedere quello che sono.”
Emma Bonino
Il primo libro a firma di Emma Bonino è la storia di una vita in keywords, da leggere in ordine o in disordine, seguendo a piacere i temi e le parole. Un libro che percorre i 60 anni di storia di una “fuoriclasse” della politica e della cultura italiana: le lotte per i diritti civili, l’impegno in Parlamento a Roma e Bruxelles, le missioni all’estero, le campagne elettorali passate e presenti. Emma Bonino si racconta “dalla A alla Z” attraverso battaglie e vittorie, politiche e umane, sempre in prima linea.
A come Afghanistan e le sue donne dimenticate
B come il boogie-woogie che ballavo da ragazza
C come la cocciutaggine che mi contraddistingue
D come la detenzione per un aborto clandestino
E come Emmatar, un organismo dal Dna politico combinato con quello della gente comune.
Tra il 1929, anno di pubblicazione del suo primo romanzo, Gli indifferenti, e il 1990, quando improvvisamente scompare nella sua casa romana, Alberto Moravia osserva l’Italia, viaggia in un mondo di cui analizza l’evoluzione catastrofica e partecipa all’elaborazione del romanzo moderno. Scrittore precoce – a diciassette anni comincia la redazione di un romanzo considerato un capolavoro assoluto –, ottiene una notorietà immediata. Antifascista, coraggioso difensore delle sue posizioni intellettuali, Moravia è perseguitato dalle leggi razziali prima e durante la guerra, ma riesce ugualmente a pubblicare. Dai suoi romanzi di successo (Agostino, Il conformista, Il disprezzo, La noia) sono tratti film che ne consolidano la notorietà. Grande reporter, segue da vicino i maggiori avvenimenti del XX secolo, raccontati attraverso testimonianze da Stati Uniti, India, Cina, Giappone, Unione Sovietica e Africa. Distinguendo sempre la ricerca artistica dall’impegno politico, che esige altre azioni e altri linguaggi, la sua opera e il percorso della sua vita rivelano una personalità che vuole affrancarsi dalle origini borghesi: “L’anormale ero io” scriverà. La sua vita affettiva lo vede legato a tre donne di grande temperamento (Elsa Morante, Dacia Maraini, Carmen Llera), mentre coltiva intense relazioni con due generazioni di letterati: su tutti l’amico Pier Paolo Pasolini, ma anche Bontempelli e Malaparte, Sciascia ed Elkann. René de Ceccatty costruisce una vera e propria biografia intellettuale di Alberto Moravia, il racconto appassionato di una vita all’insegna della libertà, riflesso di un secolo che ha segnato profondamente l’Italia e il mondo intero.
René De Ceccatty, romanziere e drammaturgo, traduttore dall’italiano e dal giapponese, critico letterario (per Le Monde des livres), è oggi uno dei più profondi conoscitori francesi di Alberto Moravia, e della letteratura italiana in genere. Ha pubblicato le biografie di Pier Paolo Pasolini, Sibilla Aleramo e Maria Callas, mentre in veste di direttore letterario è stato l’editore delle opere del grande scrittore algerino Rabah Belamri. Per la casa editrice Seuil ha inoltre fondato la collana Solo, ora Réflexion.
“Sto preparando nella mia mente e anche sulla carta la formazione di nulla meno che un romanzo. Il protagonista dovrebbe essere un ragazzo della mia età (17 anni), [...] i tipi fondamentali li ho già trovati e sono gente che ho conosciuto e osservato. [...] ci vorrà un anno e più; ma sono sicuro che quando l’avrò finito avrò fatto qualche cosa di buono.”
Alberto Moravia, lettera ad Amelia Rosselli del maggio 1925
Alberto Moravia era legato per nascita ai fratelli Rosselli: Carlo e Nello, assassinati in Francia su mandato del fascismo italiano. Con loro, suoi cugini, e con tutta la famiglia Rosselli, in particolare con la zia Amelia, Moravia intratteneva un costante carteggio, qui raccolto con circa 60 lettere: Amelia Rosselli (1870-1954) svolse un ruolo decisivo nella formazione umana e intellettuale del giovane scrittore. Molte lettere sono state scritte da Moravia durante la degenza al sanatorio di Cortina e testimoniano della sua sensibilità di adolescente e della formazione letteraria e culturale nel periodo della lunga convalescenza. Quel che ne emerge, insieme ad altre lettere familiari e ai primi esercizi poetici, è un vero e proprio ritratto dello scrittore da giovane – quando già letture e interessi facevano presagire il futuro di grande scrittore che di lì a poco lo aspettava. Le lettere registrano infatti la crescente minaccia del regime, che sin dagli anni Venti si abbatte con violenza sui Rosselli, protagonisti della lotta antifascista, e negli anni Trenta in modi più circospetti anche sul loro cugino, divenuto ormai l’autore famoso degli Indifferenti. Il rapporto tra Moravia e i Rosselli prosegue oltre la morte di Carlo e Nello e presiede nel ’50 al discusso romanzo Il conformista. Un capitolo ineludibile del Novecento italiano.
La ricchezza dell’Italia è il suo patrimonio artistico, ambientale e culturale, ma né le istituzioni né gli italiani sembrano rendersene conto. Anzi, voltano le spalle all’identità nazionale. Alla cultura lo stato destina sempre meno, appena lo 0,21% del bilancio, solo 21 centesimi ogni 100 euro spesi, mentre l’offesa sistematica a questa immensa risorsa ha una portata e un costo quasi incalcolabili: degrado, incuria, vandalismo, trascuratezza, saccheggi, burocrazia allontanano visitatori e turisti o non li richiamano come sarebbe possibile. Prima al mondo per il numero di siti inclusi nella lista dell’Unesco dei patrimoni dell’umanità, l’Italia continua infatti ad andare a marcia indietro nel turismo. Nel 1970 era in testa alla classifica mondiale per turisti stranieri ospitati, via via ha perso quote di mercato: oggi è solo quinta (superata da Francia, Spagna, Stati Uniti e Cina) e andrà ancora più giù. Mentre arretriamo sul fronte internazionale, non si contano gli sprechi e gli abusi che quotidianamente svalutano, o distruggono, luoghi e opere d’arte che rischiamo di non poter più ammirare in futuro. Un’inchiesta completa e aggiornata, un viaggio attraverso gli errori e gli orrori che una malsana gestione del patrimonio sta seminando lungo lo stivale: da Nord a Sud, tutte le ferite inferte alla bellezza di una nazione che fatica a volersi bene, un libro-denuncia che indigna e fa sorridere, un invito appassionato ad amare di più, finché siamo in tempo, il paese più bello del mondo.
Roberto Ippolito è autore di Evasori. Chi come quanto. L’inchiesta sull’evasione fiscale (Bompiani, 2008). Ha pubblicato anche i libri L’Italia dell’economia (2000), Vivere in Europa (2002), 2014 il futuro che ci aspetta (2004), editi da Laterza. Giornalista professionista, ha curato a lungo l’informazione economica per il quotidiano “La Stampa”. In precedenza ha lavorato a “Il Mondo” e “Italia Oggi”. È docente di “Imprese e concorrenza” alla Scuola superiore di giornalismo dell’Università Luiss Guido Carli. Organizzatore di eventi culturali, è stato tra l’altro editor e responsabile degli incontri con l’autore del Festival dell’economia di Trento. È stato inoltre direttore della comunicazione di Confindustria e delle relazioni esterne della Luiss.
Il passaggio dal vecchio al nuovo secolo ha visto le promesse di liberazione del postmoderno trasformarsi nel populismo mediatico. E ciò che lega le teorie dei postmoderni alle pratiche dei populisti è il principio secondo cui non c’è un reale “là fuori”, ma solo un gioco di interpretazioni e manipolazioni che fanno sparire di scena il mondo vero. La posta in gioco non è solo la verità, ma anche la giustizia. Negli ultimi anni della sua riflessione Jacques Derrida (1930-2004) era solito ripetere che la giustizia è l’indecostruibile, intendendo con questo che tutto lo smontare, lo smascherare, il decostruire, appunto, era animato da un intento di giustizia. E al tempo stesso intendeva che tutta l’attività di smontaggio non poteva spingersi sino a toccare la giustizia, come nel cinismo che dice che dietro alla richiesta di giustizia ci sono altri argomenti, meno puliti e confessabili. La tesi di fondo di questo libro, che propone una ripresa autonoma e originale dell’eredità derridiana, consiste nel fornire una versione realista della decostruzione. Proprio perché c’è un mondo solido e impermeabile alle nostre manipolazioni e interpretazioni, ci possono essere verità e giustizia, e l’avvenire della decostruzione sta nella ricostruzione. Perché non si capisce cos’altro se non la realtà si possa offrire come alternativa filosofica e politica in un mondo ammalato di favole.
Giordano Bruno Guerri è uno dei più noti studiosi del Novecento italiano, e la biografia di Giuseppe Bottai è il primo saggio che dimostra l’esistenza di una cultura fascista. Intellettuale raffinato e politico attivissimo, Bottai fu “la mente migliore del fascismo”, creatore di un progetto di rivoluzione politica, culturale e sociale. Il grande influsso che ebbe su giovani e intellettuali, fascisti e antifascisti, gli valse la duplice accusa di antifascismo da parte dei fascisti e di opportunismo da parte degli oppositori. In realtà era un uomo lacerato fra la necessità del compromesso e la fedeltà a un’idea. Seppe riscattare i propri errori con la decisiva partecipazione all’ordine del giorno Grandi, che provocò il crollo del regime, e li volle espiare combattendo contro i tedeschi nella Legione straniera. Bottai appare ormai come una figura centrale del Ventennio, e oltre. Il saggio di Giordano Bruno Guerri – liberandolo dai luoghi comuni – ce lo restituisce intero, come uomo, politico e grande organizzatore di cultura.
Una biografia di Giordano Bruno e al tempo stesso un romanzo sulla vita, sul rapporto intrattenuto con i grandi personaggi dell’epoca, sulla visione cosmica di un uomo instancabilmente in lotta contro ignoranza, bigottismo e ipocrisia.
“Troppe volte Bruno sembra vivere ineluttabilmente con la scardinante dedica dell’Oscuro ‘ai vaganti di notte, ai maghi, ai posseduti da Dioniso, alle menadi, agli iniziati’ (Eraclito 14, A 59, trad. Giorgio Colli). Un empito dionisiaco avviluppante il Dio in una danza a spirale che sfonda secoli inutilmente pesanti solo per gli umani. Perché la forza del Nolano è racchiusa in un perenne vaticinio donativo. Circolarità senza fine, Sphairos consustanziale con Afrodite iperuranica. Per questo è contemporaneo di Hermes, il donatore agli umani, e quindi con Spalle Larghe (Platone), Porfirio e Giamblico lo scrutatore degli Egizi e poi a Giuliano l’Apostata e ‘all’altro’ Giuliano il Kremmerz degli anni nostri. Ma i filamenti luminosi de ‘gli eroici furori’ hanno troppo scandagliato Anima sempre eterna per non parlare continuamente a quell’Amore che ‘ratto s’apprende’ ai ‘Cor’. Così il Nolano adepto ai sacri misteri di Orfeo continua il suo canto donativo in nome di quella ‘necessaria Follia’ che rende qualsiasi suo lettore un processionario nelle file dei seguaci dei Maghi, in nome del divino ardore che nessun rogo potrà mai cancellare. Ecco perché tutti noi siamo fermi al 17 febbraio del 1600. Per ricordare come su ogni creatura e cosa domini ‘la Folgore’. Ovvero l’abisso radioso che si apre dal Bacio degli Amanti.”
Gabriele La Porta
Una rana, immersa in una pentola d’acqua che si riscalda molto lentamente, all’inizio si trova bene, ma quando l’acqua comincia a scottare non ha più le forze per saltare fuori.
In molti casi della vita quotidiana ci troviamo in situazioni simili: il contesto peggiora poco a poco, impercettibilmente, e quando ci accorgiamo del pericolo è ormai troppo tardi, pensiamo alla degenerazione dei programmi tv, del livello di istruzione, delle condizioni ambientali.
D’altro canto il bambù, quando viene piantato, per molto tempo non dà segni di vita, fino a quando all’improvviso viene fuori un’intera pianta: ancora una metafora dalla natura per stigmatizzare un comportamento umano, in una società che ci abitua ad avere e volere tutto subito e dimentica che i risultati più importanti sono frutto di una lunga preparazione.
Partendo da questo e altri apologhi, Clerc alza la voce e invita a prendere consapevolezza della realtà che ci circonda, un inno alla libertà di pensiero: per imparare ad accorgersi, nelle occasioni di tutti i giorni, quando è il momento giusto per saltare fuori dalla pentola.
“IMMAGINATE UNA PENTOLA PIENA D’ACQUA E DENTRO UNA RANA CHE NUOTA TRANQUILLAMENTE...”
“... Ti scrivo perché ho letto Tutto il pane del mondo che mi ha
profondamente commossa ed è riuscito a infondermi dopo anni
di oscurità un barlume di speranza...” (Chiara).
“... Mi ricordo che piangevo come una pazza quando andai
a comprare il libro della signora De Clercq; avevo ammesso tutto!
Mi ero rimessa in gioco, mi ributtavo nel mondo! NON ERO
SOLA! C’era qualcuno che poteva capirmi e che sollievo
e che pena ritrovarmi in quelle parole... nei punti e nelle virgole.
Continuate così!...” (Aisha).
“Mi chiamo Nica, ho 23 anni e dopo avere letto il tuo libro Tutto
il pane del mondo ho avvertito l’esigenza di scriverti, forse perché
la tua testimonianza ha alimentato ancora di più la speranza: forse
si può guarire, ritornare a vivere, veramente?...”.
“... Ho letto il libro Tutto il pane del mondo e sono rimasta
sbigottita dalle rivelazioni sconcertanti di Fabiola De Clercq:
quei comportamenti a me così familiari, quel modo meccanico
di vivere così affine alle mie abitudini; la stessa visione
del mondo. Ho detto a me stessa : ‘Mio Dio! Ma allora esistono
veramente le bulimiche! Non sono solo personaggi visivi! Esistono
e hanno le mie stesse preoccupazioni, provano le mie emozioni
e soprattutto affogano nel mio stesso mare di vomito!’...” (Maria).
"Dalla pura e semplice bustarella
al regalo più gentile,
dalla transazione finanziaria anonima
alle ambiguità dell'amicizia,
dall'interesse personale ai favoritismi familiari,
la corruzione è un fenomeno
più difficile da individuare di quanto si pensi.
La si condanna da lontano,
la si incoraggia da vicino"
Si continua a parlare e a scrivere di mafie vecchie e nuove, mentre le idee rimangono confuse persino sulla mafia-mafia originaria, nata in Sicilia ed esportata nel continente americano. Sull’argomento si moltiplicano le confusioni interpretative e i giudizi superficiali, insufficienti e devianti (del tipo canonico “la mafia è la criminalità organizzata”) e ambiguamente si invoca la legalità, mentre si impone nel mondo un più complesso interrogativo: con quale dinamica, e con quale natura (antica e nuova), agli oscuri poteri del capitalismo globalizzato si sta avvitando, come l’edera al tronco, il processo della globalizzazione mafiosa?
Di certo l’“egemonia” del malaffare sta dilagando dall’Italia al resto del pianeta nelle forme multiple e variabili di un inedito totalitarismo, incorporando sempre più inferme e improbabili “democrazie”. Ed è tanto malaffare quanto è politica ed è politica in quanto è economia.
Mancava un quadro interpretativo “globale” idoneo a spiegare come la peggiore Sicilia della mafia sia diventata negli anni la peggiore Italia delle mafie fino a intrecciarsi con tutte le altre del pianeta, segnandone metodi, stili, mentalità e mestieri criminali. Lo ha scritto, adesso, lo storico che aveva inaugurato la storiografia critica sul fenomeno mafioso.
Ne è nato questo testo snello, sintetico e intenso, tanto inquietante per le denuncie quanto accattivante per un inconfondibile stile di scrittura; un testo di riflessione e di azione civile, che si apre al dibattito come un Manifesto per un’Internazionale antimafia.
“COS’È LA MAFIA SICILIANA OGGI IN ITALIA E NEL MONDO, QUALI SONO LE SUE STRATEGIE E I SUOI OBIETTIVI?
PERCHÉ È MEGLIO PARLARE DI MAFIE, ANZICHÉ DI MAFIA?
QUAL È LA CONSISTENZA DEL POTERE MAFIOSO NEGLI ANNI 2000? E QUALE IL BILANCIO E LE PROSPETTIVE NELL’ANTIMAFIA IN ITALIA OGGI? E CON QUALE INFLUENZA E CON QUALI INTERAZIONI NEL MONDO NELL’ERA DELLA GLOBALIZZAZIONE DELL’ECONOMIA ILLEGALE?
QUESTE SONO LE DOMANDE DI FONDO ALLE QUALI CERCHERÒ DI RISPONDERE.”